Anti-crisp

La scoperta casuale di un microbiologo dell’Università della California potrebbe stravolgere gli scenari della biotecnologia, cambiando in maniera profonda le modalità di azione di CRIPSR-Cas9

Chi pensava che il potere di CRISPR fosse illimitato si sbagliava di grosso perché se c’è una cosa che l’evoluzione ci insegna è che nulla al mondo è definitivo. Il sistema di protezione dalle infezioni virali noto come CRISPR, che in questi anni per il grande pubblico ha assunto le fattezze di uno strumento di precisione chirurgica per modificare il DNA, correggendo di fatto le sequenze contenti quelle mutazioni che causano gravi malattie, può essere fermato. E ciò presumibilmente grazie a dei virus che, nel tempo, sono riusciti a eluderne l’elaborato sistema di controllo. La notizia è di quelle che potrebbe far tremare i polsi di ricercatori e investitori ma, a ben guardare, sono più i vantaggi che gli svantaggi che porta con sé questa sensazionale scoperta di cui si è parlato anche sulla rivista Nature lo scorso 25 gennaio.

Come è accaduto in tanto casi nella storia della scienza, questa scoperta è spuntata per caso, più o meno giocando con virus e batteri afferma Joe Bondy-Denomy, microbiologo all’Università della California, che ha osservato come in alcuni casi i fagi virali usati per infettare certi batteri, che si supponeva fossero protetti dal sistema CRISPR, sopravvivessero. Nel piccolo genoma dei fagi si annidavano le chiavi per ostacolare l’azione di CRISPR, rendendoli di nuovo degli intrusi invisibili e, dunque, consentendogli di non essere fatti a pezzi. In men che non si dica l’anti-CRISPR è stato isolato e presto si è giunti a scoprire che le proteine capaci di rendere innocuo il sistema di editing genomico erano molte (ne sono state già isolate una cinquantina).

Parafrasando il celebre dott. Ian Malcolm di Jurassic Park si può dunque affermare che “l’evoluzione vince sempre”. Secondo la nota teoria della Regina Rossa, preda e predatore sono impegnati in una forsennata corsa per evitare l’estinzione e se la risposta dei batteri ai virus è stato l’ingegnoso CRISPR, alcuni virus per poter perpetuare la loro stessa esistenza, dovevano per forza escogitare un modo di sabotare questo sistema. E alcuni di loro ce l’hanno fatta, trovando così la criptonite che annulla i poteri delle affilatissime “forbici molecolari”. Come si è già detto, le proteine anti-CRISPR sono molte e, a seconda del loro diverso meccanismo d’azione, rientrano in due grossi gruppi: quelle che si legano al complesso CRISPR e gli impediscono di agganciare la sequenza di DNA target e quelle che, più specificamente, bloccano l’operazione di taglio legandosi all’enzima Cas o alla stessa sequenza guida. Ma quali ricadute avrà la scoperta che CRISPR può essere fermato?

La prima - e per certi versi più ovvia - risposta è di natura positiva. Mentre, da una parte, la ricerca fa sempre più progressi e si prospetta la possibilità di una futura applicazione clinica dell’editing genomico per una serie di malattie genetiche e rare, dall’altra parte gli studi su CRISPR stanno anche evidenziando i punti deboli di questa straordinaria macchina molecolare che, per semplicità, potremmo raffigurarci come un prototipo che precede la grande produzione e necessita ancora di qualche test prima di essere commercializzato. Infatti, i rischi collegati a CRISPR si esprimono nella possibilità che possa effettuare delle modifiche del DNA in maniera indiscriminata e fuori dal target (si parla infatti di effetti “off-target”). Vien naturale immaginare come un sistema capace di spegnere l’azione di CRISPR possa rappresentare una sorta di pulsante di allarme che, se premuto al momento giusto in una situazione potenzialmente dannosa, potrebbe arrestare CRISPR salvando l’organismo dalla distruzione (nel caso dei batteri) o da gravi danni (nel caso di un’applicazione clinica). Tutto questo è ancora ad uno stadio embrionale ma i ricercatori stanno lavorando febbrilmente per comprendere il potenziale terapeutico di questi sistemi anti-CRISPR. E allora è proprio Jennifer Doudna, biochimica dell’Università della California nonché una delle scopritrici di CRISPR, a riassumere quello che tutti pensano e cioè “come effettivamente potranno essere utilizzati gli anti-CRISPR in modo tale da ottenere un controllo significativo?” Ed è ancora lei la prima a offrire una dimostrazione che gli anti-CRISPR funzionano: somministrando AcrIIA4 - una delle proteine scoperte dal microbiologo Bondy-Denomy - a cellule umane in cui era già stato inoculato il sistema CRISPR-Cas9 e dimostrando la proteina è in grado di arrestarne le funzioni.

Così, nel giro di un anno il turbinio di lavori sugli anti-CRISPR si è tramutato in un tornado di forza 5 che vortica intorno alla possibilità di usare queste proteine per limitare i tanto temuti effetti “off target” dell’editing genomico. Uno dei lavori più interessanti a questo proposito è stato pubblicato lo scorso novembre sulla rivista RNA e dimostra come gli effetti delle anti-CRISPR non si limitino alle colture cellulari ma si estendano anche ai modelli animali (in questo caso il topo). I ricercatori americani hanno messo a punto un anti-CRISPR che funzionava in ogni organo del corpo tranne che nel fegato dove era presente un microRNA tessuto-specifico (microRNA-122) e hanno osservato come la loro proteina funzionasse bene bloccando l’editing dappertutto tranne che nel fegato. Il modello può essere comodamente replicato per altri organi e le implicazioni sono notevoli: l’anti-CRISPR potrebbe contribuire a fare di CRISPR una macchina ancora più precisa e, soprattutto, sicura. Tuttavia, questa strada potrebbe richiedere ancora un po’ di tempo per essere percorsa dal momento che gli studi in corso stanno valutando la possibilità che anche le anti-CRISPR suscitino risposte infiammatorie pericolose da parte del sistema immunitario dell’organismo ricevente che potrebbe classificarle come estranee. Ma ecco che la corsa evolutiva non coinvolge solamente batteri e virus ma anche gli stessi biologi e biotecnologi i quali, come si può leggere in un articolo pubblicato sulla rivista Cell, stanno lavorando all’individuazione di molecole di sintesi che possano bloccare l’attività di Cas9 senza stimolare il sistema immunitario a lanciare una controffensiva dagli effetti dannosi.

Nell’arco di pochissimo tempo, gli anti-CRISPR hanno quindi offerto agli scienziati un nuovo inaspettato panorama. Ciò che ormai è certo è che da qui in avanti l’uso di queste proteine sarà fondamentale per capire come funzionino alcuni geni e non potrà che configurarsi come uno strumento prezioso per chi operi nel campo della genetica e dell’epigenetica, aiutando a superare gli attuali limiti di CRISPR e farne una macchina da editing genomico sempre più performante ed efficiente.

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