Alzheimer

Ricercatori statunitensi hanno testato un nuovo sistema di base editing per modificare, in cellule staminali umane, alcuni geni implicati nella genesi della patologia

Prima di cominciare a leggere questo articolo è opportuno fare una precisazione: l’applicazione di tecniche editing del genoma per curare la malattia di Alzheimer è ancora lontana da essere una realtà ma è uno degli obiettivi che si sono poste le comunità di ricercatori, medici e pazienti. Dovrà passare ancora del tempo prima di riuscire a capire se gli strumenti di correzione del DNA come CRISPR sapranno fornire un aiuto prezioso in chiave terapeutica. Tuttavia, lo studio degli scienziati dell’Arizona State University pubblicato a febbraio sulla rivista Stem Cell Reports sembra offrire un punto di vista pionieristico su come l’evoluzione di tali strumenti possa dare un contributo alla ricerca contro questa terribile malattia neuro-degenerativa.

IL METODO TREE

Gli attuali approcci di modifica del genoma nelle cellule staminali pluripotenti umane si basano sulla rottura della doppia elica a cui fa seguito l’escissione di un frammento contenente la mutazione o l’inserzione di una sequenza corretta. con sistemi come Crispr-Cas9 è insito il potenziale di fare entrambe queste operazioni ma non senza il rischio di effettuare tagli in siti non desiderati (i cosiddetti effetti off-target) generando mutazioni nuove che potrebbero provocare anche tumori. Per questo molti ricercatori nel mondo come David Brafman, bioingegnere cellulare dell’Arizona State University, stanno lavorando sull’evoluzione del sistema di editing denominato base editing, tecnica che senza effettuare tagli è in grado di correggere in maniera molto precisa un singolo accoppiamento di basi errato. Un vero e proprio correttore. In particolare, Brafman e il suo team di ricerca stanno valutando la possibilità di usare il base editing per curare malattie neuro-degenerative come il morbo di Alzheimer, usando le cellule staminali come modello su cui indagare l’effetto di mutazioni specifiche o di fattori di rischio associati alla malattia. Per fare ciò, tuttavia, servono strumenti altamente funzionali e CRISPR non sempre si è rivelato all’altezza, costringendo quindi i ricercatori a pensare ed elaborare un sistema nuovo per la fase di modificazione genetica.

Ad agosto dello scorso anno sulla rivista Nucleic Acids Research Brafman aveva pubblicato un articolo nel quale descriveva l’approccio battezzato TREE: un metodo che consente l’arricchimento delle popolazioni cellulari il cui DNA è stato modificato tramite il base editing e, per la prima volta, mostra un tasso di efficienza intorno al 90% nella modifica delle linee di cellule staminali umane. In precedenza Brafman e i suoi colleghi avevano osservato che l’efficienza con cui uno strumento di base editing agisce a livello cellulare non è sempre la stessa. Quindi, se si utilizza una popolazione di cellule in cui le modifiche apportate non sono state ugualmente ed altamente espresse anche la resa dell’esperimento nel quale saranno impiegate sarà ovviamente inferiore. Così essi hanno sviluppato il metodo TREE che unisce ad uno strumento di correzione della singola base uno strumento di rilevazione dell’avvenuta modifica. Al sistema di editing è stato abbinato un costrutto formato da una proteina fluorescente blu (Blu Fluorescent Protein) la quale può rapidamente virare al verde (Green Fluorescent Protein) e lo fa proprio quando lo strumento di correzione modifica anche una sola singola base. Mentre CRISPR agisce su entrambe le basi che formano gli accoppiamenti della doppia elica, TREE opera su un singolo filamento e, una volta che ha terminato il suo lavoro, le cellule in cui la modifica è stata correttamente apportata sono facilmente identificabili perché emettono una fluorescenza verde anziché blu. Isolando quelle cellule si è quindi in grado di ottenere popolazioni clonali da espandere indefinitamente.

L’ALZHEIMER COME BERSAGLIO

I ricercatori hanno potuto osservare che il loro costrutto - rinominato BIG-TREE perché volto alla generazione di una linea di cellule staminali pluripotenti indotte isogeniche, cioè tutte con lo stesso genotipo - era particolarmente sensibile a livello di loci genomici e lo hanno testato proprio sul gene APOE, coinvolto nella genesi dell’Alzheimer. In particolare, APOE4 è una variante di questo gene associata ad un maggior rischio di sviluppo della forma ad esordio tardivo della malattia.

“Queste cellule sono rappresentative di quelle che formano i neuroni e i vari tipi di cellule nel sistema nervoso centrale in pazienti con questi vari fattori di rischio”, afferma Brafman. “Quindi, possiamo capire perché una variante APOE può aumentare o diminuire il rischio e, di conseguenza, possiamo prendere di mira i percorsi che ne sono interessati”. Nonostante ad oggi non esista ancora nessuna terapia in grado di combattere questa terribile malattia che cancella i ricordi e la personalità, diversi team di ricerca stanno cercando di mettere a punto test in grado di predirne con un certo anticipo l’insorgenza. Il sistema ideato da Barfamn ha dimostrato di poter apportare modifiche specifiche in entrambe le copie del gene APOE4 e, rispetto a CRISPR, ha il vantaggio di poterle produrre in un unico step. Praticamente ciò ha reso possibile progettare mutazioni che causano lo “spegnimento” del gene, un’operazione basilare per comprendere il suo potenziale ruolo nella genesi della malattia. Inoltre, grazie a BIG-TREE è stato possibile creare nuove linee cellulari modificate in più siti con un’unica operazione di editing.

Tutto ciò mette Barfman e il suo gruppo di ricerca nella posizione di disporre di un inestimabile strumento di studio di una malattia complessa come l’Alzheimer che, a differenza di patologie come l’anemia falciforme o della fibrosi cistica, non è causata da mutazioni in un singolo gene. L’origine dell’Alzheimer rimane legata a mutazioni in più siti e potrà essere compresa solo con un approccio combinatoriale e multifattoriale, quale è quello consentito dagli ultimi progressi delle biotecnologie.

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