Coronavirus

Un lavoro pubblicato su Nature Medicine conferma la previsione fatta da Nature: la diagnostica basata sulle forbici genetiche CRISPR è una delle tecnologie emergenti del 2022

La biologa computazionale del Broad Institute Pardis Sabeti si era già fatta notare durante l’emergenza ebola, al punto da entrare nella classifica delle persone più influenti di Time nel 2015. Questa scienziata di origine iraniana, specializzata nello studio della diversità e dell’evoluzione microbica, non poteva mancare l’appuntamento con il COVID-19. Il suo ultimo contributo, firmato insieme al genetista di Princeton Cameron Myhrvold, rappresenta un importante passo in avanti verso una nuova generazione di test diagnostici che ambiscono a essere più informativi della PCR e meno impegnativi del sequenziamento virale, grazie all’applicazione congiunta della microfluidica e della tecnica CRISPR. 

Il prototipo che il gruppo di Sabeti aveva presentato nel 2020 su Nature si chiamava CARMEN (Combinatorial Arrayed Reactions for Multiplexed Evaluation of Nucleic acids). Il suo pregio principale è la multiplexabilità, perché la piattaforma può testare simultaneamente i 170 virus umani più diffusi, coronavirus incluso. Una performance notevole per un test multiplo, se si considera che soltanto un quarto di quei virus disponevano già di saggi diagnostici autorizzati. Ora davanti all’acronimo maiuscolo è comparsa una emme minuscola, che sta per “microfluidic”, e pone l’accento sulle piccolissime quantità di fluidi manipolate in minuscoli canali. In confronto alla prima versione, mCARMEN ha altri pregi, documentati nella pubblicazione uscita su Nature Medicine il 7 febbraio. Tanto per cominciare dimezza il tempo necessario, facilita l’esecuzione e accresce la sensibilità dell’analisi. Perciò può identificare un microrganismo patogeno più rapidamente, con un minore addestramento del personale e su campioni che contengono meno materiale genetico. 

La versione standard della tecnica CRISPR, com’è noto, usa l’enzima Cas9 per tagliare il DNA e consentirne la modificazione mirata. Invece in questo caso si impiegano degli enzimi che appartengono alla stessa famiglia di proteine ma hanno la prerogativa di prendere di mira l’RNA (Cas12 e Cas13) per rivelare la presenza dei virus e fornire anche una misura quantitativa. Quest’ultima informazione è utile per stimare il livello di contagiosità di ciascun paziente positivo. Inoltre la piattaforma mCARMEN è equipaggiata con una serie di guide di RNA che riconoscono oltre due dozzine di mutazioni nella proteina spike del coronavirus. In questo modo il test può rivelare se un paziente è stato infettato da omicron, delta o altre varianti emergenti, senza ricorrere al sequenziamento completo del genoma virale. Il test, dunque, è utile anche come strumento di sorveglianza per monitorare l’evoluzione e la diffusione dei ceppi: se l’insieme delle mutazioni identificate non corrisponde a varianti note del coronavirus, allora è possibile che il test ne abbia scoperta una nuova che andrà sequenziata e studiata in dettaglio. 

La tecnologia mCARMEN non ha ancora ricevuto il via libera della Food and Drug Administration ma è già stata utilizzata dal Massachusetts Department of Public Health, in collaborazione con i Centers for Disease Control and Prevention, per seguire la cavalcata di omicron nello stato e provare a valutare le terapie più adatte tenendo conto anche del ceppo virale del singolo paziente. L’ambizione, insomma, è fornire più informazioni dei tamponi basati sulla PCR, ma con costi e tempi inferiori a quelli del sequenziamento virale vero e proprio. Recentemente Sabeti ha dichiarato a Nature di poter testare 21 virus respiratori contemporaneamente per meno di dieci dollari a campione. Nel numero del 25 gennaio la rivista ha inserito la diagnostica basata su CRISPR nella sua rosa delle tecnologie pronte a sbocciare nel corso del 2022. In fondo impiegare CRISPR contro le malattie infettive è un ritorno alle origini. La tecnica regina dell’editing genomico, infatti, si ispira a un sistema naturale microbico, che si è evoluto nei batteri per difenderli dai virus. Questo filone applicativo ha vissuto una forte accelerazione con l’arrivo della pandemia, che ha messo a nudo i punti deboli della vecchia diagnostica spingendo alcuni dei pionieri dell’editing a sviluppare test più agili dei classici tamponi molecolari basati sulla PCR. Dietro al primo CRISPR-test approvato dalla FDA c’è il lavoro di Feng Zhang, mentre Jennifer Doudna ha contribuito a ideare un test che si affida alla tecnologia degli smartphone per la parte di microscopia.

Quando ci saremo lasciati alle spalle l’emergenza COVID-19, auspicabilmente, la nuova generazione di test diagnostici potrà essere usata anche per identificare le infezioni batteriche, monitorare la resistenza agli antibiotici, circoscrivere tempestivamente le prossime malattie emergenti. Per dirla con Sabeti, è assai sensato utilizzare il sistema CRISPR per lo stesso scopo per cui si è originato in natura. “Abbiamo miliardi di anni di evoluzione dalla nostra parte”.

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