La terapia genica basata sull’utilizzo dei vettori virali adeno-associati (AAV) sta mostrando risultati molto promettenti in alcune patologie neurologiche: un esempio su tutti è onasemnogene abeparvovec (nota con il nome commerciale Zolgensma) per l’atrofia muscolare spinale (SMA). La ricerca però non si ferma ai risultati positivi e continua ad analizzare la terapia genica a 360 gradi, con l’obiettivo di portare nella pratica clinica terapie sempre più sicure ed efficaci. Di recente, alcuni studi su modelli animali hanno evidenziato che alte dosi di terapia genica mirata al sistema nervoso centrale (SNC) possono causare tossicità nei gangli della radice dorsale (DRG). Un gruppo di ricerca della Penn Medicine a Filadelfia ha sviluppato una tecnica basata su microRNA per provare ad aggirare il problema.
Certe volte il tempismo è tutto, soprattutto durante una pandemia come quella dell’attuale coronavirus. Nonostante tutti i ritardi e la disorganizzazione durante questi 12 mesi di emergenza sanitaria, la messa a punto di una nuova e promettente tecnologia – quella dell’RNA messaggero (mRNA) per lo sviluppo di vaccini anti COVID-19 - è arrivata proprio nel momento del bisogno. In realtà la scienza non si improvvisa, la ricerca sul fronte di farmaci basati sul mRNA nasce oltre 20 anni fa, ma prima del 2020 e dell’immissione sul mercato dei primi vaccini anti COVID-19 questa tecnologia non aveva raggiunto l’applicazione clinica. E ora che la via è aperta, la nuova strategia sembra essere molto promettente anche per altre malattie, come l’anemia falciforme e l’AIDS, per citarne alcune.
In una situazione affannosa e complicata come quella imposta ormai da un anno dalla pandemia, le prospettive mutano e gli sforzi devono essere implementati per quei malati che hanno sempre più difficoltà ad accedere agli ospedali e alle terapie per loro indispensabili. Ed è in questa direzione che va la decisione dell’EMA presa lo scorso 26 febbraio riguardo alla richiesta di Autorizzazione all’Immissione in Commercio (AIC) di risdiplam (con il nome commerciale Evrysdi): un farmaco per somministrazione orale che agisce a livello dell’mRNA ed è indicato per il trattamento di pazienti con atrofia muscolare spinale (SMA) di tipo 1, 2 o 3 di età pari o superiore a 2 mesi e che abbiano da una a quattro copie del gene SMN2.
L’obiettivo dell’immunoterapia oncologica è di indirizzare e potenziare la normale attività antitumorale del sistema immunitario per riuscire a vincere la battaglia contro alcuni tumori. Ma non sempre queste strategie si rivelano efficaci poiché la risposta dei pazienti è molto variabile. Un team di ricercatori statunitense ha messo a punto la tecnologia "cancer-on-a-chip" che consente di visualizzare in tempo reale e studiare come i farmaci immunoterapici influenzano l’interazione tra sistema immunitario e cellule tumorali. Si tratta di un "bioreattore in miniatura" che permette di generare degli "immuno-avatar" con le cellule dei pazienti stessi e di testare rapidamente un grande numero di farmaci per studiare la risposta alle immunoterapie. Lo studio è stato condotto su cellule di tumore al seno ed è stato pubblicato a febbraio sulla rivista Small.
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