L’Innovative Genomics Institute di Jennifer Doudna ha pubblicato un nuovo capitolo dell’enciclopedia libera di CRISPR dedicato alle problematiche morali della correzione del DNA
La premessa è doverosa: i giudizi etici sono influenzati da cultura di appartenenza, religione, esperienze di vita, valori personali e altro ancora. Non può esistere, dunque, un solo modo di tracciare il confine tra giusto e sbagliato, né di soppesare i pro e i contro di una tecnica versatile come l’editing genomico. Di conseguenza il nuovo contributo pubblicato online nella sezione CRISPRpedia, curato dalla bioeticista di Berkeley Jodi Halpern insieme alla divulgatrice Hope Henderson, non vuole essere un decalogo di imperativi morali. Rappresenta piuttosto una rassegna ragionata dei punti critici più dibattuti e costituisce una bussola utile per insegnanti e studenti, medici e pazienti, e in generale per tutte le persone curiose.
Chi è interessato agli aspetti bioetici delle applicazioni agrarie e ambientali non resterà deluso. In questa sede, però, preferiamo soffermarci sulle questioni di rilevanza biomedica. Il punto di partenza è una panoramica sulle mutazioni indesiderate che si verificano quando CRISPR modifica il sito giusto in modo errato o quando agisce su un sito diverso da quello per cui la tecnica era stata programmata (effetti on target e off target). Siamo sicuri che i benefici della correzione genetica superino i rischi? La risposta non può che essere: dipende. Perché la frequenza di questo tipo di incidenti può essere minimizzata con degli stratagemmi tecnici ma non azzerata, perciò prima di approvare una nuova terapia basata sull’editing le autorità competenti devono mettere sull’altro piatto della bilancia la gravità della malattia e l’efficacia delle alternative terapeutiche.
La seconda questione passata in rassegna riguarda la giustizia sociale: la piattaforma CRISPR è economica ma le cure che ne derivano possono costare centinaia di migliaia di dollari per dose, persino milioni. Queste terapie avanzate aiuteranno solo i ricchi dei paesi ricchi? La preoccupazione è urgente e reale (Osservatorio Terapie Avanzate ne ha parlato qui), anche se ovviamente molte disuguaglianze sono già presenti e diffuse, con o senza l’editing. L’accesso ineguale in campi che vanno dal cibo all’istruzione ha conseguenze concrete per le aspettative di vita delle persone. E se un giorno le famiglie agiate potessero liberare la propria discendenza dalle malattie genetiche e persino ridurre il rischio di insorgenza di patologie cardiache, cancro, diabete? Il divario si spalancherebbe in modo definitivo, certo, ma vien da sé che questa prospettiva è lontana, forse più affine alla fantascienza di Gattaca che alla scienza di CRISPR.
Eliminare malattie e disabilità avrebbe anche conseguenze negative? La convinzione che la vita umana abbia un valore intrinseco e che la diversità sia una ricchezza è comune a molte correnti di pensiero, religiose e non solo. In quest’ottica, eliminare il più possibile la sofferenza causata dalle malattie implica anche ridurre la diversità e la resilienza umana, e forse marginalizzare ulteriormente i disabili e i malati rimasti. Sullo sfondo si agitano i fantasmi dell’eugenica, a cui la CRISPRpedia dedica un approfondimento. Secondo un punto di vista diametralmente opposto, ridurre dolore, deficit e morti premature è un imperativo morale, dunque schierarsi dalla parte della diversità non può voler dire perpetuare sofferenze evitabili.
Talvolta i critici affermano che modificare il genoma umano equivale a usurpare il ruolo di Dio. Adottando una prospettiva laica possiamo chiederci: la scienza sopravvaluta la propria capacità di prevedere le conseguenze delle sue invenzioni? Ovviamente agire comporta dei rischi, ma anche non agire ha un prezzo, talvolta salato. E allora il problema diventa capire chi e come dovrebbe influenzare i processi decisionali, tenendo ben presente che non ha senso dire sì o no in blocco a una tecnologia che può essere usata in modi differenti con molteplici scopi.
Alcune applicazioni appaiono più controverse di altre. Ad esempio, perché l’editing somatico viene contrapposto all’editing ereditabile? Il primo approccio riguarda solo le cellule malate di individui già nati ed è visto dai più con favore. Il secondo approccio invece riguarda la linea germinale (cellule sessuali/embrioni) ed è vietato praticamente ovunque nel mondo. La maggioranza degli scienziati ritiene che la tecnologia CRISPR non sia sufficientemente matura per utilizzarla a cuor leggero a scopo riproduttivo, anche perché di solito gli aspiranti genitori portatori di gravi difetti genetici hanno a disposizione delle alternative per mettere al mondo figli sani (la diagnosi preimpianto consente di scartare gli embrioni difettosi prima del trasferimento in utero). Inoltre molti ritengono che la nostra comprensione del ruolo dei geni sia ancora troppo parziale per prendere decisioni epocali, che in teoria potrebbero cancellare alcune varianti dal pool genico della specie umana.
Restando nel campo dell’editing somatico, la domanda successiva è: si può tracciare uno spartiacque fra interventi a scopo terapeutico e a scopo di potenziamento? In linea di massima molti ritengono che non sia accettabile intervenire per potenziare caratteristiche ritenute desiderabili (come l’intelligenza), mentre è utile farlo per rimediare a condizioni patologiche. Le argomentazioni spaziano dalla condanna della tracotanza della scienza, all’elogio della diversità, al timore di crescenti ingiustizie, senza dimenticare la questione dell’autonomia riproduttiva. I genitori devono essere liberi di scegliere per i propri figli o la società deve porre dei limiti?
Tracciare una linea dritta, oltretutto, non è sempre facile: ad esempio, è consigliabile correggere il DNA per ridurre le probabilità di insorgenza di una malattia che potrebbe anche non presentarsi? Il dibattito è aperto, ma è bene ricordare che l’esperimento che ha portato alla nascita delle prime bambine CRISPR - geneticamente corrette per evitare futuri contagi con il virus HIV - è stato condannato fermamente dalla comunità scientifica (e non solo), per l’obiettivo scelto oltre che per l’esecuzione maldestra. Un classico argomento è quello del pendio scivoloso: le applicazioni meno controverse faciliteranno l’accettazione di quelle più problematiche? A pensarci bene, forse, si potrebbe anche ribaltare il ragionamento: ha senso invocare la paura di possibili abusi per proibire gli usi benefici?