Uno studio, recentemente pubblicato su Nature dal team di ricerca dell’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano, ha rivelato nuovi dettagli sulla sicurezza e sull’efficacia a lungo termine della terapia genica con cellule staminali ematopoietiche modificate tramite vettori lentivirali (LV). Si tratta dello studio più completo mai condotto su questa tecnica, che promette di trasformare il trattamento di malattie genetiche rare. L’analisi ha preso in considerazione 53 pazienti sottoposti a terapia genica per tre diverse patologie: la leucodistrofia metacromatica (MLD), la sindrome di Wiskott-Aldrich (WAS) e la beta-talassemia, con un follow-up fino a 8 anni. Ne abbiamo parlato con il dott. Eugenio Montini, group leader in SR-Tiget che ha diretto lo studio.
Il reclutamento dei pazienti rappresenta una delle sfide più critiche nella gestione degli studi clinici e spesso è caratterizzato da processi lunghi, complessi e soggetti a errori umani, soprattutto quando la malattia è rara. Tuttavia, uno studio pubblicato a novembre su Nature Communications presenta un approccio innovativo che promette di trasformare radicalmente questo panorama. Si chiama TrialGPT ed è un algoritmo di intelligenza artificiale sviluppato dal National Institutes of Health (NIH) che mira a semplificare e migliorare la corrispondenza tra pazienti e trial clinici registrati su ClinicalTrials.gov, rendendo il processo più efficiente, accurato e accessibile. Un’altra possibile applicazione dell’intelligenza artificiale in medicina.
Se trenta anni fa aveste chiesto agli scienziati di scommettere sui più promettenti campi di studio da cui ottenere soluzioni valide nella lotta al cancro, molti avrebbero puntato sulla possibilità di bloccare la replicazione cellulare, altri sui sistemi che impediscono alle cellule di entrare in apoptosi. Quasi nessuno avrebbe creduto nelle possibilità del sistema immunitario di combattere le cellule cancerose. Oggi, invece, l’immunoterapia è una collaudata pratica clinica alla cui radice c’è la comprensione della sofisticata capacità di riconoscimento delle cellule tumorali. Ed è grazie ai più innovativi strumenti di editing del genoma che ricercatrici come Romina Marone e Jessica Zuin, del Dipartimento di Biomedicina dell’Università e dell’Ospedale di Basilea (Svizzera), stanno lavorando per mettere a punto nuovi approcci per rendere ancora più mirato il riconoscimento cellulare con l’obiettivo di permettere di rinnovare il sistema ematopoietico di una persona malata di leucemia, distruggendo le cellule malate ma risparmiando quelle sane. La strategia è stata descritta in un articolo pubblicato sulla rivista Nature.
La premessa è doverosa: i giudizi etici sono influenzati da cultura di appartenenza, religione, esperienze di vita, valori personali e altro ancora. Non può esistere, dunque, un solo modo di tracciare il confine tra giusto e sbagliato, né di soppesare i pro e i contro di una tecnica versatile come l’editing genomico. Di conseguenza il nuovo contributo pubblicato online nella sezione CRISPRpedia, curato dalla bioeticista di Berkeley Jodi Halpern insieme alla divulgatrice Hope Henderson, non vuole essere un decalogo di imperativi morali. Rappresenta piuttosto una rassegna ragionata dei punti critici più dibattuti e costituisce una bussola utile per insegnanti e studenti, medici e pazienti, e in generale per tutte le persone curiose.
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