Uno studio dei ricercatori della Penn Medicine - a cui ha preso parte Carl June, considerato il padre delle CAR-T - spiega la filosofia che sta dietro alla procedura

In una scena della nota serie televisiva “La casa di carta” nella quale un manipolo di rapinatori prende di mira la zecca spagnola, si vedono i ladri far indossare agli ostaggi la loro stessa divisa e uguali maschere, col risultato che la polizia appostata di fronte all’edificio non è più in grado di distinguere i buoni dai cattivi. Il trucco funziona anche su scala microscopica all’interno del corpo umano nel momento in cui le cellule di un tumore espongono gli stessi antigeni di superficie - quindi la stessa “maschera” - delle cellule sane. Accade perciò che terapie avanzate come le CAR-T non possano esser usate, altrimenti finirebbero col distruggere tutte le cellule, comprese quelle indispensabili per la sopravvivenza dell’individuo. Serve qualcosa che le aiuti a distinguere e per realizzarlo esiste una tecnica detta “epitope editing”, o editing dell’epitopo.

SEPARARE LE CELLULE BUONE DA QUELLE CATTIVE

In un articolo pubblicato ad agosto sulla rivista Science Translational Medicine, un team di ricercatori della Perelman School of Medicine presso l’Università della Pennsylvania coordinato da Carl June - pioniere nello sviluppo delle terapie a base di cellule CAR-T - descrive un’interessante strategia per affinare la capacità di queste straordinarie “cellule soldato” di distinguere le cellule sane da quelle malate. A questo punto qualche lettore un pò confuso, grattandosi il capo, potrebbe obiettare che la specificità delle CAR-T nel contrasto alle malattie onco-ematologiche ha già prodotto risultati validi in quanto ad accuratezza sul bersaglio. E, in effetti, se si considerano le neoplasie che affliggono le cellule B - tra cui leucemia linfoblastica acuta a cellule B e linfoma diffuso a grandi cellule B - è proprio così. Purtroppo, oltre ai linfociti B anche i linfociti T sono oggetto di malattia e, in quel caso, l’utilizzo delle CAR-T non può essere preso in considerazione dal momento che darebbe luogo a una “guerra fratricida insostenibile per l’organismo. Quindi, se si vogliono realizzare delle cure per queste malattie serve un modo per dare alle CAR-T la possibilità di separare le cellule buone da quelle cattive.

UN MONDO DI ANTIGENI DA SCOPRIRE 

La via più intuitiva per ottener questo scopo è affinare la selezione dell’antigene ma, come dimostra un’interessante review apparsa sulla rivista Frontiers, individuare quello giusto su cui puntare per ottenere un risultato accettabile in termini di sicurezza ed efficacia non è semplice, specialmente nel caso dei tumori solidi che hanno uno spettro di presentazione antigenica molto vasto. Lo spiega lo stesso Carl June - insieme ad altri - in un’ulteriore review apparsa sulla rivista Nature affermando che “a differenza delle neoplasie ematologiche maligne delle cellule B, per le quali gli epitopi specifici sono relativamente onnipresenti, le cellule all’interno dei tumori solidi sono eterogenee e, fatto salvo per rare eccezioni, gli epitopi specifici del tumore non sono stati identificati”.

Difatti, le sei terapie a base di cellule CAR-T finora autorizzate in Europa sono rivolte contro antigeni altamente specifici, come CD19 per la leucemia e il linfoma a cellule B e BCMA nel caso del mieloma recidivante o refrattario alle terapie. Per patologie quali la leucemia mieloide acuta i risultati scarseggiano, tanto che i ricercatori stanno tentando di ingegnerizzare i linfociti T concentrandosi su antigeni espressi non solo in superficie ma anche all’interno delle cellule. In altri casi ancora sono stati presi di mira alcuni antigeni sovraespressi nei tumori, tuttavia il non trascurabile livello di espressione dei medesimi antigeni anche nei tessuti sani ha innalzato troppo i livelli di tossicità. 

LA TECNICA DELL’EPITOPE EDITING: CRISPR ALL’ENNESIMA POTENZA

Il metodo allo studio nei laboratori della Penn Medicine, e su cui altri ricercatori stanno scommettendo, è quello dell’epitope editing, o editing dell’epitopo. Per capire di cosa si tratta bisogna, innanzitutto, definire un epitopo: si tratta di una specifica ma essenziale porzione dell’antigene, alla quale spetta l’incarico di combinarsi con il sito di legame presente sull’anticorpo. In pratica equivale alla parte dell’antigene coinvolta nel legame con le molecole anticorpali.

Alla guida di un team di ricerca dell’Università della Pennsylvania, Carl June ha sfruttato la duttilità di CRISPR per rendere più preciso il processo di editing e poter così prendere di mira l’antigene CD45, espresso in tutte le cellule tumorali del sangue ma anche sulle cellule T sane. Usando CRISPR per modificare un singolo nucleotide nella sequenza che codifica per l’epitopo dell’antigene CD45 è stato possibile introdurre una mutazione che rende le cellule staminali trapiantate nel paziente “riconoscibili” da parte delle CAR-T anti-CD45. Una sorta di spia che il mirino ad alta precisione delle CAR-T può individuare: ecco che le cellule “buone” vengono riconosciute e risparmiate dall’azione dei linfociti T ingegnerizzati i quali si riversano solo sulle cellule “cattive”, quelle del tumore.

Essenzialmente si tratta di un trapianto di cellule staminali del sangue abbinato a una terapia con cellule CAR-T”, precisa l’autore principale dello studio, Nils Wellhausen, farmacologo e collega di June. “L’idea è che quando le cellule ingegnerizzate vengono infuse, le cellule CAR-T uccidono le cellule tumorali che portano il CD45 normale, ma non si uccidono a vicenda o non sterminano le cellule staminali del sangue modificate con l’editing dell’epitopo, le quali possono iniziare a produrre nuove cellule del sangue”.

UNA RICERCA IN DUE FASI

Per verificare la fattibilità di questo protocollo occorreva prima creare le CAR-T anti-CD45 e assicurarsi che funzionassero, cosa che i ricercatori statunitensi hanno fatto servendosi di modelli di topo nei quali le loro CAR-T sono state in grado di debellare le cellule della leucemia mieloide acuta, persistendo a lungo nell’organismo e garantendo un’attività “anti-leucemica con un’immunosorveglianza a lungo termine”. Dopo averne verificato il potenziale, i ricercatori hanno constatato che le loro CAR-T fossero applicabili ad un ampio spettro di tumori. A quel punto essi hanno rivolto la loro attenzione alle cellule staminali del sangue modificandole con la tecnica di editing dell’epitopo per proteggerle dalle CAR-T anti-CD45. Infine, essi hanno testato il tutto su modelli murini della leucemia mieloide acuta, osservando che, a differenza dei controlli, gli esemplari che avevano ricevuto un trapianto con le cellule staminali modificate e poi erano stati trattati con le CAR-T avevano eliminato il tumore.

Tuttavia, all’entusiasmo per gli esiti della ricerca si accompagna la prudenza d’obbligo dal momento che saranno necessari altri e approfonditi studi - per i quali gli scienziati americani hanno già cominciato a richiedere le autorizzazioni alla Food and Drug Administration - allo scopo di verificare l’eventuale rischio di tossicità correlato alla procedura. Ma se la sicurezza e l’efficacia fossero confermate in studi clinici potremmo essere di fronte a un’ulteriore rivoluzione nel settore delle CAR-T.

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