Premio

Dalle CAR-T alla terapia genica, passando per le staminali. Sono quattro i ricercatori italiani premiati al Congresso dell'American Society of Hematology (ASH)


L’Italia si sa, è la culla di molte terapie avanzate. Qui – per citarne qualcuna – sono nate la prima terapia di medicina rigenerativa a base di cellule staminali autologhe (Holoclar) e la prima terapia genica con cellule staminali approvata al mondo (Strimvelis). E il filone della ricerca d’eccellenza non sembra essersi estinto, come confermano i recenti premi assegnati a quattro ricercatori italiani, durante il 61esimo Congresso dell'American Society of Hematology (ASH), svoltosi dal 7 al 10 dicembre a Orlando in Florida. Leucemia mieloide acuta (LMA) resistente alla terapia, anticorpi bispecifici, un diverso approccio per la cura della beta-talassemia e CAR-T “low-cost”, sono i promettenti ambiti su cui sono impegnati i giovani “trainees” premiati.

Il microambiente della LMA

Ogni anno l’ASH assegna i “top trainee abstracts” agli “apprendisti” (ovvero studente universitario, studente di medicina, studente laureato, medico residente e borsista post dottorato MD o PhD) che si sono distinti per il loro lavoro, proprio per supportare “la prossima generazione di leader nel settore”. Tra questi c’è Marilena Ciciarello, dell'Istituto di Ematologia Seragnoli, ospedale Sant'Orsola-Malpighi di Bologna, che ha ricevuto l'ASH Giuseppe Bigi Memorial Award per uno studio sull’importanza del microambiente del midollo osseo nella LMA. Ciciarello ha scoperto che le cellule stromali mesenchimali, che normalmente svolgono un'azione positiva e utile alla corretta produzione delle cellule del sangue, in presenza del tumore lo alimentano. Proprio questo potrebbe essere il motivo per cui la malattia a volte torna, nonostante l'efficacia iniziale dei trattamenti anche mirati. La ricercatrice ha inoltre capito che una molecola, l’interferone gamma, è il segnale tramite cui le cellule tumorali impediscono al sistema immunitario di svolgere la propria azione di “pulizia” contro il tumore. Per cui l’interferone gamma potrebbe diventare un nuovo possibile bersaglio terapeutico. “I nostri dati suggeriscono che i segnali infiammatori dipendenti dall'interferone gamma prodotti dalle cellule LMA, sono in grado di favorire un ambiente di supporto della leucemia” riporta l’abstract.

Una nuovo approccio per curare la talassemia

Ancora uno studio sul micro-ambiente – questa volta della beta-talassemia – quello premiato con l'ASH Giuseppe Bigi Abstract Achievement Award, che va ad Annamaria Aprile dell’Istituto scientifico IRCCS San Raffaele di Milano. Aprile invece di focalizzarsi sui globuli rossi (che portano il difetto genico causa della malattia) si è occupata delle cellule staminali ematopoietiche dei pazienti, le cellule da cui hanno origine tutte le cellule del sangue. La ricercatrice in particolare ha scoperto che nelle persone con talassemia, le staminali ematopoietiche presentano alterazioni funzionali, che non sono presenti dalla nascita ma che derivano dal contatto con un microambiente midollare talassemico. “Appurato ciò, abbiamo provato a correggere l’ambiente”, ha spiegato Aprile. “Modificando alcune caratteristiche delle cellule stromali e della componente ossea. Sul modello murino abbiamo dimostrato che, correggendo il microambiente, si correggevano le staminali”.  L’idea dunque è di curare ciò che sta attorno alle cellule malate per guarirle e potrebbe rappresentare una nuova strada da percorrere nella lotta alla beta talassemia. Malattia contro la quale l’Istituto San Raffaele Telethon per la terapia genica (SR-Tiget) sta lavorando anche con una terapia genica (una è già stata approvata in Europa lo scorso giugno). Esistono farmaci attivi sulla componente stromale e ossea, che sono già disponibili all’uso e che potrebbero essere testati prossimamente.

Il “ponte” degli anticorpi bispecifici

Riguarda ancora la LMA la ricerca di Pier Edoardo Rovatti, dell’Istituto scientifico IRCCS San Raffaele di Milano, che ha sfruttato l’anticorpo bispecifico Anti-CD3/CD33 per reindirizzare le cellule T del donatore contro la ricaduta della leucemia. Lavoro che gli è valso il premio ASH-SIE Abstract Achievement Award, co-promosso dall'ASH e dalla Società italiana di ematologia (SIE). Rovatti studia le recidive di malattia dopo il trapianto di midollo, situazioni in cui il sistema immunitario non riesce più a vedere il tumore. Tutto dipende da un tipo di proteine dette HLA, attraverso cui i linfociti T dovrebbero riconoscere le cellule leucemiche come estranee e attaccarle. In circa il 30% delle ricadute di leucemia post-trapianto da donatore parzialmente compatibile, però, le cellule tumorali subiscono una mutazione genetica a livello delle proteine HLA e diventano invisibili al sistema immunitario. Per fare in modo che le cellule T possano svolgere il loro lavoro di “spazzini” Rovatti e i colleghi hanno usato l'anticorpo bispecifico CD3/CD33, che come una sorta di ponte mette in contatto i due tipi di cellule. “Si tratta di una struttura artificiale 'bifronte' per ora testata solo su modello di topo, che da un lato lega il linfocita T e dall'altro cattura la cellula leucemica, agganciandola però in un punto diverso dall'HLA e bypassando così il trucco usato dal tumore per nascondersi”, ha spiegato il ricercatore.      

Le CAR-T low-cost

È senza dubbio il trattamento di cui più si parla negli ultimi tempi, quello che ha permesso a Chiara Magnani dell'università degli Studi di Milano-Bicocca/Fondazione MBBM (Monza e Brianza per il bambino e la sua mamma) di ricevere l’altro ASH-SIE Abstract Achievement Award. Si tratta delle CAR-T e in particolare delle CAR.Cik (Car-Cytokine induced killer, una variante le Cik dei linfociti T) che Magnani – sotto la guida di Andrea Biondi Direttore della Clinica Pediatrica dell’Università degli Studi di Milano- Bicocca – sta sviluppando in collaborazione con l'ospedale San Gerardo di Monza e l'ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo. La differenza con le ben note CAR-T sono due: la prima è che le cellule usate come “base” non sono quelle del paziente, ma di un donatore di midollo; la seconda è che per ingegnerizzare le cellule non viene usato un vettore non virale ma un trasposone “sleeping beauty” (bella addormentata) chiamato così perché è un vettore “risvegliato” grazie a un sistema di ingegneria inversa made in USA. L’aspetto più interessante delle CAR-T sviluppate nell'officina di produzione cellulare Stefano Verri del San Gerardo, è che l’utilizzo di un donatore apre alla possibilità di arrivare un giorno alle CAR-T pronto all’uso, anche dette “off the shelf”, che avrebbe di conseguenza anche un costo più basso. Invece di avere un trattamento personalizzato infatti, si potrebbero ottenere diversi lotti di prodotto a partire da un unico donatore, il che ridurrebbe i costi altissimi che attualmente limitano il ricorso. La ricerca di Magnani riguarda in particolare le recidive da leucemia linfoblastica acuta (LLA) per cui l’approccio “allogenico" fa sperare in una maggiore efficacia, “perché a volte i linfociti T del paziente, esauriti dal microambiente tumorale non funzionano bene”, ha spiegato la ricercatrice che ha anche illustrato gli ultimi dati sulla CAR-T “low-cost”.  “I dati sono promettenti, abbiamo già trattato 13 pazienti con LLA recidivata post-trapianto, 4 bambini e 9 adulti, dimostrando che  le nostre CAR-T una volta infuse sono in grado di espandersi, di  eliminare la leucemia e di persistere nel sangue agendo da  'sentinelle'. Su 7 pazienti trattati con la dose efficace, 6 hanno risposto completamente senza tossicità rilevanti”.      


Quattro diversi progetti ognuno focalizzato su un approccio o una terapia avanzata. Vi sono tutte le premesse perché Ciciarello, Aprile, Rovatti e Magnani rappresentino “la prossima generazione di leader nel settore”, con la speranza che l’Italia continui ad avere un ruolo centrale nel campo della ricerca e sviluppo di approcci terapeutici altamente innovativi.

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