Andrés Muro

Il gruppo di ricerca guidato dal prof. Andrés Muro, del ICGEB di Trieste, sta lavorando a un approccio per modificare il DNA delle cellule del fegato e ottenere una terapia efficace e sicura

Per talune patologie, come quelle da accumulo lisosomiale, la guarigione non è mai definitiva, in quanto i trattamenti devono continuare ad essere assunti dai malati per tutta la vita. È il caso della malattia di Fabry, che danneggia il metabolismo lipidico causando l’accumulo di prodotti di degradazione dei glicolipidi in svariati tessuti dell’organismo. La terapia di sostituzione enzimatica (ERT) approvata contro questa patologia prevede periodiche somministrazioni dell’enzima in grado di scomporre le sostanze che si accumuno nei lisosomi. Ma sono necessarie nuove opzioni terapeutiche, che rendano i malati indipendenti da queste continue infusioni. Tra le nuove possibilità in studio figurano la terapia genica e le tecniche di editing del genoma. 

Le frontiere di ricerca contro la malattia di Fabry sono state ben descritte in una review pubblicata a luglio sulla rivista Molecular Genetics and Metabolism e illustrata su Osservatorio Malattie Rare. Un approccio di sicuro interesse è quello attualmente perseguito dal prof. Andrés Fernando Muro, biologo e ricercatore del Centro Internazionale per l’Ingegneria Genetica e le Biotecnologie (ICGEB, Centre for Genetic Engineering and Biotechnology) di Trieste. 

Nato a Buenos Aires e giunto in Italia all’inizio degli anni Novanta, Muro ha consolidato la sua esperienza nel campo della terapia genica, approfondendo la sindrome di Crigler-Najjar per la quale è in corso uno studio clinico che sta dando ottimi risultati in termini di efficacia e sicurezza. “Diversi anni fa, per studiare i meccanismi associati al danno da bilirubina nel neonato e le potenziali terapie, avevamo generato un modello animale murino della sindrome di Crigler-Najjar, con la mutazione del gene UGT1A1 che codifica per l’enzima capace di metabolizzare la bilirubina favorendone l’eliminazione dall’organismo”, ricorda Andrés Muro. “Questo ci ha permesso di acquisire l’esperienza necessaria per mettere a punto una terapia genica in vivo da somministrare ai pazienti”. 

Esperienza grazie alla quale il prof. Muro e il suo gruppo di ricerca hanno partecipato al bando per la ricerca sulle malattie genetiche rare promosso nel 2020 dalla Fondazione Telethon e sono riusciti ad ottenere un finanziamento per sviluppare un progetto dedicato alla malattia di Fabry. “A differenza della sindrome di Crigler-Najjar, la Fabry è una malattia che colpisce diversi organi, fra cui l’apparato digerente, la cute, gli occhi, i reni e anche il cuore e il cervello”, spiega Muro. “Infatti, le mutazioni a danno del gene GLA, che si trova sul cromosoma X, determinano l’assenza dell’enzima alfa galattosidasi A col quale i glicosfingolipidi nei vari tessuti possono essere degradati. Il nostro approccio terapeutico prevede l’inserimento di un gene corretto all’interno del genoma degli epatociti, così da produrre l’enzima mancante. La difficoltà più grande è però dovuta al fatto che il gene deve rimanere in maniera permanente nelle cellule del fegato che, in tal modo, diventa un bioreattore capace di produrre in continuazione l’enzima”. 

Infatti, una soluzione alla malattia di Fabry esiste già e si chiama terapia di sostituzione enzimatica (ERT): essa prevede la somministrazione per via endovenosa dell’enzima ricombinante alfa galattosidasi A ai pazienti. Tuttavia, questa terapia ha diversi svantaggi, il primo dei quali è il costo (si arriva a cifre pari a 200-300 mila euro l’anno per paziente) che rende difficile anche per i Servizi Sanitari dei diversi Paesi sostenerne l’impatto a lungo termine. Un altro svantaggio dell’ERT è l’eventualità che i pazienti trattati sviluppino una reazione immunitaria contro l’enzima ricombinante. Infine, poiché la somministrazione si ripete ogni due settimane, producendo un picco nella quantità di enzima che poi scende gradualmente nel tempo, il livello non è mai costante. La qualità di vita dei malati appare piuttosto limitata perciò è necessario pensare ad una terapia stabile e risolutiva grazie a cui correggere le cellule del fegato per favorire la produzione di una versione corretta dell’enzima alfa galattosidasi A.

“Nel caso della malattia di Fabry abbiamo sviluppato un vettore virale adeno-associato (AAV) che contiene il gene terapeutico GLA insieme a speciali sequenze di DNA che ne controllano l’inserimento in un determinato punto del genoma corrispondente al gene per l’albumina, tra i più attivi a livello del fegato”, precisa Muro. “È un approccio di targeting genomico che ci consente di produrre una elevata quantità dell’enzima GLA da mettere in circolo e far giungere ai tessuti che ne hanno bisogno”. Il razionale di questa filosofia di studio assomiglia a quello della terapia di sostituzione enzimatica con la cruciale differenza che, in questo caso, la produzione di GLA è ininterrotta e si realizza ventiquattro ore al giorno, sette giorni su sette. Con un’unica somministrazione diventa possibile pensare ad una cura per una malattia che oggi rende i pazienti dipendenti da reiterate infusioni dell’enzima, migliorando notevolmente la loro qualità di vita. “Il primo vantaggio di questo approccio è che l’efficacia terapeutica non viene meno neppure se il paziente dovesse contrarre un’infezione alle cellule del fegato, come l’epatite. Questo perché il gene GLA è ben integrato nel cromosoma”, prosegue il professore argentino. “Inoltre, il fegato è un organo tollerogenico e ciò significa che le proteine o gli enzimi da esso prodotti vengono riconosciuti come propri dell’organismo e non scatenano una risposta da parte del sistema immunitario. Perciò l’efficacia terapeutica non viene intaccata”.

La ricerca del Andrés Muro è attualmente in fase pre-clinica ma il modello animale è pronto e i primi esperimenti già avviati hanno prodotto buoni risultati. “Abbiamo iniziato a lavorare sulla sindrome di Crigler-Najjar nel 2010 e ci sono voluti dieci anni per giungere al trattamento dei primi pazienti”, conclude Muro. “Con la malattia di Fabry ci troviamo ancora all’inizio del percorso ma abbiamo avviato una proficua collaborazione con il team della prof.ssa Andrea Elena Dardis, responsabile di laboratorio del Centro di Coordinamento Regionale per le malattie rare dell’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine e abbiamo un solido progetto di ricerca su cui puntare per i prossimi anni”.  

Per saperne di più su cosa è la terapia genica, la sua storia, i suoi successi e fallimenti, potete ascoltare la seconda puntata del podcast “Reshape - un viaggio nella medicina del futuro” e sfogliare la storia illustrata.

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