Un approccio di immunoterapia in due fasi per combattere tumori contro cui le attuali versioni delle terapie a base di cellule CAR-T sono inefficaci
“La mossa Kansas City è quando tu guardi a destra e loro arrivano a sinistra”. Con queste parole Bruce Willis metteva in guardia Josh Hartnett nel film “Slevin - patto criminale”, usando uno slang un po’ alla moda per descrivere una truffa in cui la vittima, pur credendo di aver capito l’inganno, viene beffata. Alcuni gruppi di ricerca stanno cercando di adattare questa strategia alle terapie CAR-T: l’obiettivo è renderle adatte a colpire le cellule della leucemia mieloide acuta e di altri tumori che, fino ad oggi, erano rimasti fuori dal radar dei “super-linfociti”. Un recente articolo apparso sulla rivista Science riassume il punto di vista entusiastico - ma pur sempre cauto - di alcuni scienziati riguardo a questa nuova strategia di uso delle CAR-T.
Infatti, commentando gli esiti di una ricerca pubblicati sulle pagine della rivista Science Translational Medicine (di cui Osservatorio Terapie Avanzate si è occupata qui) l’immunologo Jason Lohmueller, della School of Medicine presso l’Università di Pittsburgh, ha sottolineato l’audacia di questo esperimento che è più di un semplice passo avanti. Entusiasmo condiviso anche dall’immunologa Marie Bleakley, del Fred Hutchinson Cancer Center, la quale tributa grande fiducia alle potenzialità di questo approccio.
In pratica il team di ricerca di Nils Wellhausen - che ha guidato gli esperimenti descritti nell’articolo pubblicato su Science Translational Medicine - ha usato CRISPR, lo strumento di correzione del DNA in un contesto di massima precisione, apportando un piccolo cambiamento alla sequenza del gene nei linfociti T che codifica per il recettore dell’antigene CD45. Tale antigene è diffuso sia sulle cellule T sane che su quelle cancerose e non poteva esser impiegato - al pari degli antigeni CD19 e BCMA espressi, invece, sui linfociti B - per la realizzazione di un costrutto a base di CAR-T il quale, altrimenti, avrebbe ucciso tanto le cellule T sane che quelle malate. Ma la piccola modifica di Wellhausen cambia radicalmente le cose: alterando la proteina quel tanto che basta per nasconderla alle CAR-T le cellule T sane esprimenti il CD45 sono risparmiate dall’attacco dei “super-linfociti”.
Si tratta, dunque, di un ingegnoso sistema il cui principio alla base ricorda il lavoro di Katalin Karikó e Drew Weissman - recenti vincitori del Premio Nobel per la Medicina - i quali hanno modificato uno dei nucleosidi dell’mRNA per evadere la risposta immunitaria e ottenere dalle cellule dell’organismo la produzione di proteine, enzimi o ormoni. Naturalmente si tratta di due ricerche ben distinte ma accomunate dal fatto che piccoli interventi di correzione nelle cellule possono tramutarsi in grandi balzi avanti nell’elaborazione di future nuove terapie.
Infatti, la ricerca di Wellhausen - che fa parte dell’équipe coordinata da Carl June - sembra andare oltre le barricate che imprigionano il potenziale delle CAR-T e che i colleghi dell’Università della California avevano ben riassunto in una review apparsa sulla rivista Cell Stem Cell. I prodotti a base di CAR-T attualmente approvati e immessi in commercio (potete trovare la lista qui) sono autologhi, cioè ottenuti dalle cellule del singolo paziente e allo stesso destinati. Ciò incide in maniera drastica sui costi e le modalità di produzione nonché sull’accesso alle terapie. Inoltre, le CAR-T vengono somministrate a persone la cui malattia è in rapida progressione, un aspetto che influenza la qualità del prodotto ottenuto. Anche la capacità di attecchimento delle cellule determina risposte differenti, per non dimenticare le reazioni avverse (la sindrome da rilascio delle citochine e la neurotossicità) a cui questo genere di trattamento può essere associato. Infine, il successo delle CAR-T è, finora, confinato solo alle neoplasie onco-ematologiche, soprattutto ai linfomi e alle leucemie che colpiscono i linfociti B. Gli autori californiani della review confidano nel filone di ricerca che porterà alla realizzazione di CAR-T allogeniche, destinate a persone con caratteristiche cliniche differenti e ottenute al termine di processi produttivi meno complessi e costosi. Infine, essi guardano nella direzione delle cellule staminali come a una rigogliosa fonte di sviluppo di prodotti cellulari scalabili, facilmente modificabili e ottimizzati in termini di sicurezza ed efficacia.
In effetti, i ricercatori della Perelman School of Medicine dell’Università della Pennsylvania che sono intervenuti sulla sequenza dei linfociti T codificante per l’antigene CD45 hanno poi apportato il medesimo cambiamento anche in una linea di cellule staminali del sangue. Dopo aver testato tale approccio in un modello murino della leucemia mieloide acuta essi hanno osservato come i topi infusi fossero ancora vivi svariati giorni dopo aver ricevuto il trattamento. Nonostante ciò sono gli stessi autori - e anche gli scienziati che hanno poi commentato questo successo - a invitare alla prudenza dal momento che la sostituzione delle cellule staminali di una persona è un procedimento alquanto rischioso. Saranno necessari molti e più approfonditi test su modelli animali per comprendere a pieno la sicurezza e confermare l’efficacia di questa procedura la quale, tuttavia, potrebbe esser la chiave di svolta nell’utilizzo delle CAR-T in ambito oncologico.
Nel frattempo, durante i lavori dell’Annual Meeting di Alleanza Contro il Cancro, la Rete oncologica nazionale del Ministero della Salute, anche il prof. Franco Locatelli, Direttore del Dipartimento di Onco-Ematologia e Terapia Cellulare e Genica dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma e Presidente del Consiglio Superiore di Sanità, ha commentato con entusiasmo il fatto che “con una nuova tipologia di costrutto che include una sequenza in grado di bloccare sull’espressione delle cellule CAR-T il bersaglio aggredito dalle medesime - evitando una sorta di lotta fratricida - si riescono a ottenere dei risultati di straordinario interesse”.
Si osserva un intenso fervore intorno a tali nuovi prospettive di ricerca che, nei prossimi anni, potrebbero tradursi in applicazioni cliniche di successo. Ciononostante non bisogna dimenticare che la lotta al cancro non si risolve con una cura: le terapie a base di cellule CAR-T non sono la panacea per tutti i mali poiché il cancro per sua natura esprime complessità, mutevolezza, eterogeneità. Ogni cellula tumorale può presentare centinaia di mutazioni che insorgono casualmente e sono difficili da identificare. Tali mutazioni danno origine a cascate di segnali sfocianti in alterazioni di innumerevoli meccanismi cellulari. Il cancro è confusione, pertanto occorre affrontarlo con razionalità e intelligenza tattica, esplorando e studiando tutti i percorsi che concorrono all’evoluzione neoplastica delle cellule e poi combinando trattamenti diversi. Anticorpi monoclonali, inibitori dei checkpoint immunitari e CAR-T sono solo alcune tra le più recenti soluzioni su cui la ricerca sta lavorando ma il loro valore si potrà apprezzare solo all’interno di un programma di cure a più fattori, dove il punto di forza è dato dalla possibilità di colpire in maniera sinergica i meccanismi chiave del cancro.