Una ricerca condotta dallo IEO e dal Politecnico di Milano ha permesso di sviluppare un “gut-on-chip” per predire la risposta ai farmaci inibitori dei checkpoint (ICI)

Negli ultimi tempi si sentono spesso nominare microbiota e microbioma: ma che differenza c’è tra i due termini? Il primo indica l’insieme dei microbi che convivono con il nostro organismo, mentre il secondo allude all’insieme dei genomi di tali organismi. Saperlo è utile perché le analisi genetiche sul microbioma stanno ottenendo rilievo proprio per il suo diretto coinvolgimento nella patogenesi di alcune malattie e nelle risposte ai farmaci. Un esempio di quest’ultimo aspetto è riportato in un articolo pubblicato il mese scorso sulla rivista Nature Biomedical Engineering: un team italiano, dell’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) e del Politecnico di Milano, ha messo a punto un innovativo “organ-on-chip” per studiare le risposte dell’immunoterapia nel melanoma.

IL MICROBIOMA NELLE PATOLOGIE INTESTINALI

È noto da tempo il ruolo del microbiota nello sviluppo di certe patologie e, nel corso degli anni, vari  lavoro scientifici hanno posto in evidenza le relazioni tra le funzioni del microbiota e il metabolismo, il sistema immunitario o le risposte comportamentali dell’ospite. In particolare, grazie alle moderne tecniche di sequenziamento del genoma è stato possibile esplorare a fondo il microbioma, gettando le basi per progetti di ricerca basati sulle interazioni tra geni e proteine. L’interesse per il microbioma coinvolge in prima istanza le malattie dell’intestino giacché ospita la più estesa comunità di batteri simbiotici le cui alterazioni sono, di conseguenza, correlate allo sviluppo di malattie come il morbo di Crohn o la colite ulcerativa.

Lo studio dei ricercatori milanesi - guidati da Luigi Nezi, Group Leader del Dipartimento di Oncologia Sperimentale dello IEO, e Marco Rasponi, Professore Ordinario del Dipartimento di Elettronica, Informatica e Bioingegneria presso il Politecnico Milano - si è concentrato sulle interazioni tra microbioma e immunoterapia, che oggi rappresenta una delle più efficaci e promettenti frontiere di cura per molti tumori, incluso il melanoma (ne abbiamo parlato recentemente qui) . “Abbiamo scoperto che il microbiota dei pazienti con melanoma che non rispondono all’immunoterapia ha pronunciate caratteristiche pro-infiammatorie, che danneggiano l’integrità della barriera epiteliale dell’intestino e promuovono la produzione di molecole in grado di regolare il sistema immunitario”, spiega Mattia Ballerini, primo autore dello studio. Infatti, la risposta al trattamento con i farmaci inibitori dei checkpoint immunitari (ICI) può variare tra i pazienti con melanoma e risulta particolarmente influenzata dal profilo del microbioma.

Sebbene l’infiammazione intestinale sia uno dei principali effetti collaterali del trattamento le attuali linee operative non prevedono di eseguire una biopsia al colon su un paziente trattato con l’immunoterapia per melanoma. Perciò nel corso degli anni sono stati compiuti diversi studi preclinici su modelli murini per cercare di comprendere le ragioni del fenomeno ma i risultati sono stati pesantemente influenzati dalle differenze anatomiche, funzionali e immunologiche tra le due specie. Senza contare gli elevati costi, le problematiche etiche e i tempi dilazionati delle risposte. Perciò i ricercatori milanesi hanno pensato di rivolgersi alla tecnologia degli “organi-su-chip”, in maniera tale da sviluppare un sistema specifico con cui indagare il legame fra microbiota intestinale e immunoterapia.

IL GUT-ON-CHIP PROGETTATO A MILANO

Il modello sviluppato a Milano è costituito da due diversi compartimenti (intestinale e vascolare) distinti da uno strato di gel che simula la matrice extracellulare: il canale intestinale è riempito di organoidi ottenuti da cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) o da una co-coltura di cellule epiteliali intestinali umane (Caco-2 e HT-29MTX), mentre il canale vascolare è formato da cellule endoteliali microvascolari umane (HMEC-1) che conservano le caratteristiche morfologiche e funzionali dell’endotelio microvascolare umano. Il dispositivo è dotato di un sistema meccanico che genera movimenti peristaltici, riproducendo la dinamica intestinale: tale movimento è essenziale per modellare la funzione della barriera epiteliale e studiare la risposta del microbiota. “La tecnologia brevettata uBeat, di proprietà del Politecnico di Milano, è alla base del nostro nuovo modello di gut-on-chip”, dichiara Marco Rasponi. “In origine, uBeat era stata sviluppata per riprodurre le contrazioni del muscolo cardiaco, quindi estesa alla simulazione delle condizioni biomeccaniche dell’articolazione del ginocchio. In questo lavoro l’abbiamo invece applicata per ricreare il tipico movimento peristaltico del tratto intestinale. Grazie ai continui movimenti generati da uBeat, è possibile far differenziare le principali popolazioni intestinali a partire da organoidi umani, riproducendo su chip un ambiente altamente realistico”. 

Dal confronto con le risposte ottenute dai modelli bidimensionali i ricercatori hanno osservato che, sebbene non ancora in grado di riproporre completamente la fisiologia di un intero intestino, il loro “gut-on-chip” è in grado di replicare molte risposte fisiologiche di un epitelio intestinale, consentendo di identificare percorsi di attivazione correlati alla risposta ai patogeni, all’infiammazione e alle vie di segnalazione TNF e NF-kappaB. In particolare, sono state osservate differenze nel microbioma intestinale di pazienti responsivi e non responsivi alla terapia con ICI: il microbioma di questi ultimi dimostra una ridotta resistenza allo stress cellulare e un’incapacità di rinnovarsi e guarire, probabilmente portando a uno stato di infiammazione persistente. Il passaggio nel chip delle feci di pazienti non responsivi ha provocato una soppressione dei geni coinvolti nel ciclo cellulare, nel metabolismo mitocondriale e nella riparazione del DNA, aumentando la stimolazione infiammatoria. Infine, tra i maggiori ostacoli al trattamento con ICI in questa categoria di pazienti c’era la comparsa di coliti severe. Al contrario, le feci dei pazienti responsivi mantengono l’integrità della barriera intestinale, suggerendo un ruolo benefico del loro microbioma.

APPLICAZIONI FUTURE TANGIBILI 

Queste caratteristiche possono essere utilizzate in clinica come marker per prevedere la risposta ad immunoterapia e stratificare i pazienti, così da poter somministrare la cura solo a chi più probabilmente ne beneficerà”, dichiara Luigi Nezi. “Si otterrebbe così un importante vantaggio in termini di qualità di vita dei pazienti e allo stesso tempo un notevole risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale. Inoltre, l’utilizzo del nostro gut-on-chip potrà evitare a pazienti resistenti alla terapia il rischio di inutili effetti collaterali, dando ai loro oncologi la possibilità di somministrare eventuali terapie che li predispongano ad una migliore risposta. Per far questo basterà prelevare un campione fecale e testarne gli effetti sul nostro gut-on-chip. Infine, è importante sottolineare che stiamo utilizzando questo sistema per studiare i meccanismi molecolari coinvolti nella risposta all’immunoterapia in altri tumori, dove i benefici per i pazienti risultano ancora marginali. Il nostro obiettivo è generare in questo modo nuove opportunità di sviluppo per terapie innovative basate sulla modulazione del microbiota intestinale, per fornire a sempre più pazienti l’accesso a cure efficaci”.

L’idea di ricorrere a questi modelli tridimensionali avanzati per comprendere meglio la patogenesi delle malattie dell’intestino era stata avanzata anche per il morbo di Crohn e oggi le prospettive di utilizzo per comprendere fenomeni complessi - come quelli che regolano le funzioni del microbiota - si stanno allargando. L’obiettivo è di arrivare a personalizzare sempre di più le terapie immunologiche e guidare i medici nella stratificazione dei malati, offrendo a ciascuno la terapia più efficace sulle base delle caratteristiche individui del tumore.

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