Sono due le bambine trattate per la prima volta per questa rara patologia. I risultati ottenuti a circa due anni dalla somministrazione sono incoraggianti e sono stati pubblicati su Nature Medicine
Jessica e Nicole - due nomi di fantasia per questioni di privacy - sono due bambine affette dalla sindrome di Tay-Sachs, una malattia neurodegenerativa che insorge quando all’organismo manca un enzima necessario a metabolizzare i gangliosidi (glicolipidi presenti nelle cellule neuronali). Jessica ha iniziato a mostrare i primi sintomi della malattia intorno ai 5-6 mesi e Nicole ha ricevuto la diagnosi giacché a due suoi fratelli più grandi era stata precedentemente diagnosticata questa rara patologia che non ha ancora una cura specifica. La loro storia non sarà dimenticata perché sono le prime due pazienti a cui è stata somministrata una terapia genica appositamente sviluppata per contrastare la sindrome di Tay-Sachs. I risultati ottenuti sono stati pubblicati lo scorso febbraio sulla prestigiosa rivista Nature Medicine.
Scorrendo i libri di medicina dedicati a questa rara patologia si può notare come essa abbia inizio con un leggero ritardo motorio riscontrabile intorno ai 3-5 mesi di vita del bambino. Pochi mesi più tardi iniziano a vedersi sintomi più caratteristici fra cui la difficoltà nell’alimentazione, la stanchezza, la riduzione del tono muscolare e i deficit visivi. Uno dei tratti tipici della sindrome di Tay-Sachs è proprio la comparsa di una macchia color rosso-ciliegia a livello della macula che conduce a una progressiva perdita della visione entro il primo anno di vita. Man mano che la malattia procede si presentano anche crisi convulsive e si instaura un quadro clinico di peggioramento progressivo che porta alla paralisi. Si tratta di una malattia devastante con una forma ancora più grave - la malattia di Sandhoff - che colpisce il sistema nervoso e gli organi viscerali. Entrambe sono dovute alla carenza dell’enzima esosaminidasi (Hex A, A esosaminidasi, nel caso della malattia di Tay-Sachs e Hex B, cioè la subunità beta del medesimo enzima, nel caso della malattia di Sandhoff) che provoca l’accumulo di gangliosidi GM2 a livello del sistema nervoso centrale. Per entrambe non esiste(va) una trattamento specifico. Almeno sino al momento in cui la terapia genica ha fatto il suo ingresso in scena.
La storia di Antonio, il bambino affetto da atrofia muscolare spinale (SMA) che a Bari aveva ricevuto una somministrazione della terapia genica per la sua malattia, conferma gli avanzamenti consentiti da questa innovativa forma di trattamento nel campo delle patologie neurodegenerative. Tuttavia, nel caso della sindrome di Tay-Sachs la principale difficoltà risiede nel fatto che, per il ripristino dell’enzima Hex A, occorre superare la barriera ematoencefalica e far in modo che la molecola terapeutica raggiunga il cervello. Pertanto, nel loro studio - il primo in cui questo tipo di terapia viene usata su pazienti con sindrome di Tay-Sachs - i ricercatori statunitensi hanno fatto impiego di una combinazione di vettori virali adenoassociati (AAVrh8-HEXA e AAVrh8-HEXB) per favorire la consegna del gene terapeutico sia a livello del talamo che nel liquido cerebrospinale. Un sistema che aveva già prodotto risultati positivi nei modelli animali in cui era stato testato.
Jessica ha ricevuto la terapia genica all’età di circa due anni e mezzo quando i sintomi della malattia erano in fase avanzata - in modo particolare le crisi convulsive. Come si può leggere nell’articolo, nei primi mesi successivi all’infusione non c’è stato un significativo cambiamento nell’andamento degli elettroencefalogrammi, nelle risposte uditive del tronco cerebrale e nei risultati dell’esame della retina. A nove mesi dalla somministrazione della terapia Jessica ha sviluppato una seria polmonite virale - evento non collegato al trattamento - che ha reso difficile proseguire i controlli presso il centro clinico. Ma i medici hanno attivato un programma di controlli a distanza che si è rivelato utile anche per il monitoraggio delle condizioni della bambina durante il lock-down imposto dalla pandemia da COVID-19. Ad oggi, Jessica ha 5 anni, non presenta più convulsioni e non ha pertanto bisogno della terapia anticonvulsivante, il suo tono corporeo appare addirittura migliorato, riesce a mettere a fuoco con gli occhi e la polmonite è stata ampiamente superata.
Nicole ha ricevuto il trattamento all’età di sette mesi e al follow-up ha iniziato a mostrare un miglioramento dello sviluppo cerebrale. Anche nel suo caso lo stop causato dalla pandemia ha inciso sulla disponibilità di dati e i medici hanno fatto ricorso alla telemedicina per monitorare le sue condizioni quando non era nelle condizioni di viaggiare. Oggi, la bambina ha due anni e cinque mesi e, come nel caso di Jessica, ha superato le convulsioni, anche se gli ultimi rapporti medici indicano un peggioramento dello sviluppo neuronale.
Quanto descritto rappresenta il primo traguardo dopo 14 anni di ricerca e sviluppo clinico per la malattia di Tay-Sachs, dal momento che in precedenza non erano mai stato eseguite sperimentazioni sull’uomo. I ricercatori hanno tenuto sotto stretto controllo le condizioni di Jessica e Nicole osservando un lieve aumento dell’attività di Hex A nel liquido cerebrospinale e confermando il buon grado di sicurezza del loro farmaco sperimentale. Inoltre, l’età a cui Nicole ha ricevuto l’iniezione nel parenchima del cervello e la buona riuscita del procedimento hanno dato prova della fattibilità di questo tipo di intervento anche in un bambino piccolo. Serviranno ulteriori studi e un numero più ampio di pazienti per confermare l’efficacia e la sicurezza della terapia ma l’assenza di eventi avversi gravi legati al vettore e di una risposta immunitaria profonda appaiono molto incoraggianti. I ricercatori e clinici dovranno ora identificare la giusta dose di trattamento in un numero ben più ampio di individui pertanto sarà necessario attendere ancora qualche anno prima di capire le vere potenzialità di questa innovativa terapia, ma la strada imboccata sembra promettere bene.
La storia di questa terapia genica si arricchisce di un importante particolare: i finanziamenti necessari allo sviluppo del farmaco candidato alla sperimentazione provengono in buona parte dal contributo delle famiglie di una delle due bambine arruolate. Una storia che, in una certa misura, ricorda quella di John Crowley, protagonista dell’incredibile corsa che ha portato alla messa a punto di una terapia per la malattia di Pompe, una malattia da accumulo lisosmiale con una sintomatologia simile alla Tay-Sachs, grazie a cui Crowley ha potuto salvare la vita delle sue figlie.