Sostenibilità economica, rischio di fallimento commerciale, accessibilità: termini purtroppo noti quando si parla di ATMP. Ne abbiamo parlato con Stefano Benvenuti (Fondazione Telethon)
La promessa di una terapia rivoluzionaria è diventata una realtà clinica per alcune malattie: si tratta principalmente di terapie geniche che hanno riscritto la storia di patologie incurabili, migliorando la qualità della vita dei pazienti e, in alcuni casi, garantendo una cura definitiva. Tuttavia, nonostante gli enormi progressi scientifici e i traguardi raggiunti negli ultimi 50 anni, queste terapie si trovano di fronte a un ostacolo cruciale: la loro sostenibilità economica. Osservatorio Terapie Avanzate ha intervistato il dott. Stefano Benvenuti, Responsabile Relazioni Istituzionali di Fondazione Telethon, che ci ha parlato della recente esperienza con Strimvelis, di cui la Fondazione gestisce produzione e commercializzazione da un anno e mezzo circa, e dei possibili approcci per rendere sostenibili le terapie avanzate per malattie ultrarare.
Negli ultimi anni, il rischio di fallimento commerciale delle terapie avanzate è diventato sempre più evidente. Questo fenomeno non è isolato e rappresenta un problema sempre più frequente, specialmente nel caso delle malattie rare, dove il numero di pazienti trattabili è estremamente limitato. Un esempio è Strimvelis, terapia genica per l’ADA-SCID, che è stata approvata nel 2016 in Europa e, da allora, solo 22 pazienti hanno beneficiato del trattamento. Il numero è basso a causa di molteplici fattori: è una rara immunodeficienza ereditaria, non tutti i pazienti sono idonei alla somministrazione, ci sono altre opzioni terapeutiche, la mancanza di fondi per il rimborso del trattamento e la presenza di un unico centro clinico (Ospedale San Raffaele di Milano). Nel 2023 Fondazione Telethon si è fatta carico del mantenimento di Strimvelis in commercio (ne abbiamo parlato qui) perché Orchard Therapeutics aveva deciso di interrompere gli investimenti nel settore. In questi mesi sono stati trattati 2 pazienti e i ricavi sono stati pari a circa 1,2 milioni di euro e i costi quasi 4,8 milioni, con una perdita di oltre 3,5 milioni per la Fondazione. A fronte di questi dati - condivisi in un articolo di commento dal titolo “Challenges and solutions to the sustainability of gene and cell therapies” pubblicato il mese scorso su Nature Reviews Genetics, a firma di Celeste Scotti, Alessandro Aiuti e Luigi Naldini - Fondazione Telethon si impegna a mantenere Strimvelis sul mercato, ma sta valutando nuove strategie per garantirne la sostenibilità economica a lungo termine e l'accesso ai pazienti.
“Al di là della produzione vera e propria e delle spese straordinarie a essa correlate, una delle cose che sta emergendo chiaramente da quando abbiamo preso in mano la gestione di Strimvelis è il fatto che i prodotti di terapia avanzata, in particolare terapia genica ex vivo, sono estremamente complessi e necessitano di 'manutenzione' costante. Eravamo già consapevoli di questo, ma abbiamo potuto vedere i numeri reali: ogni modifica di una qualunque delle componenti del prodotto, anche solo un cambio di fornitore, implica un lavoro in termini di variazioni da sottomettere all'autorità, che è un onere significativo da sostenere”, spiega il dott. Stefano Benvenuti.
Gli oneri sono legati al lavoro del personale che si occupa dei documenti, ma anche ai costi di eventuali studi di comparazione tra nuova e vecchia soluzione e ovviamente alle tasse da pagare all’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA) ogni volta che si manda una variazione. Tutti questi costi, spalmati su un volume di pazienti molto ridotto, portano al fatto che per rendere sostenibile una terapia avanzata il prezzo dovrebbe essere molto alto. “Diciamo che prezzi nell'ordine di 1,5-2 milioni a paziente su terapie geniche one-shot che hanno quel tipo di volume di pazienti trattati non sono probabilmente così assurdi, se pensiamo che quantomeno si deve ripagare il costo di produzione e mantenimento del prodotto sul mercato”, aggiunge Benvenuti.
Negli ultimi anni, le terapie geniche e cellulari hanno dimostrato di poter offrire benefici duraturi, spesso con una singola somministrazione. Il loro elevato costo, che può raggiungere i 4 milioni di dollari per paziente, è però un freno alla loro diffusione su larga scala. La produzione di questi trattamenti è estremamente complessa: molte di queste terapie richiedono di essere personalizzate per ogni singolo paziente, rendendo difficile la loro industrializzazione e l’abbattimento dei costi. Inoltre, il monitoraggio a lungo termine dei pazienti trattati è indispensabile per valutarne l’efficacia e individuare eventuali effetti collaterali tardivi, aumentando ulteriormente le spese. L’accesso a questi trattamenti, infine, è limitato dal fatto che possono essere somministrati solo in pochi centri altamente specializzati, spesso concentrati in un numero ristretto di Paesi (o anche solo uno, come per Strimvelis).
Affinché una terapia genica o cellulare sia sostenibile, è necessario che vi sia un equilibrio tra diversi fattori. Da un lato, il beneficio terapeutico deve essere sufficientemente significativo da giustificare il costo rispetto alle alternative esistenti. Dall’altro, le aziende sviluppatrici devono poter ottenere un ritorno economico adeguato, in modo da continuare a investire nella ricerca e nello sviluppo di nuove terapie. Un ulteriore elemento critico riguarda la capacità dei sistemi sanitari di sostenere finanziariamente questi trattamenti senza compromettere l’accesso ad altre cure. Infine, la rapidità con cui i pazienti possono accedere a queste terapie gioca un ruolo fondamentale nel determinare la loro efficacia complessiva e la loro permanenza sul mercato.
“Una delle idee per affrontare il problema della sostenibilità è quella di disaccoppiare il fatturato dal volume di pazienti trattati, sulla scia del Priority Review Voucher della Food and Drug Administration (FDA) per le malattie pediatriche rare. Questo permette di avere un flusso alternativo alla sola vendita del prodotto i cui introiti sono necessariamente legati al prezzo ed al numero di pazienti trattati. Con il Priority Review Voucher, una volta arrivati all’approvazione FDA di una terapia per una malattia rara pediatrica grave, si ottiene il diritto ad una futura revisione accelerata per un qualsiasi altro prodotto. Questo diritto (voucher) può essere venduto, generando quindi un incasso indipendente dal numero di pazienti trattabili con la terapia che ha fatto ottenere il voucher”, commenta Stefano Benvenuti. “Un altro approccio, pensando soprattutto alla ricerca accademica e di enti come Fondazione Telethon, sarebbe quello in cui il sistema paghi un fisso annuale che vada sostanzialmente a copertura dei costi fissi generati dal mantenimento della terapia sul mercato. In questo modo il prezzo per paziente trattato si ridurrebbe di molto, perché legato solo ai costi aggiuntivi della produzione del lotto specifico dedicato a quel paziente. Nel caso delle terapie geniche ex vivo, infatti, ad ogni paziente corrisponde un prodotto individuale e questo ha inevitabilmente un grosso impatto sui costi”.
Questi modelli in Europa ancora non ci sono, ma vanno creati e la direzione verso cui guardare è quella in cui è possibile trovare una stabilità tra sviluppatore, pagatore e accessibilità, così da evitare casi di ritiro dal mercato che lasciano i pazienti senza alcuna opzione terapeutica. Un triste esempio è stato quello di Skysona, terapia genica per l’adrenoleucodistrodia cerebrale ritirata dal mercato europeo a pochi mesi dall’approvazione, di cui abbiamo parlato qui. Se la terapia viene sviluppata negli Stati Uniti, ad esempio, tutti gli altri Paesi dovranno poi pagare per beneficiarne e questo è un danno al tessuto economico locale, ma è anche difficile negare una terapia ai pazienti solo perché non autorizzata nel Paese d’appartenenza. E se le terapie avanzate arrivano sul mercato - e ci restano - bisogna assicurare ai pazienti l’accesso, ma anche la sicurezza. Infatti, sono terapie che spesso vengono somministrate una sola volta nella vita e sono destinate ai malati rari e ultra-rari: pochissimi sono quindi i casi che i clinici possono vedere in un anno. Come garantire che ci sia l’expertise necessaria per somministrare terapie così complesse?
“A livello europeo in tanti stiamo lavorando per dare la possibilità a tutti i pazienti di spostarsi da un Paese all’altro. Se ho 4 pazienti all’anno in tutto il Vecchio Continente, pensare di avere più centri specializzati non solo non è sostenibile dal punto di vista economico, ma anche per la sicurezza dei pazienti non è l’ideale. Nel caso di terapie per malattie croniche che richiedono somministrazioni continue nel tempo non è concepibile far viaggiare le famiglie, ma per una terapia one-shot ha assolutamente senso e i pazienti per primi ne sono consapevoli”, prosegue Benvenuti. “Le barriere che ci sono, sono legate alla burocrazia e – di nuovo – ai costi. La domanda che si fanno è: perché un Paese deve pagare per mandare il paziente a fare il trattamento altrove? Questo accade perché in Europa molti enti regolatori non sono anche pagatori, come invece è per noi l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA). AIFA ha accesso al dossier completo del farmaco, ma in altri Paesi il processo è meno lineare e c’è un’asimmetria informativa che rallenta tutto il processo. D’altra parte non ha senso preparare un dossier per l’ente pagatore in un Paese che non avrà un centro clinico dedicato ai trattamenti, perché quel prezzo non verrebbe mai applicato, ma verrà pagato il prezzo del Paese dove verrà somministrata la terapia. Il nostro obiettivo è quello di aprire un dialogo informale per velocizzare e facilitare l’approvazione tra i diversi enti e Paesi”.
E poi ci sono gli incentivi che dovrebbero aiutare le aziende a proseguire nella ricerca e sviluppo, produzione e commercializzazione di questi farmaci. Appare però chiaro come gli incentivi attualmente presenti, come ad esempio l’estensione dell’esclusività sul mercato subordinata al completamento del percorso di accesso in tutti i 27 Paesi dell’Unione Europea, non rappresentino un vero incentivo nel caso delle malattie ultra-rare, perché non sarà mai sostenibile avere un centro per ciascuno di essi. Così come non lo è l’esclusività di mercato, essendo altamente improbabile che qualcuno produca un biosimilare di una terapia genica o cellulare per una malattia con meno di 10 pazienti l’anno in tutta Europa.
Per affrontare la sfida della sostenibilità, sono necessarie nuove strategie economiche e regolatorie. Una delle possibili soluzioni è la riduzione dei costi post-marketing, ad esempio attraverso una regolamentazione più flessibile per le terapie destinate a malattie ultra-rare. Un’altra strada potrebbe essere quella di facilitare l’accesso transfrontaliero ai trattamenti, consentendo ai pazienti di ricevere cure nei pochi centri specializzati disponibili a livello internazionale. Anche i modelli di pagamento potrebbero essere ripensati, sostituendo l’attuale sistema a pagamento unico con formule più flessibili, come rateizzazioni, abbonamenti o pagamenti basati sui risultati clinici. Infine, incentivi economici come i voucher di revisione prioritaria potrebbero stimolare le aziende a mantenere sul mercato terapie destinate a un numero ristretto di pazienti.
“Aggiungo anche che è fondamentale ottimizzare gli strumenti di accesso precoce, come la Legge 648/1996 in Italia. Questi strumenti permettono di generare dati di efficacia e sicurezza, sono rimborsati e generano quindi un costo per il servizio sanitario, ma il dato che viene generato in questi contesti non viene percepito come di qualità da parte dell’EMA, che preferisce i dati ottenuti all’interno di trial clinici controllati e non Real World Evidence (RWE). Specialmente per le malattie rare, sarebbe utile un meccanismo che permettesse di finanziare con fondi pubblici studi di Fase III che rispettino tutti i crismi che gli enti regolatori pretendono. Si potrebbe configurare come una sorta di “acquisto precoce” della terapia da parte del SSN per accelerarne lo sviluppo, così come fatto per i vaccini COVID. Anche questo potrebbe contribuire a ridurre i costi”, conclude il dott. Benvenuti.
Nessuna di queste misure, presa singolarmente, è sufficiente a risolvere il problema della sostenibilità, ma un approccio combinato potrebbe rendere queste terapie più accessibili e garantire la loro permanenza nel tempo. I problemi sono molti e le possibili soluzioni di più, anche se ben lontane dall’essere semplici o di facile applicazione. È essenziale un impegno congiunto tra ricercatori, aziende farmaceutiche, enti regolatori e sistemi sanitari: solo attraverso soluzioni innovative e un’attenzione costante alla sostenibilità sarà possibile garantire che il pieno potenziale di queste straordinarie terapie possa essere realizzato.