All’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica è stato condotto uno studio clinico che ha confermato il successo di questo approccio in 8 pazienti

Sullo scacchiere delle malattie ereditarie rare la terapia genica conquista un altro territorio, quello della sindrome di Wiskott-Aldrich, allungando così l’elenco delle patologie in cui questo rivoluzionario approccio produce benefici non irrilevanti che ci avvicinano sempre più ad una possibile cura. A testimoniare questo successo è l’articolo di recente pubblicato sulla rivista Lancet Haematology riguardo ai risultati preliminari di uno studio clinico non randomizzato, in aperto, di Fase I/II nel quale sono stati arruolati 8 giovani pazienti affetti dalla sindrome di Wiskott-Aldrich ai quali è stata somministrata una innovativa terapia genica ideata per contrastare il meccanismo alla base della patologia.

Lo studio è stato condotto dal gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget), coordindato dal prof. Alessandro Aiuti, professore di Pediatria presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e vice direttore dell’istituto SR-Tiget. 
La sindrome di Wiskott-Aldrich è una rara malattia ereditaria che colpisce circa 4 persone ogni 100.000, tutte di sesso maschile dal momento che il meccanismo di trasmissione della patologia è associato al cromosoma X. Infatti, il gene WASP, oggetto delle mutazioni (ne sono state individuate circa 60) che scatenano questa condizione, si colloca sul cromosoma X (Xp11.22-11.23) che gli individui di sesso maschile posseggono in un’unica copia. La proteina WASP svolge un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’architettura della cellula perciò, nel momento in cui essa viene danneggiata o risulti assente, le cellule perdono stabilità. I pazienti affetti da sindrome di Wiskott-Aldrich sono perciò caratterizzati da un ridotto numero di piastrine (piastrinopenia) – che sono anche più piccole del normale – risultando perciò a grave rischio di emorragia. Inoltre, il loro sistema immunitario appare compromesso ed essi sono più suscettibili alle allergie ma, quel che è peggio, sono immunodeficienti e quindi fatalmente esposti alle infezioni batteriche e alle patologie autoimmuni. Non è facile stabilire una correlazione tra il genotipo e il fenotipo della malattia ma sono sufficienti questi due aspetti per comprendere che la sindrome di Wiskott-Aldrich può mettere a grave rischio la vita dei piccoli pazienti per i quali, al momento, non esiste una cura alternativa al trapianto da donatore compatibile. Un’opzione non disponibile per tutti i pazienti e che solleva il rischio del rigetto, della sindrome del trapianto contro l’ospite (GvHD) e dello sviluppo di fenomeni autoimmuni.

La sinergia tra l’IRCCS Ospedale San Raffaele, la Fondazione Telethon e GlaxoSmithKline, trasferita a Orchard Therapeutics solo un anno fa, ha permesso di avviare nel 2010 questo studio clinico che in 5 anni ha arruolato 9 bambini (1 è stato escluso dopo la fase di screening) di età compresa tra 1 e 12 anni su cui è stata sperimentata la terapia genica messa a punto dopo anni di studio e ricerche a partire dal lavoro del prof. Luigi Naldini, Direttore Istituto Telethon San Raffaele per la Terapia Genica, di recente insignito del Premio Louis-Jeantet per i suoi studi sull’uso dei vettori lentivirali all’interno dei protocolli di terapia genica.

Da un punto di vista operativo, i ricercatori hanno prelevato le cellule staminali dal sangue dai pazienti e le hanno modificate, usando uno specifico vettore lentivirale per portare al loro interno una copia corretta del gene WASP e spingerle così a produrre globuli bianchi e piastrine funzionali. Come delle vespe all’assalto (wasp in inglese significa vespa) le cellule ingegnerizzate hanno svolto alla perfezione il loro dovere: a 12 mesi dall’infusione la frazione mediana dei globuli bianchi è passata da 3,9% a 66,7% e quella delle piastrine da 19,1% a 76,6%. Il sistema immunitario si è normalizzato rendendo possibile la sospensione del trattamento con immunoglobuline in 7 pazienti. Anche il tasso di infezioni è precipitato ma, soprattutto, il conteggio delle piastrine è sensibilmente cresciuto in tutti i pazienti (prima della terapia era al di sotto delle 20×10⁹/L). “Nelle cellule, oltre al gene, viene inserito anche un suo “promotore naturale”, il cui compito è controllarne la sintesi in proteina. Questo fa sì che le cellule del paziente, una volta trattate, producano la proteina WASP nella quantità giusta, in modo fisiologico” – spiega la dott.ssa Francesca Ferrua, pediatra e prima firmataria dello studio insieme alla dott.ssa Maria Pia Cicalese. “Questo aspetto è fondamentale per ridurre al minimo il rischio di qualsiasi tipo di effetto collaterale.”

E, in effetti, oltre all’efficacia, un altro motivo di gioia per i ricercatori è la sicurezza del trattamento. Sono stati riportati solo effetti collaterali di natura infettiva nei primi 6 mesi dopo il trattamento mentre non sono state segnalate reazoni gravi alla somministrazione del composto né episodi leucemici o di proliferazione cellulare anomala. “Tutti i pazienti coinvolti nel trial clinico – il primo trattato nel 2010 e l’ultimo nel 2015 – stanno bene e non presentano più le continue infezioni, i disturbi autoimmuni e infiammatori o le gravi emorragie associate alla malattia” – spiega il prof. Alessandro Aiuti – “Il loro sistema immunitario è tornato a funzionare e produrre anticorpi. Il numero delle piastrine è aumentato considerevolmente, e anche se rimane inferiore alla norma, consente ai pazienti di fare una vita normale”.
 
Ora i ricercatori stanno lavorando alla possibilità di congelare le cellule staminali così modificate per permettere ai pazienti si essere trattati anche in strutture geograficamente distanti dai laboratori di produzione. “Una possibilità che consentirebbe, nel prossimo futuro, di allargare e semplificare l’accesso a questo tipo di terapie” – conclude Aiuti. Un ulteriore passo avanti reso possibile da un lavoro metodico e preciso e che costituirà un piano di discussione importante per la terapia genica.

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