Cuore e reni sono il focus di interesse negli studi sui trapianti di organo da maiale a essere umano e le sperimentazioni e i risultati sono sempre di più, anche se si tratta di casi singoli
Migliaia di pazienti con malattie renali, epatiche, cardiache e polmonari in fase terminale muoiono ogni anno in attesa della disponibilità di un organo adatto al trapianto. Esistono diversi approcci per aumentare la disponibilità di organi per il trapianto, tra cui una migliore conservazione degli organi, lo sviluppo di tecniche innovative per effettuare i trapianti e una maggiore sensibilizzazione del pubblico sull’importanza della donazione di organi. Un'altra opzione sono gli xenotrapianti, cioè il trapianto di organi animali in esseri umani, che negli ultimi mesi sono apparsi spesso sulle riviste scientifiche più importanti al mondo e, proprio a causa dell’aumento degli studi e dei risultati concreti in questo ambito, si inizia a discutere sulla loro reale potenzialità.
DUE MESI DI VITA GRAZIE A UN CUORE DI MAIALE
Uno studio pubblicato quest’estate su The Lancet ha descritto il primo xenotrapianto di successo di un cuore di maiale geneticamente modificato ad un essere umano che era in uno stadio terminale di insufficienza cardiaca e che non aveva i requisiti per un trapianto tradizionale. La procedura - autorizzata dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti in base alle disposizioni sull’uso compassionevole - è stata condotta da un gruppo di ricercatori e chirurghi della University of Maryland School of Medicine (UMSOM) nel gennaio 2022 e ha segnato un punto di svolta nella scienza dei trapianti.
Il paziente di 57 anni, David Bennett Sr., è stato operato presso l'University of Maryland Medical Center e, per quasi sette settimane dopo l'intervento, ha registrato una forte funzionalità cardiaca senza segni evidenti di rigetto acuto. Purtroppo, un'improvvisa insorgenza di insufficienza cardiaca lo ha portato alla morte due mesi dopo il trapianto. Da allora, l'équipe di trapianti ha condotto studi approfonditi sui processi fisiologici che hanno portato all'insufficienza cardiaca per identificare i fattori che possono essere prevenuti nei trapianti futuri e migliorare le probabilità di successo a lungo termine.
I risultati dello studio evidenziano una serie di fattori che potrebbero aver avuto un ruolo nel declino funzionale dell’organo: il cattivo stato di salute del paziente prima del trapianto, l’uso limitato dei farmaci anti-rigetto a causa dei problemi pre-esistenti, la somministrazione di una immunoglobulina per uso endovenoso che potrebbe aver contribuito a danneggiare le cellule del muscolo cardiaco, la presenza di un virus latente - il citomegalovirus suino - nel cuore trapiantato (anche se non ci sono prove di infezione). Tutte queste analisi e le informazioni raccolte sono preziose per proseguire le ricerche e portare gli xenotrapianti a un livello più alto.
Un altro caso, molto recente, si è concluso in maniera simile: il 31 ottobre è stato pubblicato un comunicato stampa dall'University of Maryland Medical Center per comunicare il decesso di Lawrence Faucette, uomo di 58 anni che il 20 settembre si era sottoposto al trapiando di cuore con un organo proveniente da maiale. Nonostante un primo mese con progressi significativi in termini di recupero e funzionalità cardiaca, negli ultimi giorni il cuore di suino ha mostrato segni di rigetto.
E POI I RENI, ANCHE SE NON PER LA PRIMA VOLTA
Di xenotrapianto di reni avevamo già parlato a novembre 2021: all’epoca al all’ospedale NYU Langone Health di New York è stato trapiantato un rene di maiale, geneticamente modificato per ridurre il rischio di rigetto, in una donna cerebralmente morta. L’organo ha funzionato per poco più di due giorni e, pur non essendo stata un’operazione salvavita viste le condizioni pregresse della paziente, ha permesso di raccogliere importanti dati per la ricerca. Questo risultato ha stimolato il gruppo di Robert Montgomery, direttore del NYU Langone Transplant Institute e alla guida dell’operazione, a proseguire le sperimentazioni sul tema.
Un gruppo di ricercatori dell’University of Alabama at Birmingham Heersink School of Medicine (stati Uniti) ha recentemente pubblicato uno studio sulla rivista JAMA Surgery sui risultati di uno xenotrapianto di rene per trattare i casi più gravi e terminali di malattia renale cronica. Le sperimentazioni precliniche e cliniche precedenti, tra cui quella del NYU Langone Health, hanno dimostrato la produzione di urina da parte dell’organo, ma non la clearance della creatinina. Quest’ultima è una sostanza prodotta dalla degradazione della creatina, una proteina che si trova nei muscoli scheletrici e nel cuore e che ha la funzione di fonte di energia. Una volta prodotta, viene rilasciata nel sangue, tramite il quale arriva ai reni e viene eliminata tramite le urine. Misurare questo valore permette di indagare la funzionalità del rene. Se il rene di maiale trapiantato non è in grado di sopperire a questa funzione, l’organismo umano non può sopravvivere.
Nello studio è stato valutato un uomo di 50 anni dichiarato in morte cerebrale e supportato dalle macchine. Gli animali donatori sono stati sottoposti a dieci modifiche genetiche per abbassare la probabilità di rigetto dell’organo. I risultati sono stati interessanti, pur essendo molto limitati. L’uomo, con un danno renale acuto in aggiunta alla malattia renale cronica e all’ipertensione, è stato sottoposto al trapianto di entrambi i reni e trattato con immunosoppressori. Dopo lo xenotrapianto, i valori di creatina sierica si sono normalizzati nel giro di 48 ore e la clearance è migliorata. Poiché lo studio rappresenta un caso singolo, la generalizzabilità dei risultati è limitata ma rappresenta comunque una prima prova di fattibilità.
Sempre restando sul tema dei trapianti di rene, è recente la notizia di un primate sopravvissuto due anni dopo un trapianto di rene di maiale geneticamente modificato: uno dei periodi più lunghi registrati finora per un trapianto d’organo interspecie. In un recentissimo articolo su Nature, i ricercatori della biotech eGenesis e dell’Harvard Medical School descrivono il successo del trapianto di reni di maiali, in miniatura e geneticamente modificati, in scimmie della specie Macaca fascicularis. Evidenziando le numerose modifiche apportate al genoma del maiale, gli autori dimostrano in vivo e in vitro che queste alterazioni sono giustificate e che potrebbero aiutare a superare gli ostacoli immunologici del trapianto di organi di maiale nelle persone, e a prolungare la sopravvivenza degli organi. L’immunocompatibilità è, infatti, uno dei temi principali quando si parla di trapianti, siano essi tra organismi della stessa specie o interspecie.
STUDIARE IL MECCANISMO DI RIGETTO
Le incompatibilità immunologiche interspecie sono note dall’inizio del 1900: negli anni della Guerra Mondiale, Karl Landsteiner studiava il modo per fare trasfusioni di sangue per salvare i soldati, ma non riusciva a capire perché a volte andava bene e altre andava male. Iniziò con le trasfusioni da animale e rilevò che conducevano a esiti ben poco piacevoli, ma lo stesso accadeva tra gli esseri umani, anche se non sempre. Scoprì così l’esistenza dei gruppi sanguigni e, negli anni seguenti, anche del concetto di incompatibilità e anche della reazione di rigetto. Anche se da allora le cose sono molto cambiate, grazie alle aumentate conoscenze di anatomia, all’evoluzione della chirurgia e alla scoperta di farmaci in grado di limitare la risposta immunitaria dell’organismo nei casi di trapianto, il problema del rigetto rimane centrale. Se a questo aggiungiamo la specie diversa, le cose si complicano ulteriormente.
È quindi importante studiare a fondo questo fenomeno, anche se risulta difficile dato che gli xenotrapianti fatti sono pochi e quasi sempre su individui cerebralmente morti e tenuti in vita dalle macchine. Un recente studio pubblicato su The Lancet ha utilizzato la fenotipizzazione per cercare di comprendere meglio i meccanismi di rigetto anticorpo-mediato analizzandone i primi segnali, come ad esempio l’infiammazione microvascolare o l’attivazione delle cellule endoteliali. Durante la reazione immunologica nei confronti di un tessuto estraneo, gli anticorpi lo distruggono in poche ore e, come è facile immaginare, sono sempre presenti negli xenotrapianti. Motivo per cui sono fondamentali i farmaci che limitano questa risposta e l’introduzione di modifiche genetiche nell’organo animale da utilizzare. I risultati suggeriscono che, nonostante gli esiti favorevoli a breve termine e l’assenza di risposta iperacuta, potrebbe esserci un rigetto anticorpo-mediato nel lungo termine. La raccomandazione è, quindi, di studiare a fondo la risposta umorale, che è quella che coinvolge ad esempio l’attivazione di macrofagi e monociti, l’attivazione endoteliale, l’attivazione del sistema del complemento.
PRODUZIONE DI ORGANI IN SERIE
Gli xenotrapianti, se dovessero raggiungere un livello di sicurezza tale da renderli pratica clinica di routine, potrebbero salvare molte vite e i maiali sono la specie che ha gli organi morfologicamente e fisiologicamente più compatibili con quelli umani. Tuttavia, questa pratica ha dei rischi e sono diverse le riflessioni da fare. L’utilizzo di organi provenienti da animali risolverebbe le questioni bioetiche relative alla donazione in seguito a morte cerebrale e ai rischi della donazione da vivente. Inoltre, sarebbe la soluzione ideale per i pazienti in attesa di un trapianto multiviscerale - nel quale è previsto l’intervento su stomaco, intestino, pancreas e fegato simultaneamente – che restano in attesa molto tempo perché inseriti in più liste d’attesa. Il maiale è l’animale che ad oggi ha dimostrato di essere più adatto a questo scopo, come abbiamo già raccontato qui.
Nonostante i progressi e i risultati che fanno ben sperare, le questioni bioetiche rimangono e alcuni temi meritano particolarmente attenzione. Un commento pubblicato di recente sulla rivista Clinics pone l’attenzione sull’equilibrio tra l’autonomia di scelta, i benefici e il riconoscimento di possibili danni alla società e all’ambiente. Innanzitutto, l’autonomia di scelta è un tema complesso: firmare un consenso informato per sottoporsi a una pratica di questo tipo è una sfida perché i rischi e i benefici a lungo termine sono ancora sconosciuti. A questo si aggiunge il rischio di contrarre infezioni da retrovirus endogeni suini presenti nell’organo trapiantato, che potrebbero rappresentare un problema di salute pubblica. Su questo si sta lavorando grazie a CRISPR, che permette di rimuovere i retrovirus ma, in ogni caso, sarà necessaria una sorveglianza a lungo termine. Inoltre, il tema della spesa è altrettanto rilevante: quanto costa produrre un suino geneticamente modificato col fine di utilizzare i suoi organi? A cui segue un altro inevitabile quesito: non c’è il rischio che questo fattore limiti l’applicazione di questa procedura alle persone con più potere economico?
Per quanto riguarda l’uso dei maiali, si deve parlare della loro condizione. Essendo già allevati a scopo alimentare, a livello sociale il rifiuto dovrebbe essere minore rispetto, ad esempio, ai primati non umani, ma devono essere trattati adeguatamente. Secondo il dottor Entwistle della Thomas Jefferson University, il confinamento, l'isolamento sociale (per evitare infezioni) e le procedure ripetute come i prelievi di sangue, che fanno parte del protocollo per la produzione di questi animali, violano le linee guida per la cura e l'uso degli animali da laboratorio e meritano, come minimo, una discussione e un dibattito pubblico aperto.
PIÙ DUBBI CHE CERTEZZE
Prima del trapianto di rene fatto in una persona cerebralmente morta a settembre 2021 al NYU Langone Health di New York, gli xenotrapianti erano stati tentati solo in primati non umani. Poi anni di ricerca si sono tradotti nel caso di David Bennet: il primo cuore di maiale trapiantato in un essere umano vivo e vegeto, con una gravissima compromissione della funzionalità cardiaca. Durante l’estate 2022, sempre al NYU Langone Health, sono stati trapiantati due cuori di maiale in essere umani deceduti ma tenuti in vita artificialmente: non sono stati riscontrati segni di rigetto e i cuori hanno funzionato normalmente. In queste situazioni è più facile raccogliere dati e fare spesso biopsie per monitorare i tessuti e per ampliare le conoscenze sul tema. Anche per gli xenotrapianti di reni ormai ci sono diverse sperimentazioni da raccontare e, molto probabilmente, aumenteranno ancora.
Gli xenotrapianti potrebbero essere la risposta concreta al numero insufficiente di organi a disposizione per rispondere alle richieste di chi ha la necessità di sostituire un organo o, forse, essere solo una terapia “ponte” prima di arrivare al trapianto con organi umani. Questo, ad oggi, non è possibile dirlo con sicurezza perché tutto dipenderà dai risultati degli studi clinici sulla funzionalità degli organi a lungo termine, la sopravvivenza e la qualità di vita della persona ricevente. A tutto ciò si aggiunge l’accettabilità a livello sociale di una pratica simile, in grado di scatenare accesi dibattiti bioetici: dilemmi, sfide e conflitti sono inevitabili e ci sarà chi è radicalmente a favore e chi radicalmente contro. Servirà ancora tempo prima di poter parlare dell’utilizzo su larga scala di questa pratica, ma l’orizzonte sembra più vicino.