Dall’ICGEB alle start-up: un trasferimento tecnologico di successo per la piattaforma che permette di selezionare fattori protettivi per le cellule. Ne parliamo con il prof. Mauro Giacca
Molte malattie comuni sono causate dal fatto che alcuni dei nostri organi hanno un numero definito di cellule alla nascita e poche o nessuna capacità di rigenerarsi durante l’età adulta. Tra questi, il cuore, il cui il patrimonio cellulare diminuisce nel corso degli anni. Proprio per questo motivo, il gruppo di ricerca del prof. Mauro Giacca, professore al King’s College di Londra e all’Università di Trieste, ha cercato dei fattori proteici che fossero protettivi per le cellule cardiache e che potessero essere somministrati per prevenirne la morte. La piattaforma Funsel, sviluppata dal suo laboratorio, permette di identificare questi fattori tramite un sistema di screening funzionale in vivo. Anche le malattie renali potrebbero beneficiare delle applicazioni di FunSel.
Una persona di 70 anni ha più della metà delle cellule del cuore che sono esattamente le stesse con cui è nata: è evidente che, nel caso di danno al tessuto cardiaco, le conseguenze possono essere davvero importanti per la salute e, purtroppo, irreversibili. Infatti, se una persona ha un infarto, una parte – più o meno consistente – di queste cellule muore definitivamente. Riuscire a prevenire la morte cellulare potrebbe cambiare la storia clinica di queste persone dato che il tessuto cardiaco non si rigenera velocemente come, ad esempio, l’epidermide, che “cambiamo” in un paio di settimane. A livello globale, le malattie cardiovascolari sono la prima causa di morte al mondo per entrambi i sessi, provocano milioni di morti ogni anno e implicano trattamenti d’urgenza, terapie e controlli a lungo termine, con conseguenze importanti sulla salute dell’intera società e costi elevati per i sistemi sanitari di tutto il mondo.
L’obiettivo principale della ricerca del gruppo del prof. Giacca sono proprio le malattie cardiache, per le quali sono disponibili solo terapie di supporto in grado di rallentare la progressione della malattia e diminuire alcuni rischi, ma non di sostituire il tessuto irreversibilmente danneggiato da un infarto del miocardio. Le biotecnologie potrebbero essere la soluzione per impedire alle persone che hanno subito un infarto miocardico di evolvere verso uno scompenso cardiaco, più o meno grave, con le conseguenze ad esso associate. “Abbiamo cercato dei fattori protettivi tra le proteine secrete dalle cellule, senza sapere a priori cosa avremmo potuto trovare e come avrebbe funzionato. Dopo aver prodotto una collezione di 1200 di queste proteine, le abbiamo inserite in altrettanti vettori virali adeno-associati (AAV) per trasferirli nelle cellule di interesse”, spiega Mauro Giacca. “La decisione di lavorare sulle proteine secrete deriva dal fatto che possono essere poi prodotte grazie all’ingegneria genetica e quindi somministrate come proteine ricombinanti senza dover ricorrere alla terapia genica. Il metodo sviluppato, chiamato FunSel, ci ha permesso di fare la selezione in vivo di questi fattori, trovandone 3 con potenziale effetto cardioprotettivo sul tessuto miocardico infartuato”.
Il team ha deciso di puntare sugli AAV perché sono vettori molto efficienti in diversi tipi di cellule, tra cui proprio i cardiomiociti. La fase di screening in vivo, nei topi, ha previsto l’analisi di 50 fattori per volta, ciascuno nel proprio vettore virale, che sono stati fatti arrivare al cuore. Ciascun vettore ha colpito una cellula diversa e trasferito il materiale genetico al suo interno, stimolando la produzione della proteina di interesse. I ricercatori hanno indotto l’infarto nei modelli animale: molte cellule sono morte, ma le sopravvissute hanno permesso l’identificazione dei fattori protettivi. Lo scopo finale di questo approccio è quello di trovare un farmaco che, somministrato subito dopo l’evento ischemico, sia in grado di evitare danni irreversibili al tessuto cardiaco.
“L’azienda di investimenti inglese Syncona Ltd ha deciso di supportare l’idea e la tecnologia FunSel, creando a Londra due start-up con l’obiettivo di far progredire la ricerca e sviluppare questa terapia fino alla sperimentazione clinica. Inoltre, dato che FunSel può essere applicata anche allo studio di altre patologie, un altro ramo di ricerca e sviluppo supportati dall’investimento riguarda le malattie renali”, prosegue Giacca. Sono diverse decine i milioni di sterline investiti per portare i fattori più promettenti fino allo sviluppo clinico. Anche malattie ereditarie come la sindrome di Alport potrebbero giovarsi di questo approccio.
“Il brevetto di FunSel, originariamente dell'International Centre for Genetic Engineering and Biotechnology (ICGEB), è stato preso in licenza esclusiva da queste 2 nuove aziende biotecnologiche. Il progetto, partito alla fine del 2020, è ancora in fase iniziale, ma le prospettive sono ambiziose”, conclude il professore. “Dato che le probabilità di sviluppare uno scompenso cardiaco e morire dopo un infarto dipende dalla quantità di cellule morte durante l’evento, l’obiettivo sarà quello di riuscire ad arrivare alla clinica somministrando i fattori protettivi ai pazienti infartuati, ancora prima dell’angioplastica. Successivamente si procede con l’angioplastica per rivascolarizzare il tessuto, ma intanto le cellule sono protette”.
Oltre ai fattori di protezione per le cellule del cuore, l’altro filone di ricerca del prof. Giacca è quello della rigenerazione cardiaca. Proseguono infatti gli studi sui microRNA sintetici che possono stimolarla (di cui abbiamo parlato QUI): questi piccoli segmenti di materiale genico, inseriti in particelle lipidiche, vengono veicolati alle cellule del cuore e ne stimolano la rigenerazione.