Messo a punto un doppio sistema di accensione e spegnimento delle cellule CAR-T, controllato dal farmaco lenalidomide. Lo studio statunitense è stato pubblicato su Science Translational Medicine
Le terapie CAR-T si sdoppiano, con una variante “ON” e una “OFF”. Le prime sono in grado di svolgere un’azione antitumorale solo in seguito alla somministrazione del farmaco lenalidomide; le seconde invece possono essere gestite a comando – sempre grazie alla stessa molecola – in modo da essere attivate/disattivate a piacimento. È l’idea di un gruppo di ricercatori del Dana-Farber Cancer Institute e del Massachusetts General Hospital Cancer Center di Boston che, lo scorso gennaio, ha illustrato questo nuovo approccio sulle pagine di Science Translational Medicine. Il sistema, che è stato al momento testato solo su modelli animali, potrebbe, un domani, permettere di gestire con più precisione questa innovativa terapia oncologica.
EFFETTI COLLATERALI
Il punto di partenza, o per meglio dire il cruccio che affligge gran parte dei ricercatori che stanno lavorando per ottenere CAR-T sempre più precise e sofisticate, è sempre lo stesso: riuscire a ridurre o per lo meno gestire gli importanti effetti collaterali che possono verificarsi con queste terapia. Come la sindrome da rilascio di citochine (CRS) o la neurotossicità. Due problematiche che possono insorgere in alcuni pazienti e per le quali sono richiesti farmaci specifici ed un’équipe medica idonea che le sappia gestire. La proliferazione incontrollata delle cellule CAR-T, infatti, può a volte innescare la CRS e il rilascio di segnali che causano infiammazione in tutto il corpo che possono causare tossicità che vanno da febbre lieve a insufficienza d'organo pericolosa per la vita.
“Ciò che differenzia le terapie CAR-T dalle forme più consolidate di trattamenti oncologici, come la chemioterapia o la radioterapia, è il fatto che in questi ultimi casi la dose può essere regolata con precisione nel tempo”, scrivono gli autori del lavoro. “Mentre è difficile interrompere l'attività di una terapia cellulare attivata, una volta somministrata. Queste sindromi da iperattivazione sarebbero più facilmente gestibili se i medici potessero rapidamente e in modo reversibile controllare le cellule CAR-T”.
FARMACI ANTINFIAMMATORI E GENE SUICIDA
Oggi si sa che il tocilizumab – un inibitore dell'inteleuchina-6, una molecola infiammatoria coinvolta nella sindrome da rilascio di citochine – può essere una soluzione in alcuni casi, visto che è in grado di spegnere la forte infiammazione. Un’altra possibilità da tempo al vaglio degli scienziati, e messa a punto in Italia dal gruppo di ricerca dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù guidato dal Prof. Franco Locatelli, è la creazione di un “gene suicida” che, opportunamente attivato al bisogno con la somministrazione di uno specifico farmaco, può spegnere le cellule CAR-T.
L’idea dei ricercatori di Boston va ancora oltre. Da una parte infatti, hanno ripreso l’idea del gene suicida, con le cellule “CAR-T OFF” che possono essere disattivate somministrando lenalidomide, un farmaco usato per il mieloma multiplo e sindromi mielodisplasiche. Mentre nel caso delle cellule “CAR-T ON” – vera novità del lavoro – la loro “accensione”, sempre dipendente da lenalidomide, consentirebbe il controllo sui tempi di attivazione delle cellule T e darebbe l’opportunità al medico stesso di decidere quando e se attivare la terapia. Anche in maniera dose-dipendente e quindi, volendo, progressiva.
LE CAR-T ON/OFF
Per creare i sistemi di commutazione ON e OFF i ricercatori hanno utilizzato una tecnica relativamente nuova nota come degradazione proteica mirata, che sfrutta un meccanismo cellulare utilizzato per smaltire proteine indesiderate o anormali. All’interno della cellula infatti, le proteine che devono essere smaltite sono contrassegnate da una sorta di “etichetta”. Alcuni farmaci, inclusa la lenalidomide, sfruttano questo percorso e sono in grado di indurre la degradazione di diverse proteine bersaglio. I ricercatori hanno quindi inserito l’etichetta di degradazione sulle cellule CAR-T, in modo da essere eliminate in seguito alla somministrazione di lenalidomide. Con l’idea, però, non di interrompere definitivamente il trattamento oncologico ma solo di sospenderlo in caso di tossicità, per poi riprenderlo successivamente. Anche considerando che le proteine CAR (i recettori chimerici dell’antigene) sono continuamente prodotte dalle cellule T ingegnerizzate, quindi le nuove potrebbero ripristinare la funzione antitumorale della cellula. Per creare un CAR con interruttore ON, invece, gli esperti hanno progettato CAR-T “disinnescate” che per funzionare richiedevano una dimerizzazione, ovvero l’interazione con un’altra molecola possibile solo in seguito alla somministrazione di lenalidomide. Con questo sistema le cellule T riconoscono e attaccano le cellule tumorali solo durante il trattamento farmacologico, il che ne incrementa la sicurezza.
I PROSSIMI PASSI
“In vivo le CAR-T ‘attivate’ ON hanno dimostrato un'attività antitumorale dipendente da lenalidomide e le CAR-T ‘degradabili’ OFF sono state bloccate dallo stesso trattamento farmacologico, limitando la produzione di citochine infiammatorie pur mantenendo l'efficacia antitumorale”, scrivono i ricercatori. “Insieme, i dati hanno mostrato che questi interruttori controllati da lenalidomide sono sistemi rapidi, reversibili e clinicamente adatti per controllare la funzione del transgene in diverse terapie geniche e cellulari”. Per ora l’approccio è stato testato per il linfoma e il mieloma, in vitro e in vivo su modelli animali, dimostrando che può agire anche contro diversi antigeni tumorali.
“Il nostro obiettivo era quello di creare terapie contro il cancro che fossero più sicure per i pazienti”, ha affermato Max Jan, primo autore del lavoro. “La strategia ha inoltre un certo potenziale per arrivare in clinica, avendo costruito questi ‘interruttori’ utilizzando sequenze genetiche umane e un farmaco approvato dalla FDA”. Ma il percorso di ricerca è ancora ai primi passi. I prossimi, prima ancora di arrivare a uno studio sugli esseri umani, avranno l’obiettivo di capire quando attivare o spegnere il trattamento.