RENI

I trapianti di organo da animale a essere umano sono all’orizzonte, seppur ancora lontani. I fondi per la ricerca aumentano e gli esperti riflettono su ciò che è stato appreso finora

È di fine marzo la notizia di un grosso investimentooltre 21 milioni di dollari - alla Johns Hopkins University School of Medicine a sostegno della ricerca per portare a termine una sperimentazione clinica sugli xenotrapianti sull’uomo. Gli ultimi anni hanno portato a notevoli traguardi nell’ambito dei trapianti di organi provenienti da animali nell’essere umano: gli organi di maiale, in particolare cuore e reni geneticamente modificati, sono stati i primi ad essere utilizzati in questa procedura, anche se solo in casi isolati e in condizioni particolari. Sebbene le conoscenze siano aumentate e le procedure fatte finora abbiano dato buoni risultati – nel caso dei reni su tre persone in stato di morte cerebrale e del cuore trapiantato su un ricevente vivo, che è sopravvissuto per circa due mesi – le domande sul futuro degli xenotrapianti restano. Un articolo pubblicato su Nature Biotechnology fa il punto della situazione, raccogliendo il pensiero di un gruppo di esperti sul tema.

NON PIÙ UNA NOVITÀ

Di xenotrapianti avevamo già parlato più volte, la più recente in merito allo stato dell’arte in questo ambito e alla descrizione del caso di trapianto di cuore effettuato all’inizio del 2022 presso l’University of Maryland School of Medicine, operazione descritta anche sul The New England Journal of Medicine. Questo caso clinico ha dimostrato, inequivocabilmente, che un cuore di maiale può sostenere la vita umana per alcune settimane. Non è un risultato straordinario dal punto di vista della sopravvivenza, però è un dato importante per la ricerca. Ma quali sono le conoscenze attuali e cosa dicono gli esperti?

Iniziate con un trapianto di rene di maiale in una donna cerebralmente morta, le sperimentazioni di xenotrapianti sugli esseri umani sono fondamentali per comprendere a fondo come funzionano gli organi di altri animali nel corpo umano e per valutare le reazioni immunitarie, parametro non analizzabile se si porta avanti uno studio su primati o altri mammiferi. Lo xenotrapianto di cuore, ad esempio, ha dimostrato che le modifiche genetiche possono sopprimere il rigetto acuto e iperacuto, mentre quelli di rene non sono durati abbastanza a lungo per una valutazione a 360 gradi, anche se hanno dimostrato l’assenza del rigetto acuto e una certa efficacia. È però fondamentale ricordare che la Food and Drug Administration (FDA) statunitense - così come gli altri enti regolatori nel mondo - non ha ancora approvato tali trapianti per uso clinico, ma in rare occasioni ha concesso eccezioni per "uso compassionevole" (tra cui lo xenotrapianto di cuore effettuato l’anno scorso).

CUORE E RENI: PERCHÉ?

La scelta di questi organi è dovuta a più fattori: da un lato costi e complessità chirurgica, dall’altro i dati epidemiologici dell’insufficienza d’organo. Per cuore e reni, infatti, c’è una maggiore probabilità di necessità di trapianto a causa di malattie e invecchiamento. Inoltre, negli studi preclinici sui primati, cuore e reni sono stati quelli con i risultati migliori e - come spiegato nell’articolo - il cuore è stato privilegiato in quanto la sua funzione principale è la contrazione muscolare e non la produzione di proteine, l’eliminazione di rifiuti o altre attività complesse. A questo si aggiunge il fatto che ci sono notevoli somiglianze tra le due specie nel funzionamento di questi organi.

Nel caso dei reni, la valutazione deve tenere conto delle opzioni terapeutiche disponibili: i pazienti possono sopravvivere in dialisi, per cui lo xenotrapianto deve apportare un beneficio maggiore rispetto a questa procedura. La sperimentazione fatta su un ricevente in stato di morte cerebrale è stata quindi l’unica scelta possibile ad oggi, anche se molto complicata dal punto di vista burocratico perché non regolamentata (la famiglia o il rappresentante legale deve autorizzare la procedura, donando il corpo per questo scopo). Per gli studi su pazienti non in morte cerebrale, ad esempio in fin di vita a causa di una malattia o dopo una lesione cerebrale non letale, un comitato istituzionale potrebbe approvare una sperimentazione che tenga conto di queste circostanze particolari. L'esito di questi interventi sarebbe sconosciuto e l'utilità di questi studi a brevissimo termine è limitata, ma possono essere più significativi rispetto agli studi sui deceduti.

MUTAZIONI E RIGETTO 

Sono diverse le modifiche a livello genetico che vengono fatte per migliorare la sopravvivenza del paziente sottoposto a xenotrapianto, evitando così reazioni tossiche. Solo gli studi sui pazienti forniranno le informazioni necessarie per ottimizzare le modifiche genetiche da apportare negli animali donatori tra cui, ad esempio, i cambiamenti nell'espressione e nella regolazione dei transgeni umani esistenti e l'introduzione di nuovi geni ingegnerizzati. Anche per questo la ricerca prosegue, ma è ancora presto per avere tutte le risposte utili.

Ciò che permetterebbe di far progredire il settore è l’accelerazione degli studi clinici. Per fare ciò sarebbe opportuno aver collaudato un metodo che aumenti la tolleranza immunitaria in uno xenotrapianto. Il sistema immunitario, infatti, è uno dei protagonisti assoluti quando si parla di trapianto e, nel caso degli xenotrapianti, si aggiunge un ulteriore fattore di complessità: la diversità di specie. Come raccontato da uno degli esperti nell’articolo su Nature Biotechnology, le differenze tra le risposte immunitarie a stimoli xenogenici o allogenici sono state studiate per oltre mezzo secolo. Purtroppo, come queste differenze influenzino il meccanismo del rigetto è ancora poco chiaro. A volte è sufficiente il trattamento immunosoppressivo standard anche per gli xenotrapianti, altre volte non è sufficiente: la sopravvivenza a lungo termine degli xenotrapianti potrebbe quindi richiedere un'immunosoppressione più invasiva. Questo sarà un importante argomento di ricerca in futuro, insieme alle strategie per limitarne la tossicità. Alcuni studi suggeriscono che l'immunosoppressione per lo xenotrapianto potrebbe essere più mirata e meno invasiva di quella per l'allotrapianto, ma è ancora tutto da vedere.

Un’altra preoccupazione, oltre alla buona riuscita dell’operazione, è la funzionalità a lungo termine: aumentare le possibilità di sopravvivenza ed evitare il fallimento d’organo resta una priorità, anche se – almeno sulla carta - è senza dubbio più facile sostituire un organo proveniente da maiale rispetto all’infinita attesa delle liste trapianti.

XENO…ETICA

Attualmente l'assenza di dati clinici solidi rende difficile fornire un consenso informato ai pazienti. Anche se le incognite esistono in qualsiasi sperimentazione clinica, il processo di consenso nello xenotrapianto deve tenere conto di nuovi fattori, come ad esempio il rischio di virus suini non identificati in precedenza che possono causare malattie nell'uomo. Fornire informazioni sufficienti al paziente e ai suoi contatti più stretti per consentire di comprendere e riflettere sulle possibili conseguenze impreviste è necessario per rispettare l'imperativo etico. E ad oggi, purtroppo, non è ancora possibile rispondere adeguatamente a questa necessità.

Gli interrogativi bioetici non finiscono qua. Le società occidentali hanno scelto di usare i maiali come fonte di cibo, e la maggior parte delle persone riterrebbe che il loro utilizzo per i trapianti abbia uno scopo moralmente più elevato. Una gerarchia morale che valorizza la vita umana rispetto alle altre forme di vita è indubbiamente antropocentrica, ma la maggior parte degli individui troverà accettabile l'uso di maiali come fonte di xenotrapianto se gli animali ricevono cure compassionevoli ed eticamente difendibili.

Le valvole cardiache di suino e bovino fanno già parte della clinica e le isole pancreatiche di suino per il trattamento del diabete di tipo 1 sono in fase di sperimentazione: gli organi vascolarizzati sono più impegnativi del trapianto di cellule e richiedono maggiori attenzioni, tra cui un maggior numero di modifiche genetiche per risultare compatibili con l’ospite. Tra i prossimi tessuti individuati per lo xenotrapianto ci sono le isole pancreatiche e la cornea, ma i tempi per arrivare a una sperimentazione clinica autorizzata di questo tipo sono ancora molto lunghi e richiedono molti dati e ricerche precliniche. Esperienze singole in pazienti viventi attraverso un’autorizzazione di emergenza per "uso compassionevole” o in pazienti deceduti accumuleranno informazioni e dati, ma non saranno sufficienti. Quando si arriverà a una sperimentazione clinica, allora si potrà iniziare a delineare meglio il futuro degli xenotrapianti. L’accesso tempestivo a organi sani, e compatibili, riscriverebbe la storia di molti pazienti. 

Molti sono gli aspetti positivi, di più i dubbi e le criticità – dal punto di vista tecnico-scientifico ed etico – ma ormai gli xenotrapianti si sono ritagliati il loro spazio nella ricerca e l’investimento da 21,4 milioni di dollari alla Johns Hopkins, in collaborazione con United Therapeutics, contribuirà a far progredire la ricerca nel settore. Un organo di maiale potrà davvero salvarci la vita in futuro?

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