Intestino

Un modello sperimentale messo a punto da un gruppo di ricercatori olandese dimostra in che modo il virus SARS-CoV-2 sia in grado di infettare anche le cellule dell’intestino.

La carta d’identità di SARS-CoV-2, che da quello che sappiamo oggi ha cominciato a circolare nell’uomo a fine 2019, si va via via completando man mano che crescono gli studi (siamo giunti a oltre quattromila pubblicazioni in materia) su questo nuovo Coronavirus. Tra le informazioni su cui quasi nessuno ormai ha più dubbi c’è quella relativa alla porta d’ingresso del virus nel nostro organismo: si tratta del recettore ACE2, abbondantemente espresso nelle cellule alveolari (pneumociti) di tipo 2 e nelle cellule ciliate presenti a livello dell’epitelio polmonare, questo spiega la forte dominanza della componente respiratoria nei sintomi della COVID-19. Ma le cellule che SARS-CoV-2 è in grado di infettare e gli organi che può colpire sono ben di più e tra questi l’intestino.

Il recettore ACE2 è ben espresso negli enterociti, ovvero le cellule epiteliali presenti nei villi intestinali. E questo potrebbe significare che un’ulteriore porta d’ingresso del virus SARS-CoV-2 sia presente anche a livello dell’apparato gastrointestinale, giustificando in tal modo l’insorgenza in alcuni pazienti di sintomi quali diarrea e nausea. Infatti, un recente studio cinese pubblicato sulla rivista Gastroenterology ribadisce la possibilità che il nuovo Coronavirus penetri nel nostro organismo attraverso l’apparato gastrointestinale e suggerisce che tra le modalità di trasmissione figuri anche quella oro-fecale.

A sancire la veridicità di questa ipotesi sono i risultati di uno studio apparso il 1° maggio sulla rivista Science, che dimostrano come l’epitelio intestinale sia un bersaglio del virus. In particolare, per dimostrare questa ipotesi il gruppo di ricerca coordinato dal prof. Bart L. Haagmans, dell’Erasmus Medical Center di Rotterdam, e dal prof. Hans Clevers, della Royal Netherlands Academy of Arts and Sciences and University Medical Center di Utrecht, ha fatto ricorso a specifici modelli di organoidi. Inizialmente, gli studiosi li hanno ottenuti da cellule dell’epitelio respiratorio umano e li hanno infettati sia con il virus della SARS (SARS-CoV) che con SARS-CoV-2, responsabile dell’attuale pandemia COVID-19. È stato visto che entrambi i virus hanno come bersaglio le cellule ciliate ma non le cellule calciformi mucipare che secernono muco.

Successivamente i ricercatori olandesi hanno creato degli organoidi a partire da cellule staminali epiteliali primarie, le quali sono in grado di produrre differenti tipi di epitelio. Tali organoidi - composti in prevalenza da cellule dell’ileo (la parte finale dell'intestino tenue) - sono stati esposti all’infezione dei virus SARS-CoV e SARS-Cov-2 in 4 differenti condizioni di coltura: nella prima il mezzo di coltura era costituto da cellule staminali e progenitori di enterociti; nella seconda da enterociti, cellule mucipare e cellule enterocromaffini (EEC); il terzo era una variante del secondo al quale erano state aggiunte le proteine morfogenetiche dell’osso-2 e 4(BMP2/4) e l’ultimo ha previsto l’espressione di NeuroG3 per aumentare il numero di EEC. Tutti gli organoidi sono stati sottoposti ad analisi in diversi momenti successivi all’infezione con i due Coronavirus e, fin da subito, i ricercatori hanno visto che i progenitori degli enterociti sono apparsi il bersaglio principale del virus. Inoltre, ciò che ha differenziato particolarmente il virus SARS-CoV da SARS-CoV-2 è stata la stabilità a 60 ore dall’infezione, maggiore nel caso del SARS-CoV-2. Anche l’espressione dell’RNA messaggero responsabile della produzione del recettore ACE2 è apparsa molto più alta nella seconda delle quattro condizioni di studio.

Per conoscere con precisione il tipo cellulare bersagliato dal nuovo Coronavirus, i ricercatori olandesi hanno condotto un’analisi al microscopio elettronico concludendo che gli enterociti erano decisamente le cellule più colpite dal virus mentre le cellule mucipare lo erano in misura minore. Ciò si è rivelato valido tanto per gli enterociti che per i loro precursori cellulari. A ciò si aggiunga che, specie nel secondo mezzo di coltura, si è visto che la proteina ACE2 era ben presente sull’orletto a spazzola degli enterociti, un’osservazione che aiuta a comprendere come sia sufficiente anche solo una modesta espressione iniziale di ACE2 per favorire l’entrata del virus. Infine, ciò che si è potuto osservare tramite lo studio degli organoidi è che l’infezione suscitata da SARS-CoV-2 ha innescato una notevole risposta in termini di espressione di citochine, confermando l’induzione di una più forte risposta infiammatoria rispetto a quella promossa da SARS-CoV.

L’impiego degli organoidi può fornire conferme di grande rilevanza per il proseguo della ricerca in un ambito ancora poco conosciuto come quello dell’interazione del nuovo Coronavirus con il nostro organismo. Grazie a questi innovativi modelli sperimentali gli esperti potranno, infatti, disporre di nuovi tasselli per quello che ad oggi è ancora un rompicapo scientifico e riuscire ad orientare meglio non solo la diagnosi ma anche le possibili terapie per l’attuale pandemia.

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