Valentina Vavassori

Uno studio dell’Istituto Telethon San Raffaele per la Terapia Genica di Milano esamina il potenziale delle particelle di grasso per l’editing genomico ex vivo 

Un conto è lavorare su CRISPR per svilupparne delle versioni sempre più accurate, in grado di effettuare modifiche in specifici punti del DNA; un altro è trovare il modo di portare questo strumento di correzione dentro le cellule, superando il doppio strato lipidico che forma la struttura di base di una membrana. Tra le opzioni più utilizzate ci sono i vettori virali o l’elettroporazione ma, come ha dimostrato il successo dei vaccini a mRNA - compresi quelli per COVID-19, per cui è appena stato assegnato il Nobel per la Medicina - il ricorso alle nanoparticelle lipidiche ha stabilito ottimi risultati. Pertanto, come descritto nel lavoro recentemente pubblicato sulla rivista Blood, la dott.ssa Valentina Vavassori, insieme al dott. Samuele Ferrari e i colleghi dell’SR-Tiget di Milano hanno pensato di estenderne l’applicazione anche alle cellule T e alle staminali del sangue. Vediamo meglio in che modo.

METODI PER INTRODURRE CRISPR NELLE CELLULE

I protocolli di editing del genoma ex vivo cominciano con un prelievo dall’organismo di cellule da mettere in coltura, che saranno successivamente sottoposte al procedimento di modifica del genoma tramite Crispr-Cas9 o un altro strumento di correzione del DNA. Ma perché il sistema di correzione entri nella cellula serve una “spinta” che, il più delle volte, viene ottenuta con l’elettroporazione. Si tratta di un metodo che, attraverso l’emissione di un impulso di corrente, provoca una momentanea apertura dei pori della membrana cellulare, permettendo l’ingresso del macchinario CRISPR.

Tuttavia, questo procedimento di “elettroshock” ha delle conseguenze negative sulla cellula, specialmente sui linfociti T, oggetto degli studi di Valentina Vavassori, post-doc all’Istituto Telethon San Raffaele per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano. “Le cellule T sono piuttosto sensibili a questa procedura che ne uccide molte”, precisa la dottoressa. “Lo stesso accade alle cellule staminali ematopoietiche anche se, nel loro caso, l’impatto dell’elettroporazione appare più modesto, provocando comunque un blocco del ciclo cellulare. Perciò, nel tentativo di trovare una tecnica alternativa per introdurre CRISPR nelle cellule abbiamo pensato di sfruttare le nanoparticelle lipidiche (LNP)”.

I DANNI DELL’ELETTROPORAZIONE 

Come ha dimostrato il caso dei vaccini contro il virus SARS-CoV-2, il ricorso alle LNP per il trasporto dell’mRNA necessario alla sintesi della proteina spike con cui bloccare l’ingresso del virus ha consentito di raggiungere elevati livelli di efficienza e sicurezza. Infatti, queste microscopiche vescicole composte da lipidi sintetici rappresentano una strategia di successo per fornire l’mRNA alle cellule nei processi di editing del genoma in vivo. Nonostante ciò non sono mai state studiate per la consegna dei componenti per l’editing in procedure di modifica ex vivo, cioè quando le cellule vengono prelevate e modificate in coltura, al di fuori dell’organismo a cui saranno destinate.

Ci siamo chiesti se fosse possibile usarle in questo contesto e, dopo aver individuato un’azienda produttrice, abbiamo iniziato a testarle”, racconta Vavassori. “Perciò, siamo partiti dalla caratterizzazione della risposta da parte delle cellule T all’elettroporazione e all’editing osservando come circa la metà di esse non sopravvivesse alla procedura di elettroporazione”. A quel punto i ricercatori milanesi hanno cercato di capire se un tale netto calo nel numero di cellule T fosse dovuto all’elettroporazione in sé o alla successiva aggiunta degli strumenti per l’editing, notando che la maggior parte delle cellule moriva nella prima fase, vale a dire quella dell’elettroporazione. “La nostra ipotesi è che la causa del decesso sia uno squilibrio mitocondriale”, prosegue Vavassori. “L’applicazione di un campo elettrico alla cellula ha effetto anche su mitocondri, influenzando così gli equilibri delle membrane mitocondriali e provocando la morte di tantissime cellule T, le quali sono notoriamente cellule ad elevato potenziale proliferante”.

Occorreva dunque trovare un metodo alternativo ed efficace per consegnare il prezioso carico. 

LE NANOPARTICELLE LIPIDICHE (LNP)

“Nei nostri esperimenti abbiamo osservato che le LNP ci permettevano di raggiungere efficienze di ricombinazione non omologa delle estremità (NHEJ) simili a quelle ottenute dopo elettroporazione e solo un po’ più basse nel caso della ricombinazione omologa (HR), ma con un enorme vantaggio in termini di sopravvivenza delle cellule che non solo non morivano ma proliferavano maggiormente”, afferma Vavassori. Il confronto tra ricombinazione omologa e non omologa delle estremità è importante perché dopo aver ottenuto una rottura del DNA nel punto target di CRISPR occorre riparare la doppia elica e ciò è possibile in due modi: mediante NHEJ, eliminando qualche nucleotide per ricongiungere le estremità o usando un filamento stampo - che deve esser fornito insieme al sistema CRISPR - per ripristinare la sequenza corretta. “Siamo soddisfatti dal momento che, sebbene sul lungo periodo le cellule in coltura smettano comunque di crescere, la possibilità di estenderne la sopravvivenza grazie all’uso delle LNP ci aiuterà ad accorciare i tempi di produzione dei futuri strumenti di editing genomico, riducendone i costi e aumentandone l’efficienza”, spiega la dottoressa entrando nei dettagli dello studio.

Infatti, per capire a fondo cosa accadesse alle cellule T modificate tramite l’utilizzo di LNP rispetto a quelle con elettroporazione, i ricercatori dell’SR-Tiget hanno condotto a breve distanza (12-24 ore) dal trattamento delle analisi di trascrittomica, utili cioè a studiare l’espressione globale degli RNA nelle cellule. “I risultati ci hanno sorpreso poiché sebbene le cellule T fossero in fase proliferativa, i geni del ciclo cellulare risultavano bloccati”, puntualizza Valvassori. “Inoltre, osservavamo un quadro infiammatorio con incremento dei livelli di interferone e uno spegnimento dei percorsi di sintesi del colesterolo”. In pratica, trattandosi di nanoparticelle lipidiche la loro somministrazione provocava un sovraccarico di colesterolo, portando l’organismo a spegnere i geni che ne determinano la sintesi. “Tutto ciò ha avuto un effetto a cascata su altri geni portando al blocco del ciclo cellulare, ma questa reazione ha avuto una durata molto breve e dopo 24 ore le cellule avevano ricominciato a proliferare”, spiega Vavassori. “Così abbiamo capito che se le LNP rimanevano nel terreno di coltura le cellule andavano incontro a morte, e abbiamo migliorato il protocollo, in modo tale che le cellule potessero tornare a proliferare. Meglio che con il ricorso all’elettroporazione”. 

Le informazioni giunte da questo tipo di studio potranno fare da spunta per modificare la formulazione delle LNP, intervenendo sui rapporti lipidici e sulle concentrazioni: questo permetterà di disporre in futuro di nanoparticelle ancora più prestanti e capaci di indurre uno shock minore nelle cellule T.

E NELLE CELLULE STAMINALI EMATOPOIETICHE?

I ricercatori hanno poi deciso di testare lo stesso procedimento anche sulle cellule staminali del sangue notando che l’efficienza nei processi finali di riparazione del DNA era simile a quella già vista per le cellule T. “I tassi di ricombinazione omologa (HR) erano un po’ più bassi, specialmente nelle cellule in più avanzato stadio di differenziazione, che sono quelle più simili dal punto di vista biologico alle cellule T ma, nel complesso, le cellule crescevano di più e meglio”, continua Vavassori. “Abbiamo notato un minor livello di attivazione della via della proteina p53 che interferisce con il ciclo cellulare, con un più basso livello di tossicità rispetto a quello prodotto dall’elettroporazione”.

Per avere la conferma del dato i ricercatori hanno trapiantato le cellule staminali in modelli murini con risultati che mostravano un maggior attecchimento, confermando la validità delle LNP quale alternativa all’elettroporazione. Va comunque sottolineato che le procedure tecniche per il loro utilizzo necessitino di ulteriore perfezionamento.

UN PASSO AVANTI PER ACCORCIARE I PROCESSI PRODUTTIVI E NON SOLO…

“Gli studi di trascrittomica hanno evidenziato che, anche nel caso delle cellule staminali del sangue come per le cellule T, l’impatto sulla sintesi di colesterolo e sui livelli dell’infiammazione è transiente e si risolve in fretta”, conclude Vavassori. “Nonostante ciò, una futura ottimizzazione della formulazione delle LNP potrebbe aiutare a ridurre tale effetto, migliorando ulteriormente la tecnologia”.

C’è ancora molto lavoro da fare prima di portare in clinica questa soluzione che potrebbe comportare dei vantaggi per pazienti, come quelli affetti da anemia di Fanconi, nei quali è difficoltoso ottenere un elevato numero di cellule staminali. Oppure per quelli affetti da immunodeficienze con iper-IgM contro le quali serve un prodotto policlonale ottenuto possibilmente da un ampio campione di cellule di partenza.

Nel frattempo un uso delle LNP anche nei processi di editing del genoma ex vivo potrebbe rendere più brevi gli step della catena manifatturiera e, soprattutto, potrebbe adattarsi alle tecniche di prime-editing e di base-editing che oggi costituiscono il fronte avanzato di questo affascinante settore delle biotecnologie.

Con il contributo incondizionato di

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