Claudio Jommi

Claudio Jommi illustra quali sono le peculiarità di questa nuova classe di farmaci e quali gli aspetti comuni ai farmaci tradizionali. Per metterne in risalto opportunità e criticità e proporre soluzioni vincenti.

Più la corsa alla conquista della nuova frontiera delle terapie avanzate si fa affollata di protagonisti, con medici e ricercatori che si avvicinano al traguardo della realizzazione di terapie personalizzate per i pazienti e risolutive per molte malattie, più si fa urgente l’evoluzione dell’assetto regolatorio e di accesso. Quello che definisce in che modo queste terapie potranno essere introdotte e giudicate nei sistemi attualmente in vigore per la valutazione dei farmaci. Osservatorio Terapie Avanzate ne ha parlato con Claudio Jommi, Professor of Practice della SDA Bocconi School of Management di Milano.

Ad oggi, l’investimento in terapie avanzate rimane elevato: secondo il Primo Report Italiano sulle Terapie Avanzate, sono 158 gli studi clinici di Fase II/III e Fase III in corso che coinvolgono le cosiddette ATMP (Advanced Therapy Medicinal Products), più della metà dei quali sono incentrati sulla terapia cellulare mentre circa un 20% interessa la terapia genica. L’ambito di studio più gettonato sono le patologie oncologiche ed onco-ematologiche (28% degli studi) a cui fanno seguito le patologie cardiovascolari (20%), quelle muscolari e scheletrico-cartilaginee (12%) e quelle neurologiche-neuromuscolari (9%). L’ampia pipeline sulle terapie avanzate richiede una riflessione sistematica sulle modalità di valutazione ed accesso di tale terapie, tematica ampiamente discussa nell’ambito del Secondo Report Italiano sulle Terapie Avanzate.

PERCHE’ LE TERAPIE AVANZATE SONO SPECIALI?

“Le terapie avanzate sono qualificate come farmaci e perciò richiedono un’autorizzazione all’immissione in commercio: sotto il profilo dell’accesso ci sono alcuni aspetti simili ad altri farmaci introdotti sul mercato e altri per cui esse rappresentano una peculiarità, o meglio è una peculiarità che nelle terapie avanzate si ritrovino tutti questi aspetti” - spiega il prof. Claudio Jommi - “La prima specificità è che hanno, pur con margini di incertezza, un effetto curativo. La seconda è che tali terapie sono ‘one-shot’ ovvero vengono erogate una sola volta, producendo benefici per tutta la vita del paziente. Chi paga per questi medicinali sostiene un importante costo nel breve periodo per avere benefici e costi evitati nel medio-lungo periodo”.
Come per altre terapie, sulla risposta dei pazienti esiste un certo grado di incertezza, acuita dal frequente lancio di tali farmaci con procedure accelerate, ma il concetto di base è che se il paziente risponde a tali terapie dovrebbe guarire per sempre. “La terza peculiarità è che le terapie avanzate hanno un impatto organizzativo importante sulle aziende sanitarie” - prosegue Jommi - “Con tre aspetti rilevanti da affrontare: l’identificazione delle aziende in grado di gestirle, la definizione di modalità di remunerazione ad hoc dei centri che le erogano e la gestione prospettica della mobilità dei pazienti”.
“Sono temi da affrontare con una programmazione ex ante: l’identificazione delle aziende sanitarie è in corso a livello regionale sulla base dei criteri di massima definiti dall’AIFA, ma con applicazione differenziata. Sul fronte dei finanziamenti alcuni Paesi sono già intervenuti: in Francia, ad esempio, è stata fissata una tariffa fissa per ospedali che gestiscono le CAR-T, in Germania gli ospedali possono attualmente accedere a fondi ad hoc per tali terapie. La compensazione della mobilità dei pazienti dovrà essere ben gestita, anche sotto il profilo della compensazione economico-finanziaria”.

COSA LE ACCOMUNA AGLI ALTRI FARMACI?

Le terapie avanzate condividono anche diverse particolarità con alcuni farmaci tradizionali. “Dato che molte di queste terapie sono state lanciate per malattie rare e con elevato bisogno insoddisfatto, esse soffrono delle medesime problematiche tipiche dei farmaci a designazione orfana. Caratterizzati spesso da lanci precoci sul mercato con conseguenti maggiori incertezze sul profilo di rischio-beneficio e da richieste di prezzo elevato, dato il target limitato di popolazione” - chiarisce Jommi - “L’eventuale estensione di indicazioni o il lancio di nuove terapie avanzate su popolazioni target più ampie potrebbe generare problemi di sostenibilità complessiva: il nostro sistema negoziale ha però già affrontato queste problematiche, prevedendo, ad esempio, abbattimenti di prezzo in caso di estensione importante di indicazioni”.

QUALI SOLUZIONI

Le problematiche poste dalle terapie avanzate non sono del tutto nuove. “Un primo possibile approccio è incorporare nel processo negoziale le incertezze degli effetti; nel caso delle CAR-T l’Italia e la Spagna hanno pensato a un contratto di payment ‘at result’ che prevede una prima tranche di pagamento da parte del Servizio Sanitario Nazionale ed un saldo alla risposta del paziente. L’Inghilterra ha invece pianificato l’inserimento delle CAR-T, come altri farmaci oncologici ad incertezza di effetto e di costo-efficacia, in un Cancer Drugs Fund che prevede l’accesso a carico del National Health Service ad una popolazione normalmente più ristretta rispetto a quella target con un periodo di osservazione degli effetti in ‘real life’ di due anni. Al termine di questi si valuta se rendere il farmaco definitivamente rimborsabile da parte del sistema sanitario” - spiega ancora Jommi.
In questo caso il problema dell’incertezza viene affrontato prevedendo di fatto uno studio post marketing. “Si tratta di due approcci diversi, con pregi e difetti” - aggiunge il professore - “Il vantaggio del sistema inglese è che si rende rimborsabile il farmaco, realizzando di fatto uno studio osservazionale ad hoc più completo rispetto al payment at result, perché si possono verificare altri endpoint rilevanti per la valutazione dell’impatto. D’altro canto il payment at result ha il vantaggio di richiedere che il farmaco venga inserito e gestito nel relativo Registro, da clinici e farmacisti, come per quasi tutti i farmaci oncologici, indipendentemente dalla presenza di un accordo di rimborso condizionato alla risposta del paziente. Quello del payment at result è dunque un metodo più funzionale rispetto alle nostre tradizionali modalità di gestire l’incertezza”.

Rimane però un punto critico: se la risposta del paziente può essere misurata nel breve periodo, i contratti di pagamento collegati all’esito sono implementabili. In caso di risposta nel medio-lungo periodo la gestione di tali contratti è più complessa e richiederebbe che gli elevati costi unitari venissero allocati su più anni. Questo è possibile solo per le spese di investimento e non per quelle correnti, che non possono essere ammortizzate. “A questo si aggiunge che comunque le risorse per il Servizio Sanitario Nazionale, per quanto programmaticamente previste per un triennio nel Patto per la Salute, vengono definite di fatto anno per anno, rendendo questi modelli comunque complessi da gestire” - spiega Jommi - “La flessibilità sul piano finanziario sarà indispensabile per sostenere costi unitari importanti a valore nel medio-lungo periodo”.

SOSTENIBILITÀ ANCHE DEL MODELLO DI RICERCA E SVILUPPO

Alcuni primi lanci di terapie avanzate sono stati l’esempio concreto e tangibile dei problemi di sostenibilità di queste terapie anche nell’ottica delle imprese. “Il ritiro di tre ATMP e di una quarta recentemente annunciato, per motivi commerciali, è l’esempio di quanto tali terapie possano rappresentare un importante successo o un fallimento” - spiega Jommi. Un mix di alto rischio e alta rimuneratività può essere sostenuto a valle del processo di ricerca e sviluppo da imprese con portafogli ampi di prodotti: una multinazionale farmaceutica che decida di commercializzare una terapia avanzata potrà redistribuire su altri prodotti di maggior successo commerciale l’eventuale rischio di fallimento; se, invece, è una piccola azienda a impegnarsi nel lancio di una terapia avanzata - magari ad alto rischio di insuccesso - le possibilità a favore scendono. “La collaborazione tra piccole aziende fortemente orientate all’innovazione in questo campo e grandi aziende, unitamente alla collaborazione con la ricerca ed i soggetti istituzionali, si sta rivelando il modello vincente” - conclude Claudio Jommi - “È importante che in futuro questo processo ‘collaborativo’, dalla ricerca di base al trasferimento tecnologico, a forme di seed-funding, alle collaborazioni sullo sviluppo di farmaci venga valorizzato in Italia, rendendo il nostro Paese competitivo nel contesto internazionale”.

Con il contributo incondizionato di

Website by Digitest.net



Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento Maggiori informazioni