La sindrome della persona rigida è una malattia autoimmune che causa ai malati una progressiva rigidità muscolare agli arti e al tronco, accompagnata da dolorosi spasmi muscolari. A rendere nota al grande pubblico questa rara condizione neurologica è stata la vicenda personale di Céline Dion, la cantante canadese universalmente riconosciuta per la colonna sonora del kolossal Titanic. La sindrome della persona rigida non ha una cura specifica ma il caso clinico di una paziente notevolmente migliorata dopo una terapia a base di cellule CAR-T ha provocato un rimbombo mediatico tale da attirare l’attenzione di numerose persone.
Sabato 7 settembre si celebrerà l’undicesima Giornata Mondiale di sensibilizzazione sulla distrofia muscolare di Duchenne (World Duchenne Awareness Day, WDAD). Uno dei temi più sentiti dalla comunità è ovviamente quello di una cura, che purtroppo ancora non è stata trovata: la terapia genica è da anni al centro dell’interesse di chi cerca una soluzione terapeutica per la distrofia muscolare di Duchenne, con qualche traguardo raggiunto ma senza reali rivoluzioni. L’approccio più studiato – e già autorizzato come trattamento negli Stati Uniti – si basa sulla terapia genica per la produzione di una forma ridotta, ma funzionale, della distrofina. Uno studio pubblicato a luglio su Nature Communication, punta, invece, a ripristinare la versione completa della proteina.
Probabilmente alla notizia di una nuova terapia a base di linfociti T approvata contro un tumore solido - per ora solo negli Stati Uniti - vari clinici, pazienti ed esperti del settore avranno esultato dai luoghi di villeggiatura dove stavano trascorrendo le vacanze estive. Mentre a gran parte delle persone l'autorizzazione, giunta all’inizio del mese di agosto, potrebbe esser passata inosservata. Eppure si tratta di una notizia da prima pagina per il settore delle moderne immunoterapie perché implica la disponibilità (perlomeno oltreoceano) di un trattamento basato sull’ingegnerizzazione dei linfociti T destinato a contrastare una rara neoplasia.
Le diverse tecniche di editing genomico sono ormai diventate una strategia promettente per la correzione di un'ampia gamma di mutazioni associate a diversi tipi di malattie genetiche. Un gruppo di ricerca spagnolo - guidato dalla dott.ssa Paula Río, a capo dell'Unità di Insufficienza del Midollo Osseo presso il centro di ricerca CIEMAT di Madrid e presidente della Società Spagnola di Terapia Genica e Cellulare - sta cercando di trovare una soluzione terapeutica per l’anemia di Fanconi, partendo dalla terapia genica fino ai primi esperimenti con il prime editing, strategia terapeutica che ha recentemente varcato la soglia degli studi clinici.
A giugno abbiamo parlato della storia di Uditi, una ragazza indiana affetta da encefalopatia familiare con corpi d’inclusione di neuroserpina (FENIB), e dell’incredibile sforzo della sua famiglia per trovare una soluzione terapeutica basata su CRISPR. Soluzione che purtroppo non è arrivata in tempo per Uditi, ma grazie alla quale si potranno probabilmente aiutare altre persone affette da questa terribile malattia rara. Osservatorio Terapie Avanzate ha parlato della patologia, delle sue basi genetiche, di progetti di ricerca e possibili future terapie con Maria Elena Miranda Banos, professoressa presso Sapienza Università di Roma nel Dipartimento di Biologia e Biotecnologie ‘Charles Darwin’, dove coordina l’unico gruppo di ricerca al mondo dedicato allo studio della FENIB.
Un gruppo di ricercatori cinesi ha sviluppato dei sensori biodegradabili e senza fili con l’obiettivo di identificare le variazioni nel cervello a seguito di traumi cranici o trattamenti contro il cancro, senza necessità di interventi chirurgici invasivi. Il sistema, testato solo su modelli animale, ha funzionato in modo stabile per un mese dopo l'iniezione nel cervello, iniziando poi a scomparire gradualmente. Sviluppare sensori in grado di accedere ad aree complesse come il cervello per monitorarne le condizioni è estremamente difficile e in questa ricerca sono state superate una serie di sfide notevoli. I risultati dello studio - nel caso risultassero ripetibili e sicuri nell’uomo - potrebbero essere in futuro utili in ambito medico. L’articolo è stato recentemente pubblicato su Nature.
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