Sistema immunitario

La settimana dell’Immunizzazione, in corso dal 24 al 30 aprile e promossa dall’OMS, è l’occasione per capire come il nostro sistema immunitario risponde a SARS-CoV-2 e, più in generale, ai patogeni

La migliore chiave di interpretazione della prima fase della pandemia del virus SARS-CoV-2 è quella della “rapidità” riscontrata nell’impennata improvvisa e inarrestabile dei contagiati e nell’urgenza di una risposta medica adeguata a qualcosa che ancora non si conosce, nell’obbligatorietà di un intervento istituzionale deciso e nel brusco cambio di stile di vita che in pochi giorni ha recluso la popolazione all’interno delle proprie abitazioni. Ora le curve epidemiche sembrano appiattirsi e si pensa a come ritornare nei ranghi di un’esistenza il più possibile normale, perciò il filo rosso della cosiddetta “fase due” - e di quelle che la seguiranno - non può che essere il concetto di “immunizzazione".

A porre maggiormente l’accento su questo tema è anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, promotrice della World Immunization Week 2020, in corso in questi giorni (dal 24 al 30 aprile), con l’obiettivo di ricordare a tutti l’importanza dei servizi di immunizzazione contro ogni patologia la cui insorgenza possa essere prevenuta dall’impiego dei vaccini. La ricerca di un vaccino contro il virus SARS-CoV-2 costituisce il più grande sforzo che la comunità scientifica sta affrontando in questi mesi ma non deve distogliere l’attenzione da tutti gli altri vaccini disponibili contro patologie come l’epatite, la meningite, il morbillo o l’influenza stessa, e che negli anni hanno salvato la vita a milioni di persone. Per questo l’OMS ha diffuso una guida ricca di informazioni utili per il mantenimento dei servizi di immunizzazione in un periodo convulso come quello che stiamo attraversando. Per evitare che questo incendio alimenti altri possibile fuochi. Tuttavia, per comprendere a fondo il valore della speciale settimana promossa dall’OMS è bene fare un passo indietro e capire cosa sia e come funzioni il sistema immunitario.

L’IMMUNITA' INNATA

La conoscenza delle basi del sistema immunitario è un prerequisito essenziale per afferrare il significato di un vaccino e il modo migliore per raggiungerla è affidarsi a un esperto come il prof. Alberto Mantovani, direttore scientifico dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas e autore del libro “Immunità e Vaccini - Perché è giusto proteggere la nostra salute e quella dei nostri figli” (Mondadori, 2016). In questo libro chiaro ed esemplificativo Mantovani - che è anche il ricercatore italiano più citato nella letteratura scientifica internazionale - illustra il sistema immunitario come un complesso apparato composto da organi, cellule e molecole capace di offrire due tipi di risposte all’attacco dei patogeni: quella innata, che entra in azione immediatamente in seguito all’infezione da parte di un patogeno, e quella adattativa, che subentra più tardi ed è contraddistinta da maggior specificità.

La risposta immunitaria innata non dipende da una precedente esposizione ad altri patogeni e non è specifica. Tra le cellule protagoniste di questa prima risposta del sistema immunitario ci sono i fagociti, come macrofagi e neutrofili, e le cellule Natural Killer (NK). Sono loro che intervengono per primi - già nelle prime ore di un’infezione - su una ferita attaccando i patogeni. Ciò determina l’insorgenza di un quadro infiammatorio, contraddistinto da dolore, rossore, calore e gonfiore. I vasi sanguigni si dilatano e favorendo l’arrivo sul sito della lesione di componenti cellulari come quelli della cascata del complemento che sostengono l’azione cellulare favorendo il protrarsi della risposta infiammatoria. Ma l’infiammazione non si esaurisce così e attiva una sequenza di eventi nei quali agiscono diverse molecole tra le quali le citochine, che richiamano i globuli bianchi. Questa prima risposta del sistema immunitario all’invasione da parte di un patogeno è immediata ma non specifica. Per contrastare efficacemente l’azione della molteplicità di virus e batteri a cui l’organismo è esposto servono specificità di intervento e capacità di memoria. Peculiarità che si ritrovano nella risposta immunitaria adattativa.

L’IMMUNITA’ ADATTATIVA

Indiscussi protagonisti di questa fase due dell’immunità sono i linfociti, sia di classe T che B. Entrambi attivano una risposta diversa: i linfociti T vengono chiamati in causa dalle cellule dendritiche e attivano la reazione immunitaria mediata da cellule, mentre i linfociti B sono responsabili della reazione anticorpale che consiste nella produzione massiva di anticorpi. Il grilletto di attivazione dei linfociti T è rappresentato da specifici antigeni, cioè delle sostanze solitamente proteiche presenti sulla superficie esterna dei virus che, grazie ai recettori a loro disposizione, i linfociti T sono in grado di individuare. In tal modo essi “riconoscono” il virus come qualcosa di estraneo all’organismo e lo eliminano. Nel caso di SARS-CoV-2 gli antigeni di superficie sono le cosiddette proteine “arpione” (spike), disseminate su tutta la superficie del patogeno e che contribuiscono a dare il nome (“Coronavirus”) a questo gruppo di virus.

Esistono più tipi di linfociti T (citotossici, helper) che svolgono diverse funzioni ma ad occuparsi specificamente della produzione degli anticorpi sono i linfociti B. Come nel caso dei linfociti T, anche per i linfociti B è essenziale il legame con l’antigene bersaglio ma anziché distruggere immediatamente il patogeno essi iniziano a produrre molecole proteiche che si legano in maniera specifica agli antigeni virali, rendendoli più riconoscibili agli “occhi” dei linfociti T o inattivandoli. I linfociti B, dunque, coadiuvano l’opera dei colleghi e, soprattutto, sono responsabili delle differenziazione anticorpale che prevede la produzione di immuoglobuline di classe M (IgM, le prime ad essere prodotte in risposta a un’infezione), di classe A, D, E e G (le IgG sono gli anticorpi più presenti nel sangue). La produzione di anticorpi è alla base della memoria immunologica cioè della capacità del sistema immunitario di ricordare e classificare i patogeni con cui è venuto a contatto. Un aspetto chiave per lo sviluppo di test sierologici e di vaccini contro virus e batteri.

IMMUNITA’ E MEMORIA

Il sistema immunitario è quindi in grado di riconoscere un patogeno e attivare tutte le componenti difensive per fermarne l’avanzata e poi “tenerlo in memoria”, classificandolo all’interno di un archivio che, al momento di una seconda infezione potrà essere consultato rapidamente per attivare i sistemi di difesa più opportuni. La memoria è il perno di un efficiente meccanismo di protezione: basti pensare che nei batteri la chiave per difendersi dai virus è data dalla capacità di catalogare frammenti del DNA virale di precedenti infezioni. È questa l’origine del sistema di editing genomico CRISPR grazie a cui i ricercatori stanno mettendo a punto nuove tecniche diagnostiche per i virus ma anche innovative strategie terapeutiche per malattia genetiche e tumori.

L’immunità è un tratto del sistema immunitario che si declina in maniera differente a seconda del tipo di virus o batterio considerato. Questo ha permesso di giungere allo sviluppo di alcuni vaccini fondamentali come quelli contro la difterite, il tetano o la pertosse che garantiscono un’immunizzazione per tutta la vita, o quello conto l’influenza che però cambia ogni anno in ragione dell’elevata capacità di mutare del virus. Ma, come ben spiegato da Mantovani nel suo libro, non per tutti i virus esiste un vaccino: l’esempio più rappresentativo è quello del virus dell’HIV, scoperto ormai più di trent’anni fa ma contro cui non si è riusciti a sviluppare un adeguato strumento di prevenzione.

L’IMMUNITA’ AL SARS-CoV-2

Il virus SARS-CoV-2 è un patogeno nuovo, che ha compiuto il salto di specie soltanto pochi mesi fa e del quale non conosciamo ancora nel profondo la biologia. Gli studi effettuati sui due precedenti Coronavirus SARS-CoV e MERS-CoV fungono da punto di partenza e mentre le vittime in tutto il mondo crescono il dubbio su cui tutti si lambiccano è se (e quando) arriverà un vaccino per proteggerci. Nel frattempo, gli esperti stanno cercando di rispondere anche ad altri interrogativi che precedono lo sviluppo di un vaccino: gli anticorpi che si sviluppano in seguito alla COVID-19 sono neutralizzanti? Ovvero sono in grado di proteggere da future reinfezioni? E, in caso di risposta positiva, per quanto tempo essi rimangono in circolo nell’organismo garantendo protezione?

In uno scenario ideale una persona, una volta infettata può restare immune per tutta la vita, come accade con il morbillo, ma nel caso di virus come l’herpes o come quelli del gruppo Coronavirus non è così. Basta pensare a quante volte ci ammaliamo di raffreddore. A tal proposito, i risultati di uno studio clinico del 1990 sembrano deporre a favore di un’immunità transitoria ma non totale nei confronti del virus e i primi studi clinici eseguiti su individui colpiti da SARS-CoV-2 confermano lo sviluppo di anticorpi dopo l’infezione che potrebbero far pensare a un’immunità. Ma se tali anticorpi siano in gradi di proteggere l’organismo, e quanto a lungo permangano in circolo, è ancora presto per poterlo definire.

Quello che in molti sperano è che si possa stabilire quella che viene definita un’ “immunità di gregge”, un meccanismo per cui chi si vaccina - o ha sviluppato gli anticorpi in risposta alla malattia - protegge anche chi non è vaccinato (o non si è ancora ammalato). Tutto ciò naturalmente è subordinato all’idea che gli anticorpi siano neutralizzanti e, come già detto, i punti interrogativi non sono pochi. Secondo un altro studio clinico cinese (non ancora sottoposto a peer review) non tutti i casi di infezione possono contribuire all’immunità di gregge: dei 175 pazienti con sintomi lievi, il 70% ha sviluppato risposte anticorpali forti, circa il 25% una risposta bassa ma il restante il 5% non ha sviluppato alcuna risposta rilevabile. Sembra, dunque, che una malattia lieve non costituisca sempre una protezione. Ugualmente occorrerà studiare le risposte immunitarie dei pazienti asintomatici per determinare se possano diventare immuni. Per questo sarà necessario progettare studi epidemiologici su larga scala, un esempio di studio del genere – anche se condotto su scala più ridotta - è quello guidato dal prof. Andrea Crisanti, direttore del laboratorio di microbiologia e virologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Padova, nel quale sono stati monitorati tutti i cittadini del comune di Vo’ Euganeo, considerato il primo focolaio epidemico nel Veneto. Un altro importante studio è quello condotto dall’ISS nel quale si afferma che l’esito dell’infezione da COVID-19 possa essere definito già nei primi 10-15 giorni dal contagio e che questo possa dipendere dall’esposizione virale, dalla debolezza immunitaria o da uno sforzo fisico intenso nei giorni dell’incubazione. Uno studio importante che ricapitola in modo chiaro le attuali conoscenze riguardo all’interazione tra il virus SARS-CoV-2 e il sistema immunitario.

IL VACCINO

L’esperienza sta permettendo così di acquisire dati importanti sul nuovo virus ma oggi sembra non esserci abbastanza tempo per fare esperienza ed è in questo circolo vizioso che il mondo è precipitato, nella cocente attesa di un nuovo vaccino che arresti il contagio. Ad oggi sono oltre 70 i diversi tipi di vaccini in via di sviluppo per COVID-19, tra questi un vaccino genetico che nasce da una collaborazione tra l’azienda italiana Advent-IRBM e lo Jenner Institute della Oxford University in Gran Bretagna, per cui è appena stata avviata la sperimentazione sull’uomo. Molti altri lo stanno seguendo, come quello sviluppato dal consorzio europeo costituito fra tre aziende, l’italiana ReiThera di Pomezia, la tedesca Leukocare e la belga Univercells di Bruxelles. Se un vaccino potesse essere disponibili già entro la fine dell’anno o inizio 2021 sarebbe una prova tangibile di come le sinergie in ricerca diano risultati eccezionali.

“I progressi della ricerca scientifica ci hanno portato a disporre di strumenti immunologici straordinari per prevenire o arginare flagelli globali”, così si legge nelle righe conclusive del libro di Mantovani. È importante pensare che le nuove prospettive di sviluppo dei vaccini innovativi siano rivolte a patologie, come quella scatenata da SARS-CoV-2, alle quali oggi l’umanità appare pericolosamente esposta. Ma un passaggio determinante per giungere a risultati di questo genere è l’investimento nella ricerca e nello studio dell’immunologia, una materia complessa e affascinante dalla quale trarre le risposte necessarie per convivere al meglio con organismi semplici ma pericolosi come i virus.

 

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