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Riscrivere il futuro di Michele, un ragazzo con talassemia, è stato possibile grazie all’editing genomico. Il racconto della mamma, Maria, ripercorre i momenti salienti del loro percorso

Michele è un ragazzo come tanti: quasi 18 anni, la famiglia, gli amici, la scuola superiore e ora tutta l’estate davanti. Ma ha una storia che pochi altri al mondo possono raccontare: una storia di scienza, medicina e innovazione, che ha visto come protagonista un incontro fortuito tra le sue cellule staminali ematopoietiche e CRISPR. Michele è, infatti, uno dei giovanissimi pazienti con beta-talassemia che ha partecipato allo studio clinico internazionale CLIMB-111, ideato per valutare la terapia basata su Crispr-Cas9 e che in Italia ha coinvolto l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. La terapia - denominata exagamglogene autotemcel o con il nome commerciale Casgevy - è da pochi mesi autorizzata in Europa e Michele è uno di quei ragazzi che, testandola sulla propria pelle, hanno permesso che si arrivasse a questo successo. Maria, sua mamma, ha raccontato la storia del loro percorso a Osservatorio Terapie Avanzate.

Nel 2006, l’anno di nascita di Michele, CRISPR stava facendo capolino sulle riviste scientifiche: si iniziava a comprendere la sua funzione nei batteri, in cui rappresenta l’equivalente del nostro sistema immunitario. Lo studio che ha dato il via alla rivoluzione scientifica messa in atto dall’editing genomico è stato pubblicato nel 2012 ma, quando Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier descrissero la procedura per modificare in provetta il DNA con CRISPR, nessuno si sarebbe mai immaginato di vedere questa tecnologia al servizio dei pazienti in così poco tempo. Il Premio Nobel per la Chimica alle due scienziate è arrivato nel 2020 e la prima approvazione al mondo di un farmaco basato su CRISPR nel novembre 2023 in Gran Bretagna.

Mentre il ragazzo cresceva, l’editing genomico percorreva – a velocità piuttosto elevata - la strada che l’ha portato da essere un semplice sistema di difesa per i batteri a una vera e propria versatile tecnologia utilizzata in tutti i laboratori del mondo per modificare il DNA, fino a diventare una rivoluzionaria terapia per chi ha una diagnosi di beta-talassemia – come Michele – o di anemia falciforme. Un trattamento che da febbraio è approvato anche in Europa e che permette di intervenire sul gene BCL11A, che regola la produzione di emoglobina nel sangue al termine della vita fetale. Nel feto, infatti, è presente una forma di emoglobina diversa, che viene progressivamente sostituita dalla nascita proprio grazie all’azione del gene BCL11A. Exagamglogene autotemcel, il sistema CRISPR prodotto da Crispr Therapeutics e Vertex Pharmaceuticals, si basa sul ripristino della sintesi dell’emoglobina fetale, andando a spegnere il gene BCL11A

Come racconta Maria, Michele era seguito all’Ospedale Antonio Cardarelli di Napoli e, oltre alle complicazioni quotidiane legate alla malattia e alle terapie, era intollerante ai ferrochelanti, che sono terapie importantissime per chi si sottopone a trasfusioni. Infatti, se le emotrasfusioni sono un trattamento salvavita perché mantengono i livelli di emoglobina a un valore adeguato, ogni unità di sangue trasfuso comporta un eccesso di ferro che il corpo non riesce a eliminare in autonomia e che ha un effetto tossico sull’organismo. Questo è il motivo per cui si ricorre ai ferrochelanti: i farmaci si legano al ferro e ne permettono l’eliminazione, mantenendo i livelli di ferro sotto la soglia di tossicità. “Era intollerante al farmaco che gli avrebbe dovuto salvare la vita e questo era un problema”, commenta la mamma. “Per fortuna ci hanno parlato di questo studio clinico e abbiamo deciso di provarci, Michele per primo ovviamente. La scelta è stata la sua, con il nostro supporto, come è stato per gli altri ragazzi coinvolti. Dopo un colloquio preliminare con il prof. Franco Locatelli – coordinatore del trial clinico sulla talassemia presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – l’avventura è cominciata”.

La procedura per il prelievo delle cellule staminali ematopoietiche da modificare con CRISPR è stata fatta nel 2020: in quel periodo il mondo era stato messo in ginocchio dal COVID-19 e questo ha complicato alcune cose, ma ne ha favorite altre. “Ci siamo trasferiti a Roma per 10 mesi con tutta la famiglia”, ricorda Maria. “Michele ha anche una sorella più grande e un fratello più piccolo, e tutti e tre avrebbero perso la scuola in quel periodo, ma il COVID-19 ci ha aiutato a gestire meglio la situazione visto che era possibile seguire le lezioni da remoto. Dall’altro lato, i reparti in cui è stato ricoverato Michele erano già molto attenti alle visite in condizioni normali e con la pandemia erano praticamente inaccessibili. E il 16 febbraio 2021 è stata per noi la data della svolta”. Dopo l’infusione delle cellule modificate con CRISPR, Michele ha trascorso 86 giorni in camera sterile, per evitare infezioni e tutte le possibili complicanze derivate dalla mieloablazione, che viene fatta per preparare l’organismo a ricevere le cellule con il DNA modificato che poi si moltiplicheranno correggendo la malattia. Le lunghe giornate e la distanza dalla famiglia non sono state facili, ma quel periodo è passato e alla fine i risultati sono arrivati.

Michele è stato uno dei pochissimi pazienti a non rispondere subito alla terapia: è trascorso più di un anno dalla somministrazione ai primi segni di un effetto terapeutico. Una lunga attesa, ripagata dal vedere i valori degli esami del sangue finalmente migliorati. “Noi l’abbiamo sempre vissuta al meglio delle nostre possibilità: trasformavamo anche il momento della misurazione dei parametri in un gioco e facevamo delle scommesse in famiglia per vedere chi si avvicinava di più al valore corretto”, racconta con un tono scherzoso Maria. “Anche per i fratelli, specialmente per il più piccolo, era importante avere un atteggiamento positivo. La sorella maggiore, invece, oggi studia infermieristica perché vuole aiutare chi ne ha bisogno, come altri hanno fatto con Michele nel suo percorso”.

Chi lo incontra oggi non direbbe mai che ha subito un trattamento innovativo che prevede un trapianto di cellule staminali ematopoietiche e tutto ciò che ne consegue. I segni sul corpo ci sono, ma quelle cicatrici, dice la mamma, sono ben volute perché grazie a quelle ora sta bene. “Noi raccontiamo sempre la nostra storia, sia quella della malattia che della terapia. È importante parlarne: non ci interessa la pietà degli altri, ma bisogna fare informazione su cosa comporta, come si convive con la talassemia, come la terapia può cambiare le cose. Prima, dove andava il prof. Locatelli andavamo noi, ora andiamo noi a parlare con lui ai congressi, a raccontare la nostra storia”, aggiunge la mamma.

Michele non ha fatto trasfusioni per più di un anno, ma poi ha dovuto sottoporsi alla procedura a settembre 2023, a causa di una brutta gastroenterite. Dal 17 settembre 2023 è completamente libero dalle trasfusioni. L’indipendenza dalle trasfusioni periodiche, che sono necessarie per mantenere i valori di emoglobina in un range di non pericolosità per l’organismo, è il grande impatto positivo di questa terapia: le forbici molecolari più famose al mondo, infatti, hanno permesso al 91% dei pazienti con beta-talassemia coinvolti nello studio di non dover più sottoporsi alle trasfusioni, guadagnando così tempo e qualità di vita.

La malattia toglie tanto, ma insegna anche tanto. Quando mio figlio ha ricevuto la diagnosi già si parlava di una terapia, ma ancora non c’era nulla di concreto per i pazienti e i tempi non si potevano prevedere. Vorrei anche ringraziare la dott.ssa Iacono, Presidente della Fondazione Italiana Talassemia e Drepanocitosi “Leonardo Giambrone” (FITHAD): tutto questo non sarebbe stato possibile senza di lei”, conclude Maria. “Noi genitori non riusciremo mai a dimenticare quello che ha e abbiamo passato fin dai primi mesi di vita di Michele, ma lui sì. L’ha già dimenticato e ha tutta la vita davanti”.

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