Utero tecnologico

Le autorità statunitensi prenderanno in considerazione lo studio clinico di un sistema che imita l'utero materno per ridurre i decessi nei casi di parto pretermine 

Nel 2017 aveva fatto molto scalpore lo studio, condotto da ricercatori del Children's Hospital of Philadelphia in Pennsylvania (Stati Uniti), che vedeva come protagonisti 8 agnelli cresciuti in utero artificiale e sopravvissuti per circa un mese all’interno del dispositivo. Dopo altri cinque anni di ricerca sarebbero ora pronti per fare il passo successivo: ottenere l’approvazione per le prime sperimentazioni cliniche sull’uomo del dispositivo testato sugli animali. EXTEND (Extra-uterine Environment for Newborn Development), così chiamato, non è pensato per supportare lo sviluppo umano dal concepimento alla nascita, ma la speranza è che possa essere di aiuto per alcune situazioni di bambini nati estremamente prematuri (cioè prima delle 28 settimane di gestazione). Un articolo su Nature ha fatto il punto della situazione.

La nascita pretermine è la principale causa di morte e disabilità nei bambini sotto i cinque anni (dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità). La mortalità è fortemente legata all'età gestazionale del bambino alla nascita: prima delle 22 settimane è improbabile la sopravvivenza, ma a 28 la maggior parte dei bambini può farcela, con le dovute accortezze e supporti vitali. Infatti, i bambini nati prematuramente - sia spontaneamente che a causa di alcune condizioni che rendono l’utero un luogo inospitale allo sviluppo e conducono a un cesareo - devono rimanere ricoverati in ospedale in terapia intensiva neonatale a lungo, fino a quando i loro organi non sono in grado di funzionare bene in modo autonomo. Vengono messi in incubatrice per mantenere la temperatura e vengono gestite le complicanze derivate dalla loro condizione: ad esempio, possono essere collegati a un ventilatore finché i polmoni non maturano e ricevono nutrimento per via endovenosa finché lo stomaco non è pronto a ricevere il latte. Inoltre, molte problematiche persistono poi nella crescita. L’opzione dell’utero artificiale potrebbe rendere più facile la loro crescita esterna all’utero materno, evitando così interventi medici più o meno invasivi e i problemi a lungo termine. Ma di cosa si tratta e quanto siamo vicini ai primi studi sugli esseri umani?

Parlando di quello sviluppato dal Children's Hospital of Philadelphia (CHOP), a prima vista è una sacca - chiamata Biobag - che contiene un liquido lattiginoso e che consente di ossigenare e nutrire l’organismo che vi è immerso. Questo grazie a un ossigenatore collegato al sistema circolatorio dell’animale: il cuore pompa il sangue che raggiunge l’ossigenatore e torna all’organismo. La tecnologia dell’utero artificiale, infatti, si concentra sulla respirazione: fornire ossigeno ed eliminare anidride carbonica è l’obiettivo principale, che permetterebbe di sostituire l’uso dei ventilatori meccanici che possono danneggiare i piccoli polmoni in via di sviluppo. Pur essendo questa probabilmente la tecnica più vicina allo studio sugli esseri umani, non è l’unica. Sono diversi i gruppi di ricerca nel mondo che stanno esplorando questa possibilità con approcci diversi. Ogni strategia ha i suoi pro e i suoi contro, ad esempio quello dei ricercatori del CHOP richiede un cesareo, perché i collegamenti da fare con le arterie ombelicali e la pompa esterna sono delicati e questi vasi si chiudono durante il parto naturale. Altri gruppi, tra cui quello della University of Michigan Health (Stati Uniti), studiano la placenta artificiale e usano la vena ombelicale, di conseguenza non c’è questo problema. In un altro esperimento condotto in Giappone e Australia, in un utero artificiale chiamato EVE, l'agnello è rimasto in incubazione per una settimana e ha avuto un buon sviluppo dei polmoni, ma si sono verificate alcune lesioni cerebrali a causa di un problema tecnico del macchinario. Gli scienziati dell'Università di Toronto (Canada), invece, hanno utilizzato feti di maiale in un esperimento con una placenta artificiale. I maiali e gli esseri umani hanno un cordone ombelicale simile, ma in quell'esperimento sono sorti problemi di circolazione sanguigna e alcuni problemi cardiaci. 

Si parla però di modelli animali e per arrivare all’uomo è necessario, ad oggi, fare un salto enorme. Dal punto di vista bioetico si potrebbe aprire una discussione infinita, anche solo per la presenza di così pochi dati sulla sicurezza di questa tecnologia. Da questo alla sostituzione della gravidanza in utero ce ne passa molto – e i ricercatori non pensano a questa opzione, perché troppo lontana dalla realtà e dalla tecnologia attualmente a disposizione – ma dal punto di vista del dibattito pubblico è indiscutibile che se ne debba parlare, e tanto.

L’apertura degli enti regolatori verso l’inizio di una sperimentazione clinica è ovviamente necessaria: a settembre si è riunito per due giorni il Pediatric Advisory Committee (PAC) della Food and Drug Administration (FDA) statunitense per “discutere i piani di sviluppo appropriati per stabilire la sicurezza e l'efficacia dei dispositivi di tecnologia dell'utero artificiale (AWT) destinati al trattamento di neonati estremamente prematuri, comprese le considerazioni normative ed etiche per gli studi first in human (FIH)” (come si può leggere nel documento di briefing dell’incontro). Infatti, date le sfide nella valutazione del profilo benefici-rischi di questo tipo di tecnologia altamente innovativa e le complessità legate alla vulnerabile popolazione neonatale, l'FDA ha convocato un gruppo di esperti per riuscire ad affrontare l’argomento a 360 gradi.

Un utero artificiale non è mai stato utilizzato negli esseri umani, ma il suo utilizzo – in pochissimi casi – potrebbe salvare delle vite. Il comitato della FDA ha concordato che prima di poter utilizzare questa tecnologia sugli esseri umani, gli scienziati dovranno determinare il modello animale più appropriato per testare l'utero artificiale al fine di raccogliere un’importante mole di dati. Gli esperti sostengono che potrebbe essere necessaria anche una discussione sulla definizione di vitalità del feto, cioè sulla capacità di un essere umano di sopravvivere al di fuori dell'utero (aprendo l’ennesima parentesi sui diritti del feto, della madre e riguardo all’aborto, specialmente in Paesi in cui è già un tema delicato da affrontare pubblicamente). Inoltre, come riportato nell’articolo su Nature, si pone il problema di come definire questi feti: non sono neonati, perché non effettivamente nati, ma non sono neanche più feti, in quanto fuori dall’utero materno. Il gruppo di scienziati del CHOP ha proposto il termine “neonati fetali”, abbreviato in “fetonati”.

A tutto questo si aggiungono alcune considerazioni sul costo di questi dispositivi e sul supporto alla maternità: è meglio spendere cifre molto alte in questa tecnologia, applicabile comunque a pochissimi casi, o migliorare il supporto alla gravidanza e le tecniche standard per la gestione dei nati pretermine? Inoltre, vista la velocità con cui procede lo sviluppo tecnico-scientifico, i miglioramenti della tecnologia applicata alla medicina e della chirurgia neonatale potrebbero rendere inutile in pochi anni l’uso dell’utero artificiale.

Dati solidi, limiti di utilizzo, studi di fattibilità relativi ai dispositivi innovativi, modelli di studio appropriati, valutazione rischi-benefici, consenso informato, rispetto della normativa relativa al coinvolgimento di minori, comunicazione al grande pubblico, sfide tecnologiche e discussioni etiche: questi sono solo alcuni dei punti che dovranno essere affrontati dal comitato prima di arrivare alla sperimentazione dell’utero artificiale sull’essere umano. Alcune considerazioni sono già state fatte dagli esperti americani, ma la strada è ancora lunga.

Con il contributo incondizionato di

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