Giuseppe Novelli: “Un virus dal punto di vista biologico sa solo infettare e replicarsi. Più copie di sé produce, più rischia di commettere errori. Le varianti sono le differenze rispetto alla sequenza originale”
Risale a due anni fa la pubblicazione della prima mappa genetica di un nuovo coronavirus che poi diventerà noto a tutti con il nome di SARS-CoV-2. È il principio - o l’Alfa, per usare una metonimia - di un lungo e difficoltoso periodo di convivenza col coronavirus più celebre della storia tanto che oggi, in un susseguirsi di varianti dal diverso significato clinico, questo triste racconto è giunto al capitolo Omicron. Ma nel continuo su e giù per l’alfabeto greco vien spontaneo chiedersi cosa rappresenti la “variante” di un virus: perché si parla così insistentemente di Alfa, Beta, Delta e Omicron? E quali sono le differenze tra ognuna di esse, con riguardo al potenziale di infezione, ai test diagnostici, ai vaccini e ai farmaci usati per combattere il COVID-19? Per rispondere nel modo più esauriente possibile a queste domande, Osservatorio Terapie Avanzate si è rivolto a Giuseppe Novelli, Professore di Genetica Medica all’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
COSA SONO LE VARIANTI?
I virus non possono essere considerati organismi viventi al pari delle tante specie animali e vegetali che popolano la Terra o degli stessi batteri i quali, nella loro semplicità, sono essi stessi cellule. “Un virus è solamente un filamento di DNA o RNA impacchettato e pronto per essere conservato nelle cellule ospiti”, spiega Giuseppe Novelli che in più di un’occasione ha evidenziato il ruolo di spicco esercitato dalla genetica nel processo conoscitivo del virus SARS-CoV-2. “Pertanto, esso si replica nelle cellule che infetta e, così facendo, può andare incontro a errori di copiatura. Un virus è come una fotocopiatrice che produce milioni di copie di sé stesso ma, se il foglio è mal posizionato o il toner si esaurisce, alcune di quelle copie possono risultare differenti dall’originale. Le varianti, dunque, insorgono sostanzialmente per errori di replica del virus. Più un virus replica, più muta e più si producono varianti diverse dalla sequenza originale”.
In genere i virus come il SARS-CoV-2 entrano nelle cellule, perdendo il loro rivestimento protettivo, e iniziano a replicare il loro materiale genetico per produrre le proteine virali necessarie a ricostituire i componenti di nuovi virus da disperdere nell’ambiente. Per fare ciò essi sfruttano le cellule dell’ospite e alcuni possono rimanere latenti per molto tempo prima di tornare a moltiplicarsi. Inevitabilmente, ciò comporta un contatto con le cellule ospiti e accresce il rischio di generare varianti. “Esistono varianti neutre, varianti che possono favorire la diffusione del virus e altre che, invece lo conducono ad estinguersi”, prosegue Novelli. “Del virus SARS-CoV-2 si conoscono migliaia di varianti ma le più note sono Alfa, Beta, Delta e adesso Omicron. Esse sono tra loro molto differenti. Ad esempio, Omicron si diffonde con maggior velocità di Beta perché è dotata di un doppio meccanismo di ingresso nelle cellule, ma tende a generare malattia soprattutto nelle cellule delle vie aeree superiori, suscitando bronchiti, al contrario di Delta che colpisce i polmoni provocando polmoniti con conseguenze molto più gravi”. Dagli ultimi dati emersi dall’indagine condotta ad inizio gennaio dall’Istituto Superiore di Sanità e dal Ministero della Salute la prevalenza della variante Omicron in Italia è superiore all’80%. L’indagine svolta a dicembre indicava una prevalenza di Omicron del 21%, numeri che da soli sono sufficienti a spiegarne l’elevata contagiosità. “Più il tasso di mutazione è alto e più i virus mutano”, precisa Novelli. “Tuttavia rispetto ad altri virus, come quello dell’HIV, i coronavirus hanno tassi di variabilità più bassi perché sono dotati di una sorta di correttore di bozze che cerca di correggere gli errori riducendo il numero delle varianti”.
COME SI ORIGINA UNA NUOVA VARIANTE?
E allora perché si sente dire che Omicron è dotata di un numero straordinariamente grande di mutazioni (sono 37 solo sulla proteina Spike)? “A favorire la diffusone di una variante sono le condizioni ambientali e, nel caso di un virus, contano le condizioni di salute dell’ospite”, chiarisce Novelli. “Gli individui immunodepressi, come i malati di AIDS e quanti soffrono di patologie immunitarie gravi, non hanno le armi per difendersi dal virus come coloro che sono in salute. E dove queste difese mancano il virus replica e muta di più”. Non a caso, varianti come Delta e Omicron si sono prodotte rispettivamente in India e Sud-Africa, dove il virus è stato libero di circolare e moltiplicarsi. “Omicron si è originata in Sud-Africa, circolando soprattutto tra i malati cronici di AIDS che sono stati contagiati con molta probabilità dal ceppo originario, forse addirittura Alfa”, aggiunge l’esperto di genetica. “In tal modo il virus ha avuto occasione di replicarsi e cambiare, accumulando l’impressionante numero di mutazioni”.
Le varianti possono contenere diverse mutazioni pertanto è necessario classificarle in base ad esse, inserendole in database consultabili da tutti i ricercatori del mondo. Facendo comunque attenzione a non commettere errori. “Deltacron, di cui si è sentito molto parlare negli ultimi giorni è una falsa variante, si tratta di un errore generatosi nel momento in cui gli scienziati hanno pensato di trovarsi di fronte a un nuovo virus”, precisa Novelli. “Invece, molto probabilmente si trattava di due ceppi virali che avevano contemporaneamente infettato il medesimo individuo. Per quanto raro, un tale evento può accadere. Tant’è che Deltacron è stata subito ritirata e cancellata dagli archivi”. È la stessa cosa che accade quando si va a ricercare il DNA nei luoghi del delitto. Si trovano tracce di sangue di vario tipo perché il sangue di due persone non si distingue alla vista. Poi però, l’analisi del DNA aiuta a distringere e classificare.
I TEST DIAGNOSTICI SONO UTILI CONTRO LE VARIANTI?
Il riconoscimento delle varianti passa attraverso il sequenziamento del materiale virale ma a fronte di tutto ciò viene da interrogarsi sulle capacità degli attuali test diagnostici (potete consultare l’infografica realizzata l’anno scorso da Osservatorio Terapia Avanzate per fare chiarezza sui diversi test) di identificare le nuove varianti virali e favorire una diagnosi certa di malattia. “Abbiamo dei test basati su Real Time PCR differenziata basati sul riconoscimento della proteina Spike (S)”, afferma Novelli. “Per capire se ci si trova davanti a Omicron basta cercare contemporaneamente le proteine strutturali S, N (Nucleocapside) ed E (Envelope). Qualora si vedano solo N ed E e non si veda S, probabilmente la positività è dovuta alla variante Omicron. Questi kit sono già in commercio è vengono usati per capire che tipo di anticorpo monoclonale sia possibile somministrare al paziente. Infatti, non tutti gli anticorpi monoclonali hanno effetti nel trattamento della malattia suscitata dalla variante Omicron (l’unico anticorpo monoclonale efficace in questa circostanza è Sotrovimab, approvato sia da EMA che da AIFA, n.d.r.) e prima di iniziare il trattamento bisogna esser certi della variante per dare al paziente il monoclonale giusto. Questa è medicina personalizzata”.
COME ARGINARE LA DIFFUSIONE DELLE VARIANTI?
Per limitare la corsa dei virus servono i vaccini che addestrano il sistema immunitario a difendersi dall’attacco del patogeno, non solo attraverso la produzione degli anticorpi ma anche tramite la stimolazione delle cellule T, che uccidono le cellule infettate dal virus, e delle cellule della memoria. I dati oggi disponibili indicano che i vaccini a mRNA sono in grado di proteggerci dalle forme gravi di COVID-19 educando il sistema immunitario a rispondere. Anche di fronte alle varianti. “La terza dose è fondamentale per aumentare la quota di anticorpi ma nello stesso tempo stimola diverse componenti del sistema immunitario, attivando anche altri meccanismi di difesa”, spiega Novelli. “Per questo occorre vaccinare il più possibile. Soprattutto in Paesi come Africa e Sud-America dove il virus è libero di diffondersi e generare varianti”. Prima di pensare alla quarta dose per la popolazione generale - sulle cui tempistiche è opportuno attendere i dati di Paesi come Israele che per primi hanno iniziato le somministrazioni - è bene pensare a rinforzare l’immunità nelle persone immunodepresse.
“Il virus SARS-CoV-2 non sparirà mai pertanto dovremo imparare a conviverci”, conclude Novelli. “Come è accaduto per il virus Epstein-Barr, per l’HIV o per il virus dell’influenza l’umanità dovrà adattarsi anche al SARS-CoV-2, combattendolo con i vaccini, i farmaci come gli anticorpi monoclonali o gli antivirali su cui si sta facendo tanta ricerca e che saranno disponibili già nei prossimi mesi”.