Globuli rossi

Sangamo Therapeutics insieme a Pfizer, BioMarin e Spark Therapeutics. Molte le biotech a lavoro per sviluppare la prima terapia genica per la grave coagulopatia

In biologia una delle variabili capaci di far impennare il tasso di evoluzione di una specie è la competitività che costringe preda e predatore ad evolvere meccanismi, rispettivamente di difesa e attacco, sempre più adeguati e funzionali. Allo stesso modo, la gara tra BioMarin, Spark Therapeutics e il duo Sangamo Therapeutics-Pfizer per vedere quale azienda porterà sul mercato la prima terapia genica contro l’emofilia A sta diventando di giorno in giorno più serrata. Chi riuscirà a tagliare per primo la linea del traguardo vanterà un cospicuo vantaggio sulle concorrenti. E da questo testa a testa non possono che trarre profitto i pazienti che possono sperare così di veder giungere quanto prima sul mercato una terapia risolutiva per la propria malattia.

SANGAMO-PFIZER

In ordine cronologico gli ultimi aggiornamenti sono giunti dal tandem costituito da Sangamo Therapeutics e Pfizer. Riguardano la terapia genica sperimentale SB-525, sviluppata da Sangamo e composta da un vettore virale adeno-associato ricombinante (AAV6) in grado di veicolare la copia funzionale del gene del Fattore VIII (FVIII) umano. Infatti, l’emofilia A è una coagulopatia ereditaria provocata dal deficit di FVIII nella cascata coagulativa. Il processo di coagulazione del sangue è un tortuoso susseguirsi di passaggi ognuno dei quali vede protagonista diversi enzimi, fattori o recettori. La carenza - o totale mancanza - di uno di questi si traduce in un difetto di coagulazione e in una emostasi inefficiente con la conseguenza che i pazienti affetti dalla malattia incorrono sin dall’infanzia in pericolosi episodi di sanguinamento e in emorragie dagli esiti potenzialmente molto gravi.

Dal momento che questa è una patologia genetica ereditaria recessiva legata al sesso, e che il gene che codifica per il FVIII è stato localizzato sul cromosoma X (Xq28), l’approccio terapeutico permesso dalla terapia genica ha contribuito a rendere l’emofilia A un terreno di prova ideale per le diverse aziende biotecnologiche impegnate in questo settore. Solo pochi giorni fa, nel corso del XXVII Congresso della Società Internazionale di Trombosi ed Emostasi tenutosi a Melbourne (Australia) Sangamo e Pfizer - da un paio d’anni impegnate in una partnership lavorativa - hanno dato annuncio dei risultati preliminari ottenuti nell’ambito dello studio clinico di Fase I/II Alta. Il trial è condotto in aperto, con una singola infusione a dose variabile, e progettato per valutare la sicurezza e la tollerabilità della terapia genica sperimentale SB-525 in pazienti con emofilia A grave. Lo studio, avviato nel 2017, prevede l’arruolamento di 20 pazienti e dovrebbe concludersi nel 2022 (compreso il periodo di follow-up). I risultati preliminari ottenuti dai primi 10 pazienti trattati hanno fornito un primo quadro delle potenzialità di questa nuova terapia genica.

Secondo i dati presentati a Melbourne i 10 pazienti, tutti di sesso maschile e di età compresa tra 18 e 47 anni (età media: 31 anni), sono stati suddivisi in 4 coorti di studio definite da quattro diversi dosaggi, in crescendo, di SB-525. È stato osservato che i livelli di FVIII erano aumentati in relazione alla dose di terapia somministrata: i primi due pazienti trattati con la dose più alta hanno raggiunto rapidamente livelli di normalità relativi all’attività di FVIII, misurata utilizzando un test cromogenico, senza che si siano prodotti significativi eventi di sanguinamento. Tale risposta si è mantenuta fino a 24 settimane. Un risultato che conferma la sicurezza del trattamento e che dà indicazioni anche sull’efficacia e l’affidabilità della terapia sperimentale, che sta tra l’altro trovando eco anche nei dati relativi agli altri due pazienti trattati più di recente con la stessa dose di SB-525. Oltre a ciò, è stato osservata una riduzione della necessità di ricorrere alla terapia di sostituzione a base di FVIII ricombinante proporzionale alla dose di SB-525 somministrata, ad evidente vantaggio del dosaggio maggiore rispetto agli altri tre minori.

Un importante punto è che la terapia genica SB-525 è stata generalmente ben tollerata: gli eventi avversi più frequentemente riscontrati sono stati l’aumento delle transaminasi epatiche (AST e ALT), ipotensione, affaticamento, piressia, mialgia e tachicardia. Un solo paziente ha manifestato un evento avverso di tipo grave che si è fortunatamente risolto nel giro di 24 ore, a supporto del buon profilo di sicurezza della terapia il quale dovrà, comunque, continuare ad essere attentamente indagato durante il periodo di follow-up dei pazienti. “I primi risultati con la terapia genica SB-525 per i pazienti con emofilia A grave continuano a sembrare molto promettenti” - afferma la dott.ssa Barbara Konkle, dell’Università di Washington, che coordina lo studio Alta - “È incoraggiante che i pazienti nella coorte 3x1013 vg/kg abbiano raggiunto livelli di FVIII normali entro 5-7 settimane dall’inizio del trattamento sostenendo l’attività del FVIII senza episodi di sanguinamento. Sarà importante continuare a seguire questi pazienti per comprendere la potenziale durata a lungo termine di questa terapia genica”.

Nel frattempo la Food and Drug Administration (FDA) ha concesso la designazione di farmaco orfano, quella di RMAT (Regenerative Medicine Advanced Therapy) e la Fast Track a SB-525, che ha ricevuto la designazione di medicinale orfano anche dall’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA).

BIOMARIN PHARMACEUTICALS

Inevitabilmente, il successo di Sangamo-Pfizer non è passato inosservato tra le altre aziende impegnate nella ricerca contro l’emofilia. BioMarin e Spark Therapeutics sono più avanti rispetto a Sangamo-Pfizer, perché le loro sperimentazioni sono già in Fase III, ma un punto su cui il confronto si fa duro è la durata nel tempo dell’effetto della terapia.

I dati provenienti dallo studio di Fase II di BioMarin con valoctocogene roxaparvovec (valprox) hanno messo in luce lievi tassi di sanguinamento riconducibili ad un abbassamento del livello di FVIII, stabilito con test cromogenico, negli anni a seguire il trattamento. Quest’osservazione ha sollevato qualche dubbio sull’efficacia della terapia a lungo termine. L’azienda ha avviato uno studio clinico di Fase III e, disponendo di informazioni su un periodo di follow-up più lungo, punta ad ottenere un’approvazione dalle autorità regolatorie americane già entro la fine del 2020. Tanto che Hank Fuchs, presidente del settore Ricerca e Sviluppo di BioMarin, auspica che l’approvazione accelerata di valprox costringa i diretti concorrenti a studi con follow-up più lunghi prima dell’approdo sul mercato.

SPARK THERAPEUTICS

Ancora diversa appare la situazione di SPK-8011, la terapia messa a punto nei laboratori di Spark Therapeutics che ha prodotto ottimi riscontri negli studi di Fase I/II, con una significativa riduzione del rischio di emorragie, ma che ha anche dovuto fare i conti con qualche problema di sicurezza. I vertici della start-up statunitense hanno comunque annunciato l’avvio di uno studio clinico di Fase III del quale sono attesi a breve gli aggiornamenti.

E IN ITALIA?

Gli anglosassoni non sono gli unici partecipanti ad una corsa che mette in palio la cura per l’emofilia A. In Italia i ricercatori dell’SR-Tiget di Milano, guidati dal prof. Luigi Naldini, sono al lavoro sulla possibilità di usare i vettori lentivirali nel tentativo di ottenere una più stabile espressione del gene corretto nelle cellule del fegato e della milza.

Una sana competizione dalla quale la comunità di pazienti emofilici spera di veder emergere una terapia in grado di contrastare i sintomi di una malattia monogenica che, analogamente alla talassemia, possiede caratteristiche tali da renderla perfetta per mettere a punto una terapia genica risolutiva. Perché, in fondo, non è sbagliato declinare in termini di evoluzione la ricerca di una nuova cura contro una rara ma pericolosa malattia.

Con il contributo incondizionato di

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