Due studi statunitensi descrivono la realizzazione di costrutti “intelligenti”, programmabili in modo specifico, per attaccare tumori come il glioblastoma o il mesotelioma
Mentre le terapie a base di cellule CAR-T vivono un momento d’oro - continuando a riscuotere successi nel trattamento di patologie onco-ematologiche fra cui la leucemia linfoblastica acuta, il linfoma a grandi cellule B e il mieloma multiplo - in molti laboratori del mondo si punta a nuove strategie per colpire il difficile bersaglio dei tumori solidi.
È risaputo come la pluralità di antigeni esposti sulla superficie delle cellule tumorali, e le particolarità del microambiente, rendano necessaria l’elaborazione di nuovi sistemi per potenziare le CAR-T dirette contro queste forme tumorali. Tali nuovi approcci non possono non prendere in considerazione l’intelligenza artificiale, come dimostrato da due recenti studi pubblicati ad aprile sullo stesso numero di Science Translational Medicine.
I ricercatori statunitensi descrivono un modo per “programmare” le cellule T in modo tale che colpiscano con maggior efficacia le cellule che formano un tumore solido, superando gli ostacoli composti dalla presenza di diversi antigeni target e dalle peculiarità del microambiente che rendono difficile alle CAR-T raggiungere il loro specifico sito d’azione. Nei loro modelli di laboratorio essi hanno sviluppato delle cellule non solo efficaci e precise ma anche flessibili e adattabili a diversi contesti. Per fare ciò sono ricorsi a sofisticate tecniche di programmazione grazie a cui hanno individuato le combinazioni di antigeni da colpire, testando i loro costrutti su vari modelli di cancro.
CAR-T VS GLIOBASTOMA
Il primo studio contempla la produzione di un composto che, in due passaggi, riesce a colpire in maniera selettiva ed efficiente le cellule di glioblastoma cresciute in un modello murino. Il glioblastoma è una delle più aggressive forme di tumore del cervello, responsabile di molteplici casi non solo tra gli adulti ma anche tra i bambini. Ed è anche uno dei tumori cerebrali al centro del processo di ricerca clinica riguardante le cellule T potenziate. Infatti, i ricercatori stanno cercando di individuare un antigene tumorale associato al glioblastoma che sia al contempo specifico e distribuito in maniera omogenea, limitando i possibili eventi di tossicità “off-target” (fuori bersaglio) e permettendo alle CAR-T di distruggere in via definitiva le cellule neoplastiche. Non è una strada semplice da percorrere perché proprio uno degli antigeni selezionati in precedenza non era espresso in maniera diffusa in tutti i glioblastomi. Inoltre, la molteplicità di antigeni tumorali legati al tumore è un ostacolo ragguardevole poiché prendere a bersaglio più antigeni rischia di causare problemi estesi dato che alcuni di essi si trovano ad essere espressi anche in tessuti sani.
Tuttavia, il team di ricerca - coordinato da Hideho Okada e Wendell Lim, entrambi dell’Università della California - ha pensato a una soluzione per combinare più antigeni, mettendo a punto un sistema “prime-and-kill” basato su SynNotch, un rivelatore molecolare ingegnerizzato per riconoscere diversi antigeni e attivare così il CAR contro di essi. Più semplicemente, il sistema synNotch-CAR si basa su una logica binaria ed è composto da synNotch che riconosce gli antigeni nella cosiddetta fase “prime”, innescando un meccanismo che attiva il CAR per la fase “kill”. In tal modo le CAR-T si attivano solo quando entrano in contatto con le cellule per cui sono programmate di attaccare.
Più nel dettaglio essi hanno seguito due strategie diverse, eseguendo la fase di priming con EGFRvIII (Epidermal Growth Factor Receptor splice Variant III), un antigene specificamente associato al glioblastoma, o con MOG (Myelin Oligodendrocyte Glycoprotein, la glicoproteina oligodendrocitaria associata alla mielina), che ha un ruolo importante nel mantenimento dell’integrità della mielina. Questi antigeni servono a far comprendere alle CAR-T di trovarsi a contatto con le cellule di glioblastoma. Una volta che ciò accade, il riconoscimento di una seconda batteria di antigeni, quali EphA2 (Ephrin type A receptor 2) e IL13R-alpha 2 (Interleukin 13 Receptor alpha2) anch’essi presenti sulla superficie delle cellule di glioblastoma (come pure in altri tessuti dell’organismo, fra cui fegato, reni, esofago e organi genitali), attiva in maniera specifica le CAR-T. Si può, pertanto, intuire che un sistema che avesse preso di mira esclusivamente EphA2 o IL13R-alpha 2 avrebbe prodotto effetti dannosi anche in organi sani, non interessati dal tumore, rivelandosi quindi poco specifico oltre che pericoloso.
Così facendo si realizza un’eliminazione delle cellule tumorali completa, come hanno potuto osservare i ricercatori statunitensi sui loro modelli murini nei quali il tumore che non era stato attaccato dalle CAR-T standard è stato eliminato da questo sistema senza la produzione di effetti collaterali nocivi. In tal caso, infatti, l’effetto delle cellule CAR-T si concentra solamente sulle cellule tumorali e non su quelle sane. La si potrebbe definire una CAR-T “a doppio colpo” che circoscrive gli effetti collaterali e aumenta l’efficacia del trattamento.
CAR-T VS. MESOTELIOMA E CANCRO OVARICO
Nel secondo studio, ad essere protagonisti sono il mesotelioma - un tumore delle sottili membrane che ricoprono la parte interna del torace e dell’addome oltre che lo spazio intorno al cuore - e il tumore dell’ovaio, che comprende diverse entità ognuna con caratteristiche biologiche e morfologiche diverse. Il team coordinato da Bin Liu e Kole Roybal, anch’essi dell’Università della California, si è concentrato sul sistema poc’anzi descritto osservando come alcune sue componenti possano essere tra loro interscambiabili, funzionando contro diverse tipologie di tumore.
Conscio della mancanza di bersagli antigienici specifici, anche il secondo gruppo di ricercatori ha osservato come gli antigeni usati per la costruzione di CAR-T contro alcuni tumori solidi siano spesso ugualmente diffusi nei tessuti sani e non sempre correlati al tumore. La problematica è analoga a quella che si osserva per il dosaggio di un antigene come il PSA (Antigene Prostatico Specifico), che non è legato alla presenza di un tumore ma è specifico della prostata e perciò potrebbe subire alterazioni anche per motivi diversi dalla presenza di un cancro, cosa che lo rende poco specifico. Perciò, ricorrendo a potenti sistemi di calcolo computazionale gli studiosi californiani hanno cercato nei database e posto a confronto una serie di molecole potenzialmente utili, identificando la fosfatasi alcalina placentare di tipo 2 (ALPPL2), comune al mesotelioma e ad altri tumori, fra cui quello ovarico, ma non riscontrabile nei tessuti sani. Su questa hanno tarato il loro circuito synNotch, mettendo a punto delle CAR-T in grado di attaccare e uccidere in maniera mirata le cellule di mesotelioma e quelle di cancro ovarico.
Nell’articolo essi paragonano il loro sistema a “teste di cacciavite” la cui utilità si esprime nei confronti di tumori dalle caratteristiche non sempre sovrapponibili. Uno studio, questo, che conferma l’estrema dinamicità del sistema synNotch, facilmente adattabile ad una vasta gamma di antigeni.
AZIONE PROGRAMMATA E A LUNGO TERMINE
Da entrambi gli studi è, infine, emersa una caratteristica nuova di queste CAR-T ad azione programmata: la loro capacità di mantenere per lungo tempo l’effetto di annientamento delle cellule tumorali. Infatti, in precedenti lavori era stato osservato come l’esaurimento dell’effetto delle CAR-T rappresentasse un ulteriore punto debole nella sfida ai tumori solidi. Rimanendo in stand-by sino a quando non identificano il cancro, queste nuove CAR-T conservano la loro energia e quindi hanno una durata maggiore: ciò significa che potrebbero produrre remissioni prolungate, migliorando ulteriormente gli standard oggi noti.
Naturalmente questo innovativo filone di ricerca dovrà essere approfondito e testato all’interno di studi clinici costruiti sulla base di criteri specifici e con una popolazione di pazienti significativa. Rimane il fatto che questa nuova e avanguardistica tecnologia potrebbe rappresentare la chiave di volta nella lotta alle neoplasie solide.