Messo a punto un sistema basato sulle nanoparticelle per veicolare il “macchinario” Crispr-Cas9 nelle cellule endoteliali. L’obiettivo è trattare malattie cardiovascolari e respiratorie
Le cellule endoteliali che rivestono i vasi sanguigni sono da sempre un bersaglio difficile per la terapia genica. Eppure, sono coinvolte in molte malattie cardiovascolari, nel cancro e nei casi gravi di COVID-19. Un team di ricercatori ha messo a punto una nuova strategia, basata su nanoparticelle, per veicolare il sistema di editing genomico Crispr-Cas9 nell’endotelio vascolare di diversi organi. Le nanoparticelle hanno un’eccellente biodistribuzione, sono specifiche e vengono eliminate dall’organismo dopo pochi giorni, riducendo la possibilità di effetti indesiderati off-target. Lo studio, pubblicato a gennaio su Cell Reports, mostra le potenzialità di questa nuova strategia.
L’ENDOTELIO VASCOLARE
L’endotelio vascolare è quel tessuto formato da cellule endoteliali che riveste la superficie interna dei vasi sanguigni e linfatici e del cuore. Le cellule endoteliali hanno molte funzioni: regolano il tono muscolare e la portata del flusso sanguigno, controllano i processi legati alla coagulazione del sangue, all’infiammazione e alla riparazione dei tessuti, coordinano la migrazione dei globuli bianchi attraverso i vasi per combattere le infezioni. Una disfunzione dell’endotelio vascolare può causare un aumento della permeabilità dei vasi sanguigni e un accumulo di liquidi, e può innescare vari processi infiammatori. Queste condizioni sono associate a diverse patologie come l’infarto del miocardio, l’ictus, la malattia coronarica e la sindrome da distress respiratorio acuto. Anche nelle forme gravi di COVID-19, l’endotelio vascolare sembra avere un ruolo negli alti livelli di infiammazione sistemica e danno ai tessuti, che a volte sono fatali per i pazienti.
PUNTARE ALL’EDITING GENOMICO
Molte delle anomalie o disfunzioni delle cellule endoteliali possono essere corrette puntando al DNA. Uno degli strumenti di maggiore successo è Crispr-Cas9, il sistema di editing genomico che è valso il Premio Nobel per la Medicina nel 2020. Come raccontato nella puntata del podcast “Reshape – un viaggio nella medicina del futuro” dedicata a CRISPR, questa innovativa tecnologia sta aprendo nuove strade per la cura di molte malattie che hanno alla base delle mutazioni genetiche. Nel mirino degli scienziati ci sono ora anche le cellule endoteliali. La difficoltà maggiore, però, è rappresentata dal delivery, ovvero il sistema di trasporto del sistema di editing nelle cellule, che deve essere altamente specifico per evitare effetti cosiddetti off-target (l’azione in sedi desiderate).
I virus adenoassociati (AAV) sono tra i vettori più usati per veicolare geni terapeutici nell’organismo, ma hanno diversi limiti. A causa della loro immunogenicità, infatti, possono essere distrutti dal sistema immunitario e causare una tempesta infiammatoria dannosa per l’organismo. La persistenza di Cas9 nel corpo umano, inoltre, aumenta la probabilità di reazioni off target.
UNA NUOVA FORMULAZIONE DI NANOPARTICELLE
Per superare i fattori che ancora limitano l’uso degli AAV in clinica, diversi ricercatori stanno sperimentando nuove strategie di delivery. Le nanoparticelle a base di grasso, ad esempio, sono parzialmente efficaci per il trasporto nelle cellule del fegato, ma non in quelle degli altri organi. Una tecnologia simile, sviluppata per modificare geneticamente le cellule del sangue, ha avuto una percentuale di successo (ossia di cellule che hanno incorporato il gene) di solo il 20%. Gli esperimenti sull’endotelio vascolare, finora, si sono concentrati sul fegato e sull’occhio. Senza una strategia di delivery efficace, gli altri organi e la rete vascolare periferica rimangono dei bersagli poco accessibili.
La collaborazione di ricercatori statunitensi e cinesi ha portato alla messa a punto di una nuova formulazione di nanoparticelle con buoni risultati. Le nanoparticelle sono formate da due polimeri, il glicole polietilenico (PEG) e l’acido poli(lattico-co-glicolico) (PGLA) e sono formulate in un liquido composto da polietilenimmina (PEI), un composto organico usato come veicolante del DNA. Mentre la PEG-b-PGLA costituisce lo scheletro interno della nanoparticella, la PEI forma una "corona" esterna, che ha la funzione di legare il DNA.
I ricercatori hanno legato alle nanoparticelle un DNA che contiene le istruzioni per sintetizzare il complesso Crispr-Cas9. Sintesi che è sotto il controllo di un promotore specifico, ossia una sequenza di DNA che è presente solo nelle cellule endoteliali. Questo espediente riduce gli effetti off-target, poiché al di fuori dell’endotelio vascolare la cellula non è in grado di leggere e decodificare le istruzioni portate dalle nanoparticelle.
I RISULTATI
I ricercatori hanno testato il sistema su modello animale, con una percentuale di successo dopo una sola somministrazione del 30-50%. Un risultato decisamente sopra la media, che si è confermato nell’endotelio vascolare di diversi organi: polmone, cuore, aorta e muscolatura. Il sistema di editing veicolato dalle nanoparticelle è stato usato per "silenziare" dei geni associati a stati infiammatori o patologici, come Pik3cg e Vegrf2. I topi in cui questi geni sono stati rimossi dalla nascita con tecniche di manipolazione genetica (topi knock-out) hanno una maggiore probabilità di sviluppare infiammazione, enfisema e sepsi e una minore capacità di riparare il tessuto vascolare polmonare. I ricercatori hanno confrontato questo fenotipo con quello di topi "normali", ma trattati con le nanoparticelle. I risultati tra i due gruppi sono stati comparabili. Le analisi hanno poi dimostrato che il trattamento riduce di oltre l’80% l’espressione della proteina nei tessuti, portandola a livelli simili a quelli dei topi knock-out.
LE APPLICAZIONI
Il sistema può essere usato sia per silenziare che per introdurre un gene terapeutico (fornito in più sempre con un sistema di delivery) nell’organismo, o persino per fare le due cose contemporaneamente e agendo su più geni con una sola somministrazione. I ricercatori sono al momento concentrati su studi per migliorare la specificità del sistema. Le nanoparticelle, infatti, sembrano agire anche sulle cellule del fegato, anche se in maniera meno efficiente. L’endotelio vascolare del cervello, al contrario, rimane un bersaglio poco accessibile: i risultati, su questo organo, sono stati modesti.
L’utilizzo delle nanoparticelle rappresenta comunque una strategia vincente e potrebbe avere decine di applicazioni nel trattamento delle malattie cardiovascolari e delle manifestazioni più gravi di COVID-19, e persino del cancro, per bloccare l’afflusso di sangue alla massa tumorale o alle metastasi.