I risultati di uno studio clinico, presentati a ESMO 2022, mostrano il vantaggio di questa terapia rispetto all’immunoterapia nel ridurre la progressione di malattia
A volte capita che le applicazioni di una terapia si rivelino molto tempo più tardi della sua stessa scoperta e spesso questo trova ragione nel progresso delle competenze o delle tecnologie. Di Linfociti Infiltranti il Tumore (TIL per usare l’acronimo inglese, Tumor Infiltrating Lymphocytes) aveva iniziato ad occuparsi Steven Rosenberg a metà degli anni Ottanta, osservando proprio la loro capacità di prendere a bersaglio cellule di melanoma metastatico. Ai tempi - l’immunoterapia era ancora sulla rampa di lancio - parlare di aumento di sopravvivenza associata ai TIL era prematuro. A proseguire gli studi su questa forma di terapia cellulare è stato John Haanen, oncologo olandese che ha portato le conclusioni del suo lavoro all’ultimo Congresso dell’European Society for Medical Oncology (ESMO), tenutosi a Parigi tra il 9 e il 13 settembre scorso.
Nel corso di un simposio dedicato proprio alle terapie cellulari, il prof. Haanen ha presentato i risultati di uno studio clinico di Fase III condotto su 168 pazienti affetti da melanoma non resecabile al III o IV stadio (classificazione TNM secondo l’American Joint Committee of Cancer), che non fossero stati trattati con ipilimumab nei sei mesi precedenti al reclutamento nel trial. Infatti, l’introduzione di questo anticorpo monoclonale diretto contro l’antigene CTLA-4 ha radicalmente cambiato l’approccio alle forme avanzate di tumore, potenziando l’attività linfocitaria. Purtroppo non tutti i pazienti rispondono adeguatamente al trattamento con i farmaci inibitori dei checkpoint immunitari (oltre a ipilimumab un altro farmaco di questa categoria è nivolumab, un anticorpo anti-PD-1/PD-L1) e per queste persone non sono ancora a disposizione valide alternative terapeutiche. Pertanto, lo studio guidato da Haanen ha messo a confronto l’azione di ipilimumab con quella dei TIL. I pazienti arruolati nel braccio di trattamento con TIL sono stati inizialmente sottoposti all’asportazione delle metastasi per la produzione autologa di TIL. Successivamente, sono stati sottoposti ad un ciclo di chemioterapia linfodepletiva (costituito da ciclofosfamide e fludarabina) e, infine, hanno ricevuto una reinfusione di TIL autologhi insieme a interleuchina-2 (IL-2) ad alto dosaggio. L’obiettivo principale dello studio è stata la valutazione della sopravvivenza libera da progressione (PFS, Progression-Free Survival) mentre gli obiettivi secondari sono stati il tasso di risposta, la sopravvivenza e la sicurezza del trattamento.
I risultati dello studio hanno immediatamente catalizzato l’attenzione dei molti oncologi presenti al Congresso ESMO, dal momento che il trattamento con TIL ha ridotto di quasi la metà la progressione di malattia (la PFS mediana è stata di 7,2 mesi nel braccio di trattamento con TIL vs. 3,1 mesi nel braccio con ipilimumab). Un dato importante, anche in conseguenza del fatto che per la prima volta sono stati messi a confronto immunoterapia e TIL. Continuando a guardare i numeri si può osservare che anche la sopravvivenza complessiva mediana è stata maggiore nel braccio di trattamento con TIL (25,8 mesi vs. 18,9 con ipilimumab) e il tasso di risposta complessiva era più che raddoppiato (49% con TIL rispetto al 21% ottenuto con ipilimumab). Il successo della strategia è stata confermata anche sotto il profilo della sicurezza, dal momento che la maggior parte degli eventi avversi riportati sono stati causati dalla chemioterapia linfodepletiva e dalla IL-2, e non
Dalla somministrazione dei Linfociti Infiltranti il Tumore.
Rispetto agli anni Ottanta, in cui si cominciò a intravedere il potenziale di applicazione di questa terapia cellulare sperimentale, il panorama è molto cambiato e l’approccio ai tumori - specie a quelli resistenti a più linee di trattamento standard - guarda nella direzione delle strategie combinatoriali. L’immunoterapia, con la scoperta degli inibitori dei checkpoint immunitari, ha stravolto le possibilità di intervento, aprendo il campo alle successive terapie a base di cellule CAR-T. Ma i risultati del trial olandese mostrano chiaramente come ci sia ancora posto per i TIL i quali, in forza delle possibilità produttive e della loro efficacia, potrebbero ritagliarsi un posto di non trascurabile valore nei programmi terapeutici dell’oncologia moderna.