Utero

Il sistema modello permette di studiare da vicino alcune malattie della placenta, come la malaria placentare, che riduce l’apporto di glucosio al feto con gravi conseguenze sul suo sviluppo

Un gruppo di ricercatori dell’università della Florida ha messo a punto una placenta su chip per simulare lo scambio di nutrienti tra le cellule della madre e del feto, attraverso una rete di micro-canali e un gel di collagene, per comprendere i meccanismi fisiopatologici alla base della malaria placentare causata dal parassita Plasmodium falciparum. Conseguenze di questa malattia possono essere nascita prematura, rischio di aborto e sofferenza fetale: sono responsabili della morte di quasi 200.000 neonati all’anno. Il chip ricostruisce i processi biochimici che avvengono quando i globuli rossi infetti entrano in contatto con lo strato esterno della placenta e ostacolano il passaggio dei nutrienti dal sangue materno al feto. I risultati sono stati pubblicati lo scorso settembre su Scientific Reports.

MODELLI PER LO STUDIO DELLA PLACENTA

La placenta è un organo deciduo, quindi temporaneo, ma fondamentale per garantire gli scambi metabolici di ossigeno e nutrienti tra la madre e il feto, e non solo. Attraverso la placenta, ad esempio, la madre trasferisce al feto i propri anticorpi dopo una vaccinazione o una malattia naturale. Studi recenti suggeriscono anche che la placenta potrebbe essere una nuova promettente fonte di cellule staminali, oltre a proteggere la salute del feto e a fornire informazioni preziose su tutte le fasi della gravidanza.

Lo studio della placenta umana, però, non è mai stato facile, soprattutto per le ovvie limitazioni -anche di tipo etico - che ne ostacolano la manipolazione in un organismo vivo. Le donne, però, possono decidere di donare la placenta per esperimenti ex vivo. D’altra parte, i modelli animali disponibili sono scarsi e poco affidabili, perché non riproducono esattamente l’anatomia della placenta umana. L’altra opzione sono i modelli in vitro, che rappresentano una semplificazione rispetto all’organismo intero.

Una semplificazione, però, sempre più sofisticata: negli ultimi anni la ricerca sui modelli di placenta ha segnato un traguardo dopo l’altro. Nel 2015, un gruppo coordinato dal National Institute of Health degli Stati Uniti ha realizzato la prima placenta su chip, che riproduce in scala microscopica il funzionamento di questo organo. Tre anni dopo, nel 2018, i ricercatori dell’università di Cambridge hanno creato in laboratorio il primo organoide di placenta, una replica tridimensionale in miniatura che corrisponde al primo trimestre di gravidanza.

LA MALARIA PLACENTARE

I ricercatori del Florida Atlantic University’s College of Engineering and Computer Science e dello Schmidt College of Medicine hanno iniziato a studiare la placenta in una particolare condizione patologica: la malaria. Causata dal parassita Plasmodium falciparum, nelle donne in gravidanza può infettare la placenta e dar vita a problemi come nascita prematura, aborto e basso peso alla nascita.

La malaria placentare uccide ogni anno quasi 200.000 neonati e circa 10.000 madri, confermandosi come una delle prime cause di morte neonatale al mondo.

L’infezione avviene quando i globuli rossi infettati dal parassita entrano in contatto con i villi coriali, la parte della placenta che porta sangue e nutrimento al feto. Le cellule del sistema immunitario richiamate sul sito dell’infezione, come i monociti circolanti e i macrofagi, creano infiammazione, che è la causa principale dei sintomi. Una placenta infetta potrebbe non essere più in grado di assicurare lo scambio di sostanze dalla madre al feto e viceversa. “Lo studio del trasporto molecolare tra il compartimento materno e fetale può aiutare a comprendere alcuni dei meccanismi fisiopatologici nella malaria placentare”, scrivono i ricercatori. Ma nonostante i progressi sui modelli in vitro, questo meccanismo resta complesso da riprodurre, a causa del numero di popolazioni cellulari che vi prendono parte e della loro particolare architettura.

PLACENTA-ON-A-CHIP

Tra le tecnologie a disposizione dei ricercatori, quella degli organi su chip ha una serie di vantaggi. Permette infatti di ricreare su un dispositivo artificiale un organo, un sistema di organi o tessuti miniaturizzati e interconnessi, che assomiglino il più possibile a quelli del corpo umano. I chip contengono una rete di compartimenti e di micro-canali che permettono alle popolazioni cellulari di scambiare sostanze e addirittura simulano un flusso sanguigno.

I ricercatori hanno quindi creato un modello di “placenta-on-a-chip” per studiare da vicino i meccanismi alla base della malaria placentare e del trasporto di nutrienti dalla madre al feto. La “vera” placenta è formata da almeno quattro strati cellulari che separano il compartimento materno da quello fetale. La sua riproduzione su chip ha una struttura semplificata: lo strato esterno, a contatto con il sangue infetto (che mima il sangue materno), è formato da una linea di cellule isolate dalla placenta umana (BeWo) chiamate trofoblasti; lo strato interno, a contatto con il sangue non infetto (che mima il sangue fetale), è formato da cellule endoteliali di vena ombelicale umana (HUVEC) isolate dal cordone ombelicale. Tra i due strati, una membrana di collagene riproduce la matrice extracellulare che separa naturalmente i due compartimenti. Un’oscillazione automatica lenta e costante simula il flusso sanguigno attraverso la rete di micro-canali.

I ricercatori hanno quindi creato una differenza nella concentrazione del glucosio tra i due lati della placenta artificiale e hanno misurato l’efficienza con cui questa molecola veniva trasportata attraverso la barriera placentare, in presenza o meno dell’infezione nel sangue materno. I risultati, pubblicati su Scientific Reports, hanno dimostrato che i globuli rossi infetti si legano alla proteina condroitina solfato (CSA) e vengono “sequestrati” dai trofoblasti dello strato più esterno, ostacolando fisicamente la diffusione del glucosio attraverso la barriera placentare. Anche in assenza di infiammazione, l’adesione dei globuli rossi alla placenta contribuisce a diminuire il flusso di nutrienti al feto – il basso peso alla nascita è una condizione tipica di questa patologia.

UN MODELLO PER STUDIARE LE MALATTIE DELLA PLACENTA

Il modello ha ancora dei limiti: il sistema di microfluidica che simula il flusso sanguigno potrebbe essere migliorato, così come la composizione della matrice extracellulare, che comprende solo il collagene di tipo I e non quello di tipo IV. Ma le potenzialità superano i difetti: i ricercatori sperano di usare questo modello di placenta su chip per comprendere i meccanismi fisiopatologici alla base della malaria placentare e per studiare nuovi bersagli terapeutici. Intanto si ragiona su come espandere l’orizzonte delle applicazioni: “questo nuovo sistema microfluidico – concludono i ricercatori – potrebbe servire come modello per studiare anche altre le malattie associate alla placenta”.

 

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