Rigenerazione cardiaca

Tra battute d’arresto e nuove speranze, la medicina rigenerativa continua a perseguire il più difficile degli obiettivi: rigenerare il cuore dopo un infarto acuto del miocardio

Dopo un infarto, sul cuore rimane per sempre una cicatrice. Le cellule del muscolo cardiaco non possono rigenerarsi e il tessuto non recupera mai completamente la sua funzionalità. Per anni si è cercato un modo per sostituire i milioni di cardiomiociti persi durante un infarto o per indurre il tessuto cardiaco a guarire da solo. In un articolo su Nature, il giornalista scientifico Benjamin Plackett commenta le due strategie per riparare un cuore danneggiato: la terapia con le cellule staminali – dai risultati promettenti, ma storicamente controversi – e l’uso di fattori che stimolano la rigenerazione del tessuto cardiaco – un approccio nuovo che ha sollevato grandi aspettative, ma che è ancora in attesa di conferme sull’essere umano.

IL CUORE NON SI RIPARA DA SOLO

Le malattie del cuore sono la più comune causa di morte in Europa. Ogni anno, 7 milioni di persone in tutto il mondo e 120.000 in Italia hanno un attacco cardiaco, con una mortalità dell’11%. L’infarto del miocardio si verifica quando il flusso di sangue diretto a una parte del muscolo cardiaco si blocca a causa dell’ostruzione di una o più arterie: la sezione del cuore privata di ossigeno e nutrienti inizia a morire dopo poco tempo.

Le cellule del muscolo cardiaco, i cardiomiociti, non proliferano né si rigenerano, almeno non in tempi rapidi. L’ipotesi che esistano delle "cellule staminali cardiache", molto popolare fino a qualche anno fa, è stata in parte smentita dalle nuove ricerche e oggi sembra altamente improbabile. Dopo un infarto, quindi, il cuore non può guarire, ma produce un tessuto cicatriziale che ricopre la sezione danneggiata. La sua funzionalità, però, non è paragonabile a quella di un cuore sano e con il tempo potrebbe "rompersi" di nuovo. Nei casi più gravi, può essere addirittura necessario un trapianto cardiaco.

Sono diversi gli approcci per la riparazione del cuore, ma gli studi sono ancora a livello sperimentale. Tra questi c’è la terapia con le cellule staminali, che vengono indotte a differenziarsi in cardiomiociti per sostituire il tessuto danneggiato. Un altro filone di ricerca prende ispirazione dalla capacità di alcuni pesci e anfibi di rigenerare il muscolo cardiaco grazie a specifiche molecole secrete dall’epicardio, una membrana che avvolge il cuore di tutti i vertebrati.

STAMINALI PER IL TESSUTO CARDIACO

La caratteristica intrinseca delle cellule staminali è quella di non essere ancora differenziate e, di conseguenza, possono dare origine a molteplici tipi cellulari e rigenerare i tessuti. La loro capacità di essere efficaci anche sul cuore, però, è ancora da dimostrare. Nel 2001, uno studio pubblicato dal cardiologo ed esperto di cellule staminali Piero Anversa aveva sollevato grandi aspettative, dimostrando che era possibile riparare il cuore di topi colpiti da infarto grazie alle cellule staminali prelevate dal midollo osseo. Nessuno è mai riuscito a replicare quei risultati, che sembravano peraltro contenere alcune irregolarità. Dopo un’indagine condotta ad Harvard nel 2018, 31 articoli firmati da Anversa – tra cui quelli che dimostravano la presunta esistenza di cellule staminali cardiache – sono stati giudicati falsi e ritirati dalle rispettive riviste scientifiche.

Il caso Anversa ha contribuito a frenare gli entusiasmi sulle cellule staminali, ma non è stato l’unico. Dopo quasi venti anni di trial clinici  alcuni dei quali basati proprio sui lavori di Anversa – non esiste ancora alcuna terapia approvata né una vera dimostrazione di efficacia. La maggior parte sono studi clinici di Fase I o II, ancora preliminari e su poche decine di pazienti. Lo scorso anno, lo studio di Fase III più numeroso, su 375 soggetti, ha dato risultati promettenti, ma non significativi dal punto di vista statistico. La risposta al trattamento, inoltre, sembra molto variabile tra i pazienti e spesso è associata a effetti collaterali, come le aritmie ventricolari.

Esistono quindi ancora molti nodi da sciogliere sulle cellule staminali. Uno riguarda ad esempio la via di somministrazione, da cui dipendono molti degli effetti collaterali riportati negli studi clinici. Anche il tipo di cellule staminali – mesenchimali (MSC) o mononucleate derivate dal midollo osseo (MNC) – e se sono autologhe (dello stesso paziente) o allogeniche (di un donatore sano) può influenzare il risultato. Ma la più grande limitazione all’uso di questa strategia riguarda forse la logistica della produzione: una singola dose richiede di crescere milioni di cellule in laboratorio, una procedura lunga, laboriosa e potenzialmente poco scalabile quando i pazienti non sono più qualche decina, ma diverse centinaia di migliaia.

PICCOLE MOLECOLE PER PROTEGGERE IL CUORE

Dopo molti anni e pochi risultati, alcuni ricercatori hanno cominciato a guardare le cose da un altro punto di vista. Gli studi più recenti suggeriscono che i potenziali benefici delle staminali non starebbero solo nella loro capacità di proliferare, ma anche, e soprattutto, nella secrezione di sostanze che riducono l’infiammazione e stimolano la produzione di nuovo muscolo cardiaco. È nato quindi un intero filone di ricerca su fattori proteici sescreti, che in futuro potrebbero essere somministrate come dei farmaci per riparare il danno cardiaco (ne abbiamo già parlato qui e qui). Ora gli scienziati stanno cercando possibili soluzione studiando i pesci.

Mentre nei mammiferi il cuore perde la capacità di rigenerarsi poco dopo la nascita, altri vertebrati, tra cui zebrafish e alcuni anfibi, la mantengono anche da adulti. Zebrafish, ad esempio, riesce a rigenerare fino al 20% del muscolo cardiaco grazie all’epicardio, uno strato di tessuto che circonda il cuore dei vertebrati e ha un ruolo centrale durante lo sviluppo embrionale. I ricercatori stanno studiando come riprogrammare l’epicardio per "convincerlo" a rigenerare il cuore anche nei mammiferi adulti. Hanno già identificato specifiche molecole che dovrebbero attivare l’epicardio, come la proteina chiamata timosina beta4 – con risultati soddisfacenti nei topi, dove è stata somministrata in via preventiva – la Prokineticina-1 (Prok1) e il VEGFA (Vascular Endothelium Growth Factor A).

LA CORSA DELLA MEDICINA RIGENERATIVA

Sui possibili farmaci derivanti dalle molecole secrete dalle cellule la ricerca è ancora agli inizi: anche se i vantaggi sono evidenti, soprattutto nella produzione e nello scale-up, ad oggi non ci sono dati disponibili sugli esseri umani e potrebbero passare molti anni prima di identificare le molecole giuste. Sulla terapia cellulare ci sono luci e ombre, ma le cellule staminali sono in grado di produrre molecole o fattori di crescita che stimolano la rigenerazione del muscolo cardiaco. Le due strategie, insomma, non sarebbero agli antipodi, e a parere di molti scienziati potrebbero coesistere e imparare l’una dall’altra nella corsa per riparare il cuore.

Fattori proteici o cellule staminali, quale sarà dunque il futuro della medicina rigenerativa del cuore? Potrebbero esserlo entrambi.

 

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