Occhio

Terapia genica, cellule staminali, trapianti, organoidi e nanotecnologia: un intero arsenale messo in campo per combattere le tante e diverse patologie che colpiscono la retina

La retina è il fulcro della visione e consiste in una sottile membrana localizzata nella parte interna dell’occhio. È costituita da fotorecettori, una tipologia particolare di cellule nervose che si distinguono in coni e bastoncelli, che servono a tradurre il segnale luminoso in informazioni per il cervello, completando la trasmissione dell’input esterno. Ci sono diverse patologie che colpiscono la retina, tra cui il gruppo di malattie raggruppate sotto il nome di retinite pigmentosa, le anomalie nella visione dei colori, le distrofie retiniche e l’amaurosi congenita di Leber. Tante patologie, ma anche molta ricerca e trattamenti in sperimentazioni. Con questo articolo facciamo una panoramica delle varie terapie avanzate attualmente in studio, e alcune già in clinica, per le malattie retiniche.

Nelle malattie degenerative della retina le cellule fotorecettoriali perdono la loro sensibilità alla luce e, col progredire della malattia, fotorecettori sani e malati coesistono causando visione offuscata e perdita della vista a seconda del grado di degenerazione. Alcuni difetti della retina possono venire corretti con operazioni chirurgiche, ad esempio quelli di focalizzazione e trasmissione della luce che coinvolgono lente e cornea. Purtroppo, non sempre è possibile sottoporre i pazienti alla chirurgia correttiva, basti pensare che esistono Paesi in cui questo trattamento non è disponibile su larga scala. Queste difficoltà risultano in circa 20-30 milioni di individui affetti da cecità nel mondo. Essendoci un notevole impatto sulla vita quotidiana di molte persone, sono sempre più le strategie in fase studio e spaziano tra diversi ambiti di ricerca: dalla terapia genica agli organoidi, dalle cellule staminali alle nanotecnologie. La ricerca è in divenire e ancora non conosciamo gli effetti a lungo termine delle terapie sperimentali ma il fatto che le cellule fotorecettoriali dell’occhio non si dividano renderebbe duraturo il trattamento e prevedibili i risultati.

Terapia genica e nanotecnologia

Un vettore virale trasporta all’interno delle cellule dell’occhio il gene sano o mancante: questa è, in poche parole, la terapia genica. Questa strategia è già stata applicata con successo per il trattamento della distrofia retinica ereditaria causata da mutazione biallelica del gene RPE65, malattia degenerativa che colpisce circa 250 persone in Italia. La terapia voretigene neparvovec (con il nome commerciale Luxturna™) - approvata nel 2017 negli Stati Uniti e nel 2018 in Europa - fornisce in un’unica somministrazione (tipica terapia avanzata “one shot”) una copia funzionante del gene RPE65 con il risultato di migliorare notevolmente la capacità visiva dei pazienti. L’anno scorso sono stati trattati i primi due bambini al Policlinico Vanvitelli di Napoli (ne avevamo parlato qui). I criteri per la somministrazione sono specifici e stringenti (mutazione biallelica del gene RPE65, almeno un anno di età, presenza di un numero sufficiente di cellule retiniche vitali) e, purtroppo, non può essere effettuata su tutti i pazienti.

Oltre a questa terapia già approvata, ci sono almeno una dozzina di altri studi clinici in corso sulla terapia genica per le malattie della retina. Inoltre, è recente la pubblicazione sulla rivista scientifica Science di uno studio che coniuga terapia genica e nanotecnologie. Tale metodo, sperimentato su retine umane in vitro e in modelli murini per la degenerazione maculare, o altre forme progressive di cecità, permetterebbe di rilevare le radiazioni nello spettro dell’infrarosso. La tecnologia si basa sull’utilizzo di un sistema di sensori in tre parti che viene iniettato nell’occhio: una parte è il DNA ingegnerizzato per far esprimere alle cellule una proteina attivata dal calore e poi ci sono due nanorodi [particelle a forma di barra di dimensioni nanometriche che vengono usati in molti ambiti a causa delle loro proprietà uniche] d’oro che convertono la luce infrarossa in calore. I dati in modelli animali dimostrano che funziona e che sono in grado di “vedere” la luce a infrarossi, ma il limite è che non tutti gli oggetti emettono frequenze nello spettro degli infrarossi.

Editing genomico

Un altro metodo per la manipolazione genetica in campo oftalmico è basato sul sistema di editing genomico CRISPR, che è stato (ed è) studiato in vitro e che per ora ha avuto una singola sperimentazione sull’uomo. È di pochi mesi fa la notizia che la terapia EDIT-101, basata su Crispr-Cas9, è stata utilizzata per la prima volta direttamente sull’uomo nel tentativo di correggere CEP290, un gene troppo grande per essere inserito nei vettori virali utilizzati per la terapia genica. Nello specifico, questo gene – se difettoso – causa l’amaurosi congenita di Leber di tipo 10 (LCA10), la forma più comune delle malattie ereditarie degenerative che vengono raggruppate sotto il nome di amaurosi congenita di Leber (che rispecchiano gli effetti di una ventina di mutazioni del DNA) e che causano una perdita della vista nei primi mesi di vita.

Optogenetica

Con questo termine vengono descritte un insieme di tecniche che permettono di rendere una cellula nervosa sensibile agli stimoli luminosi, cioè rendere responsivo alla luce un neurone che normalmente non è in grado di rispondere a questo stimolo. Si basa sull’incontro di ottica e genetica, che insieme permettono di controllare l’attività delle cellule nervose. L’optogenetica è una tecnica recentissima che viene utilizzata per studiare la causa di alcune malattie neurologiche e per sperimentare terapie innovative. L’idea è quella di utilizzare questo approccio per rendere sensibili alla luce i neuroni retinici rimasti intatti nelle degenerazioni come la retinite pigmentosa. Facendogli così riacquisire la capacità di percepire gli stimoli luminosi. Ci sono alcuni limiti e per il momento è stata utilizzata in modelli animali di alcune patologie retiniche.

Trapianti e cellule staminali

Due delle malattie più comuni nei Paesi sviluppati sono la degenerazione maculare legata all’età e il glaucoma, che però non sono malattie monogeniche (quelle malattie la cui causa genetica dipende da un unico gene), di conseguenza, non possono essere trattate con la terapia genica o l’editing genomico. Si stanno cercando di capire i meccanismi alla base di queste patologie, ma ad oggi le cause di fondo non sono ancora note. Una opzione è il trapianto di cellule staminali indotte a differenziarsi in cellule dell’epitelio pigmentoso, supporto cellulare fondamentale per i fotorecettori. La tecnica è stata testata nei topi ed è stato rilevato un effetto non previsto: i dati suggeriscono che le cellule del donatore trasferiscono molecole (RNA e proteine) nei fotorecettori rimanenti con effetto benefico. Le cellule dell’epitelio pigmentoso non devono integrarsi nella rete neurale, ma è sufficiente il contatto con i recettori e, per questo motivo, vengono posizionate tra retina e fondo dell’occhio.

Studi clinici preliminari suggeriscono la sicurezza dei trapianti, ma un rischio grave è il distacco della retina e l’efficacia è ancora da dimostrare. La scoperta che le cellule fotorecettrici del donatore possano aiutare le cellule retiniche degenerate a recuperare la loro funzione suggerisce che alcune sostanze possono fornire neuroprotezione. Un recente studio sul glaucoma pubblicato su Stem Cell Reports descrive una sperimentazione su modelli di cellule staminali pluripotenti umane (hPSC). I ricercatori della Indiana University School of Medicine sono stati in grado di analizzare i difetti delle cellule danneggiate dal glaucoma, condizione che danneggia il nervo ottico, e poi di invertire l’andamento della malattia grazie a una correzione con CRISPR fatta sulle hPSC.

Organoidi e bioingegneria

Un altro modo di studiare le patologie retiniche prevede di creare strutture complesse in vitro, i cosiddetti organoidi. Non si è ancora potuta ricreare una struttura retinica adatta per lo studio della degenerazione maculare, ma uno studio del Trinity College di Dublino, pubblicato la settimana scorsa su Stem Cell Reports, ha come obiettivo la retinite pigmentosa. Si tratta di un nuovo approccio che prevede di combinare terapia genica, organoidi e oftalmologia: mini-retine che simulano la malattia in cui sono inserite delle copie corrette del gene RP2, responsabile della patologia, tramite un vettore virale. Oltre a essere un modello utile per lo studio di patologie dell’occhio, è un bel passo nelle tecniche di ricerca di una terapia per una malattia che attualmente non ha cure.

Un’innovativa tecnologia, recentemente sviluppata in Italia per le malattie dell’occhio, prevede l’utilizzo di una retina artificiale liquida. Lo studio è stato pubblicato a giugno su Nature Nanotechnology. Una specie di protesi fluida formata da nanoparticelle fotoattive immerse in una soluzione acquosa messa a punto dai ricercatori del Center for Synaptic Neuroscience dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Genova e da un gruppo del Center for Nano Science dell’IIT di Milano, in collaborazione con la Clinica Oculistica dell’IRCCS Sacrocuore Don Calabria di Negrar. Le nanoparticelle sono fatte di un polimero di carbonio in grado di assorbire la luce e la soluzione viene iniettata tra l’epitelio pigmentato e le cellule bipolari. Le patologie prese di mira sono la retinite pigmentosa e la degenerazione maculare e il processo è meno invasivo rispetto alle protesi della retina attualmente disponibili. La ricerca è agli albori e, per motivi di sicurezza legati al rischio di migrazione delle nanoparticelle, dovranno essere fatti tutta una serie di approfondimenti prima di poter pensare di passare alla sperimentazione sull’uomo.

 

Con il contributo incondizionato di

Website by Digitest.net



Questo sito utilizza cookies per il suo funzionamento Maggiori informazioni