Cellula staminale

Isolate per la prima volta 25 anni fa, le cellule che sono in grado di evolversi in qualsiasi altro tipo cellulare non hanno ancora trovato applicazione in campo medico

Una svolta per la biologia e la medicina: questo è stato il messaggio che per anni abbiamo letto e ascoltato quando si parlava di cellule staminali embrionali. Cellule in grado di dare origine a tutte le altre tipologie di cellule presenti nel corpo umano e che, di conseguenza, potevano essere la soluzione a molte situazioni cliniche grazie alla rigenerazione di tessuti e organi. Ma la tanto millantata rivoluzione medica non è avvenuta e, oggi, non esiste nessuna terapia approvata basata su queste cellule. Un articolo firmato da Antonio Regalado fa il punto della situazione: il giornalista del MIT Technology Review è andato alla riunione annuale dell’International Society for Stem Cell Research (ISSCR) per scoprire se dietro questo ritardo nel trovare applicazioni ci siano delle problematiche.

La maggior parte degli scienziati con cui ha parlato Regalado durante l’evento che si è svolto lo scorso giugno a Boston ha confermato che per lo sviluppo di tecniche biotecnologiche così innovative è assolutamente prevedibile investire anni di ricerca. Basti pensare al tempo trascorso tra la prima sperimentazione di una terapia genica sull’uomo (1980) e la prima approvazione di una terapia genica in Europa (2012). Le cellule e i geni non sono un farmaco “classico”: non parliamo di un antidolorifico da banco, ma di un qualcosa di vivente e questo complica le cose.

Negli ultimi anni sono stati fatti dei passi avanti: dalle iniziali difficolta tecnico-scientifiche – e bioetiche, visto che si tratta di cellule che potevano essere ottenute unicamente dagli stadi iniziali degli embrioni umani – alla loro sopravvivenza e crescita in laboratorio ci sono stati molti studi, investimenti, diverse copertine delle più famose riviste scientifiche e dibattiti che hanno coinvolto i maggiori esperti così come il grande pubblico. Il primo studio che descrive il loro isolamento in laboratorio, pubblicato su Science nel 1998 e firmato da J. A. Thomson dell’University of Wisconsin, racconta di come queste cellule fossero viste come la soluzione a tutto, dal diabete all’insufficienza d’organo, dalle ustioni alle malattie neurodegenerative. Una fonte di cellule per studiare farmaci, uno strumento per la rigenerazione dei tessuti e la soluzione al problema dei trapianti perché addirittura in grado di far ricrescere gli organi. Idealmente ha un senso, poiché sappiamo che queste cellule sono in grado di svilupparsi in qualsiasi altro tipo di cellula e che danno origine all’intero organismo umano durante lo sviluppo fetale, ma nella pratica di laboratorio è decisamente complesso. Come farle evolvere nel tipo cellulare che interessa? Come evitare l’accumularsi delle mutazioni nella loro crescita in piastra? Sono solo un paio di esempi, ma i quesiti c’erano – e ancora ci sono – e le risposte mancavano e, a volte, mancano tuttora.

A questo si aggiungono le difficoltà culturali e politiche dell’accettazione della sperimentazione su embrioni umani e gli errori di comunicazione: la cura per tutti i mali sarebbe arrivata presto, sembrava essere già pronta all’uso, servivano “solo” investimenti e ricerca. E in questo contesto, di fronte alla speranza di avere una cura, la scelta di molti governi di limitare lo studio sulle staminali – viste come il Santo Graal della medicina - ha provocato le ire dei pazienti in diverse parti del mondo.

Dal 2006, grazie agli studi sulle cellule staminali del Premio Nobel Shinya Yamanaka (di cui abbiamo parlato qui), è però possibile creare delle staminali del tutto simili alle embrionali, ma create a partire da cellule qualsiasi (già differenziate). Queste cellule, chiamate cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), permettono di superare le barriere bioetiche perché non bisogna fare ricorso agli embrioni. Sono, infatti, molto utilizzate da diversi anni, anche se ci sono ancora evidenti limitazioni alla loro applicazione. Oltre ai problemi legati alle loro capacità di autorinnovamento e differenziamento – tumorigenicità e immunogenicità ad esempio - restano i costi elevati e alcune difficoltà tecnico-scientifiche. Inoltre, una questione ancora aperta è la loro sopravvivenza nell’organismo e la quantità necessaria di cellule per avere un possibile effetto terapeutico. Gli studi clinici ci sono e – pur restando quasi tutti alle fasi iniziali – sono fondamentali per raccogliere informazioni.

Come già anticipato, non ci sono ancora soluzioni e risposte a tutti i quesiti in sospeso: è ormai evidente che 25 anni non sono stati sufficienti a trasformare le cellule più promettenti degli anni ’90 e 2000 in una terapia. Nessun trattamento a base di cellule staminali embrionali è arrivato ancora sul mercato come terapia approvata dagli enti regolatori e probabilmente sarà necessario ancora un po’ di tempo prima di sentire la notizia di una approvazione di questo tipo. Purtroppo, le staminali continuano a essere viste come la soluzione a tutti i mali e molti sono i trattamenti non autorizzati venduti a caro prezzo da cliniche dalla dubbia solidità scientifica e morale, che mettono in pericolo la vita dei pazienti. Queste situazioni sono diffuse in tutto il mondo, anche in Europa, motivo per cui è stato fatto un appello internazionale, è stato lanciato l’allarme dagli enti regolatori, l’ISSCR ha diversi documenti scaricabili gratuitamente dal proprio sito web (tra cui le linee guida per la ricerca) e Osservatorio Terapie Avanzate ha scritto un breve vademecum per metter in guardia le persone su questo tema. 

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