Sono molto incoraggianti i risultati diffusi tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 riguardo a diversi candidati di terapia genica in sviluppo clinico. Uno di questi è ora in valutazione presso l’EMA
Dare per scontato il buon funzionamento di alcuni sistemi dell’organismo ci impedisce di vedere le drastiche conseguenze che si producono quando essi vengono a mancare. È ciò che accade nelle immunodeficienze gravi in cui le difese immunitarie sono praticamente azzerate e chi ne è affetto rischia la vita anche solo a causa di una banale infezione.
Oppure nel caso dell’emofilia, una malattia ereditaria provocata dalla mancanza dei fattori indispensabili per la coagulazione del sangue, considerata un’essenziale barriera per contrastare i danni alle pareti dei vasi.
Infatti, se i processi coagulativi non funzionano si producono gravi perdite ematiche che mettono a serio pericolo la sopravvivenza. I risultati ufficializzati in questi ultimi mesi su pazienti affetti da emofilia A trattati con terapia genica mostrano un’importante riduzione del tasso di sanguinamento e una stabilità dell’azione nel tempo.
EMOFILIA A: NEL MIRINO DELLA TERAPIA GENICA
L’emofilia è una malattia ereditaria recessivo legato al sesso che colpisce circa un maschio su 5.000 ed è causata dalla carenza del Fattore VIII (FVIII), proteina fondamentale affinché la cascata coagulativa garantisca l’emostasi e limiti così i sanguinamenti. Come recentemente descritto dall’ematologa Margaret V. Ragni sulle pagine della rivista Science, la profilassi tramite infusione dei fattori di coagulazione mancanti è lo strumento più comune per prevenire le perdite ematiche. Tuttavia, la terapia con i fattori ricombinanti è un’opzione invasiva perché i pazienti devono ripeterla a intervalli regolari per tutta la vita. Inoltre, in circa un paziente su tre c’è il rischio che si formino anticorpi neutralizzanti diretti contro la proteina ricombinante esogena, riducendo l’efficacia del trattamento.
Pertanto, in questi ultimi anni la comunità scientifica sta impegnando importanti risorse nel campo nel campo della terapia genica che rappresenterebbe un’opportunità di “cura” della la patologia. Proprio come è avvenuto per l’ADA-SCID, l’immunodeficienza severa combinata da deficit di adenosina deaminasi - più conosciuta come “sindrome dei bambini bolla” - per la quale esiste una terapia genica efficace e sicura.
Per le sue caratteristiche genetiche, l’emofilia A rappresenta un bersaglio ideale per la terapia genica, (come già descritto qui): sono, infatti, diverse le terapie sperimentali in sviluppo clinico. I candidati in corso di valutazione differiscono soprattutto per la caratteristiche del vettore virale scelto per veicolare nelle cellule il frammento di DNA necessario a produrre il FVIII.
I RISULTATI CON SPK-801
A fine 2021 i ricercatori del Children’s Hospital di Philadelphia (CHOP), in collaborazione con i colleghi dell’Harvard Medical School, dell’Università di Pittsburgh, del Penn State Hershey Medical Center, dell’Oregon Health, dell’Università di Sydney in Australia and Science University e dell’azienda Spark Therapeutics, hanno pubblicato un articolo sulla prestigiosa rivista The New England Journal of Medicine nel quale sono stati riportati i buoni risultati di uno studio clinico di Fase I/II con una terapia genica ideata per ripristinare la funzione del Fattore VIII in pazienti con emofilia A. In particolare, è stato osservato come la produzione di FVIII si mantenga per periodi prolungati, riducendo in maniera significativa il rischio di emorragie.
La terapia sperimentale, denominata SPK-801, si basa sull’utilizzo di un vettore virale adeno-associato (AAV) grazie a cui vengono veicolate le istruzioni genetiche per produrre FVIII. Il trattamento è stato somministrato a 18 individui di sesso maschile di età compresa tra 18 e 52 anni: in 16 dei 18 partecipanti allo studio l’espressione del FVIII si è mantenuta per l’intera durata dello studio (circa due anni), con una riduzione del 91,5% degli episodi emorragici. I pazienti hanno così potuto interrompere la profilassi standard. Insieme al buon profilo di sicurezza dimostrato da SPK-8011, questi risultati sono la prova tangibile delle potenzialità della terapia genica per contrastare l’emofilia.
I RISULTATI CON VALOCTOCOGENE ROXAPARVOVEC
Giusto un paio d’anni fa fu annunciato che era stato trattato in Italia, con una terapia genica sperimentale sviluppata da BioMarin Pharmaceutical, il primo paziente con emofilia A. I dubbi sui rischi associati all’innovativa terapia e alla sua effettiva durata nel tempo non erano mancate. Immunogenicità, epatotossicità, genotossicità e limitata durabilità: i punti interrogativi erano molti, come ricorda Margaret V. Ragni, ma il più recente annuncio da parte dell’azienda ha contributo a spazzare via gran parte di questi dubbi.
Infatti, la biotech statunitense ha diffuso i risultati del trial clinico di Fase III GENEr8-1 in corso in diversi Paesi del mondo (inclusa l’Italia con l’Ospedale Maggiore del Policlinico di Milano) con la terapia genica denominata valoctocogene roxaparvovec. Con i suoi 134 pazienti affetti da emofilia A grave arruolati, si tratta del più grande studio globale di Fase III fino ad oggi realizzato su una qualsiasi terapia genica contro l’emofilia.
Il valore di questo studio è legato al fatto che dopo l’arruolamento dei primi 22 partecipanti - che al momento dell’analisi dei dati avevano tutti almeno 24 mesi di follow-up - gli altri 132 sono stati inseriti in un trial separato non interventistico in modo da valutare prospetticamente il numero e il tipo di episodi emorragici, l’uso della profilassi con FVIII e la qualità della vita prima di ricevere una singola infusione di valoctocogene roxaparvovec. È stato così possibile osservare come il tasso di sanguinamento annuo si sia ridotto di circa l’85% e con esso si è ridotto anche il tasso medio di infusioni di FVIII. Parallelamente, l’attività del FVIII nei pazienti che hanno ricevuto valoctocogene roxaparvovec si è mantenuta stabilmente nel tempo a due anni dalla somministrazione.
Il beneficio clinico della terapia è dunque evidente e - insieme al buon profilo di sicurezza osservato - costituirà un valore aggiunto al processo di valutazione da parte dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) a cui BioMarin ha presentato una domanda di autorizzazione all’immissione in commercio. Nel frattempo, l’azienda fa sapere che è previsto entro la prima metà del 2022 l’arrivo dei pareri del Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) e del Comitato per le Terapie Avanzate (CAT).
E mentre è stato avviato il percorso regolatorio di valutazione di valoctocogene roxaparvovec, non si interrompe quello sugli studi clinici. È, infatti, in corso un ulteriore trial (denominato GENEr8-3) nel quale alla terapia genica viene abbinata la somministrazione di steroidi. L’obiettivo è di osservare se questa combinazione sia in grado di contrastare la risposta immunitaria che può svilupparsi contro il vettore virale utilizzato per veicolare il gene terapeutico e che ne mina l’efficacia.