Bimbi

Le due parti investiranno almeno 100 milioni di dollari ciascuno per sviluppare terapie geniche per l’anemia falciforme e l’HIV e portarle nelle zone del mondo colpite e con poche risorse. Non mancano però i dubbi

Se uno dei maggiori temi di discussione – o per meglio dire preoccupazione – intorno alle terapie geniche e cellulari è l’elevato costo di produzione che ne mina l’accessibilità anche nei Paesi più sviluppati, c’è già chi pensa a renderle disponibili anche in zone del mondo con scarsissime risorse economiche. Motivo che ha portato all'accordo tra la Bill & Melinda Gates Foundation e i National Institutes of Health (gli Istituti Nazionali di Sanità degli Stati Uniti).

Le due parti investiranno almeno 100 milioni di dollari ciascuno, nei prossimi quattro anni, per sviluppare terapie geniche per l’anemia falciforme - malattia genetica del sangue - e l’HIV, il noto virus alla base del la sindrome da immunodeficienza acquisita (AIDS). Con la promessa di renderle disponibili a livello globale, anche nei Paesi con poche risorse, ma colpiti duramente dalle due malattie, con particolare focus sull’Africa. Si stima che il 95% dei 38 milioni di persone con HIV vivano nei Paesi in via di sviluppo, e in particolare il 67% nell'Africa sub-sahariana. Mentre per quanto riguarda l’anemia falciforme se fino al 90% dei bambini che ne è affetto muore prima dei 5 anni nei Paesi a basso reddito, negli Stati Uniti, l'aspettativa di vita è di 40 anni.

Nel dettaglio la collaborazione si svolgerà in due fasi: la prima – cofinanziata da NIH e Gates Foundation – sarà focalizzata sull’identificare potenziali cure per l’anemia falciforme e l'HIV da sottoporre a valutazione preclinica e clinica; la seconda nel definire le opportunità di lavoro insieme e con i partner africani, a lungo termine, per far avanzare i candidati più promettenti fino agli studi clinici, con finanziamenti da determinare man mano che i progetti andranno avanti. Entrambe le organizzazioni continueranno, inoltre, parallelamente a investire in ricerche su nuove cure per entrambe le patologie, al di fuori di questa collaborazione. Sebbene l’anemia falciforme e l'HIV presentino sfide scientifiche diverse, per entrambe l’approccio di terapia genica sembra essere promettente. Inoltre, come riportano da NIH in una nota, ci si aspetta che molte delle problematiche tecniche delle terapie geniche siano comuni a entrambe le malattie. La collaborazione, in definitiva, ha l’ambizioso obiettivo di portare avanti cure geniche sicure, efficaci ed economiche in studi clinici negli Stati Uniti e nei Paesi rilevanti dell'Africa sub-sahariana entro i prossimi 7-10 anni.

Gli scienziati che si occupano di terapie geniche hanno accolto con favore la disponibilità di fondi per questa finalità, ma hanno mostrato anche una certa perplessità. Prima di tutto perché – come ha fatto notare Vijay Sankaran del Dana-Farber/Boston Children's Cancer and Blood Disorders Center, che ha svolto ricerche pionieristiche sulle cure genetiche per la malattia – si parla di portare terapie avanzate nei Paesi del terzo mondo, quando sempre lì, ancora non sono disponibili farmaci salvavita “tradizionali” e più economici. Come l'idrossiurea per quanto riguarda l’anemia falciforme o la terapia antiretrovirale per l’HIV, a cui ha accesso solo il 67% degli adulti e il 62% dei bambini sieropositivi dell'Africa orientale e meridionale. In secondo luogo lo sviluppo di cure geniche sarebbe solo il primo passo. Uno dei limiti che si riscontra anche nei Paesi più avanzati è la disponibilità di strutture mediche avanzate e di team specializzati per somministrare la terapia ai pazienti. Ricordiamo che nel caso della terapia genica “ex vivo” – tipo di terapia genica ad oggi ideata per l’anemia falciforme e per l’HIV - il processo di produzione e somministrazione della terapia è molto complesso. Prevede, infatti, l’estrazione delle cellule del paziente, la manipolazione genetica delle stesse, la somministrazione della chemioterapia per creare spazio per le “nuove” cellule modificate geneticamente, e infine la reinfusione di queste cellule. Tutto ciò deve essere seguito da un monitoraggio per diversi giorni in ospedale, per prevenire eventuali infezioni e fornire un intenso supporto medico in caso di reazioni avverse, che possono essere anche molto gravi. Tutte procedure molto complesse da eseguire nei Paesi più poveri. Motivo per cui secondo Dan Bauer, esperto di anemia falciforme del Boston Children's “in seguito allo sviluppo delle terapie ci saranno ulteriori ostacoli di accesso”.

Una soluzione potrebbe essere quella di sviluppare terapie geniche “in vivo” per cui il “gene terapeutico” viene veicolato all’interno dell’organismo, mediante un vettore virale, direttamente nella circolazione sanguigna del paziente. Approccio che Sankaran ha già discusso con i funzionari di Gates “per limitare le risorse necessaria e le complicazioni che possono verificarsi con le terapie ex vivo”. Questo supererebbe la complessità dell’estrazione, manipolazione e reinfusione delle cellule, ma certo è che rimane la grande incognita di come realizzare, organizzare e gestire strutture cliniche ed équipe specializzate per la somministrazione di tali terapie.

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