Raffaella Di Micco

La ricercatrice del SR-Tiget di Milano studierà come le cellule staminali del sangue reagiscono alla manipolazione genetica, con l’obiettivo di rendere queste terapie sempre più sicure ed efficaci

Fresca del Robertson Stem Cell Investigator Award – premio dalla New York Stem Cell Foundation da 1,5 milioni di dollari dedicato agli scienziati considerati “innovatori” – Raffaella Di Micco, group leader dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) si è aggiudicata anche uno dei prestigiosi finanziamenti ERC “Consolidator Grant”. I finanziamenti sono stati assegnati lo scorso 9 dicembre dal Consiglio Europeo della Ricerca: 327 Grant per un valore complessivo di 655 milioni di euro. Grazie a questo finanziamento, la dott.ssa Di Micco studierà come l’invecchiamento precoce potrebbe contribuire a diminuire la funzionalità delle cellule staminali ingegnerizzate per sviluppare strategie che rendano la terapia genica più efficacia e sicura a lungo termine.

ANCHE LE CELLULE STAMINALI INVECCHIANO

Le cellule che compongono la maggior parte dei nostri tessuti invecchiano, muoiono e vengono sostituite più volte nel corso della nostra vita. Le nuove cellule, che prendono il posto di quelle vecchie, arrivano dalle cellule staminali, ma negli anni i ricercatori hanno scoperto che anche queste ultime possono attivare un programma di senescenza cellulare, ovvero di invecchiamento precoce. Raffaella Di Micco ha dedicato la sua carriera a studiare il processo di invecchiamento nelle cellule staminali, capire quali sono i fenomeni che ne accelerano l’orologio biologico e come si può rallentarne le lancette. Ricerca iniziata a New York e che, una volta rientrata in Italia, ha concentrato sui processi di invecchiamento cellulare che possono essere innescati dalla manipolazione genetica. Come nel caso della terapia genica ex vivo con cellule ematopoietiche (le cellule staminali del sangue), strategia terapeutica per cui l’SR-Tiget è un’eccellenza a livello mondiale. L’obiettivo finale è dunque di poter migliorare gli approcci di terapia genica che approdano in clinica.

MIGLIORARE EFFICACIA E SICUREZZA DELLA TERAPIA GENICA

“Dal 2016 io e miei collaboratori ci poniamo una domanda fondamentale – spiega Di Micco – cosa succede alle cellule staminali del sangue quando vengono ingegnerizzate durante un trattamento di terapia genica? L’ipotesi è che questo processo, oltre a correggere il danno genetico per cui è stato concepito, metta inavvertitamente in moto altri meccanismi cellulari”. Le cellule sottoposte ai protocolli di terapia genica, infatti, subiscono una serie di condizioni anomale e stressanti: vengono coltivate in vitro, trattate con alte dosi di vettori virali e, nel caso dell’editing genomico, modificate attraverso tagli nel DNA. Proprio la manipolazione del DNA della cellula, secondo i primi risultati ottenuti dai ricercatori del gruppo di Micco, può mettere in allerta la cellula e spingerla ad attivare dei programmi che ne potrebbero accelerare l’invecchiamento, anche se fatta con grande precisione e senza arrecare alcun danno.

LA RISPOSTA AL DANNO DEL DNA

Le cellule modificate infatti temendo di essere state danneggiate nel DNA, accendono la risposta al danno del DNA (DDR), un segnale di allarme che se prolungato riduce il loro potenziale replicativo, emulando ciò che succede normalmente alle cellule staminali quando l’organismo invecchia. Questo invecchiamento precoce, oltre a ridurre l’efficacia della terapia genica – perché le cellule corrette faticano a ripopolare al meglio il midollo osseo una volta trapiantate – potrebbe dare problemi con l’avanzare dell’età. “Se vogliamo ridurre al minimo i possibili effetti collaterali a lungo termine della terapia genica e al tempo stesso rendere la terapia disponibile per un numero sempre maggiore di patologie, è fondamentale studiare i programmi di invecchiamento cellulare e sviluppare strategie per prevenirne l’attivazione”, conclude la ricercatrice. “Esattamente quello che faremo grazie al nostro finanziamento ERC”.

Raffaella Di Micco è uno dei 47 ricercatori italiani che quest’anno hanno ricevuto il finanziamento dall’ERC. Con questo numero, l’Italia è la nazionalità più rappresentata, a dimostrazione dell’eccellenza degli scienziati italiani, ma d’altro canto sono solo in 17 ad aver ricevuto il finanziamento lavorando in un istituto di ricerca italiano (i restanti 30 lavorano all’estero) e addirittura solo 4 nell’area delle scienze della vita. Dati che fanno riflettere, ancora una volta, su quanto sia importante finanziare la ricerca “made in Italy”.

 

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