Il silenziamento genico di SOD1 ha impedito l'insorgenza della SLA in topi presintomatici e ne ha bloccato la progressione in quelli che avevano già sviluppato i primi sintomi
Se il nostro DNA è un enorme “libretto delle istruzioni” per le cellule, che in ogni momento devono attingere da queste informazioni per svolgere le proprie funzioni, basterebbe saltare “un’istruzione” sbagliata per evitare l’insorgere di una malattia causata da un difetto genico. È quello che ha provato a fare un gruppo di ricerca internazionale, guidato da Martin Marsala dell’University of California San Diego School of Medicine, che ha utilizzato una corta molecola di RNA, per silenziare il gene disfunzionale SOD1, causa di una forma genetica di sclerosi laterale amiotrofica (SLA). I test – condotti per ora solo su modelli animali – hanno portato alla prevenzione e al blocco (a seconda dello stadio della malattia) della degenerazione dei neuroni motori.
Le due forme di SLA
Oggi i ricercatori sono a conoscenza di due tipi differenti di SLA: la familiare, che è dovuta a mutazioni genetiche e viene ereditata, e la sporadica, forma più comune che può interessare chiunque. La prima copre il 5-10% di tutti i casi, di cui il 12% è causato da oltre 200 mutazioni del gene della proteina superossido dismutasi 1 (SOD1), il primo scoperto come responsabile della SLA e implicato normalmente nei meccanismi di difesa contro gli agenti ossidanti. Le sue mutazioni sono legate allo sviluppo della malattia in quanto portano a un accumulo dell’enzima, che diventa tossico per i motoneuroni (le cellule responsabili dell’azione dei muscoli) che in seguito degenerano e muoiono. La forma sporadica invece, riguarda il 90-95% dei casi.
Lo shRNA
Il nuovo approccio sviluppato dai ricercatori guidati dal team dell’Università di San Diego, consiste nel somministrare molecole artificiali di RNA (short hairpin RNA - shRNA) in grado di silenziare o spegnere il gene SOD1, che in questo modo non produrrà la proteina tossica. Il principio è ridurre l'espressione mutata di SOD1 al di sotto di un livello tossico, mantenendo allo stesso tempo un livello fisiologico di SOD1 “normale”. L’iniezione, una tantum, di un virus adeno-associato (AAV9) contenente l’shRNA è avvenuta direttamente nel midollo spinale – a livello cervicale e lombare – di topi adulti che esprimevano una mutazione del gene SOD1. Grazie al vettore virale, la molecola è stata poi veicolata fino alle cellule nervose nel cervello e nel midollo spinale.
I risultati preclinici
La terapia sperimentale in vivo (cioè somministrata direttamente nell’organismo vivente), ha impedito l'insorgenza della SLA nei topi presintomatici favorendo la conservazione quasi completa dei motoneuroni spinali α (quelli più grossi) e l'innervazione muscolare. Mentre nei roditori che avevano già sviluppato i primi sintomi ha bloccato la progressione della malattia e l’ulteriore degenerazione dei motoneuroni spinali α. Gli animali sottoposti alla tecnica di silenziamento genico hanno vissuto senza effetti collaterali negativi per la durata dello studio. La ricerca è stata pubblicata su Nature Medicine.
L’iniezione subpiale
In realtà al momento sono diverse le strategie in fase di sperimentazione preclinica e clinica volte a ridurre la sintesi della proteina SOD1 mutata, attraverso micro-RNA, shRNA e oligonucleotidi antisenso (ASO). Sebbene si osservi una buona penetrabilità nel sistema nervoso centrale e nel midollo spinale dopo somministrazione intratecale o intraventricolare di ASO, lo stesso non si può dire per i vettori virali. La penetrazione parziale nel sistema nervoso centrale dopo somministrazione sistemica o intratecale o intraventricolare è ancora una limitazione dell’efficacia e della sicurezza di questo approccio. La vera novità del lavoro condotto dall’UC San Diego, è dunque l’aver utilizzato una tecnica di iniezione differente, detta “subpiale”, in grado oltrepassare la pia madre, la membrana meningea più interna che avvolge e protegge il cervello e il midollo spinale. Una volta superata questa barriera, il vettore virale riesce a raggiungere in modo uniforme tutte le cellule nervose, con risultati migliori rispetto a quando viene iniettato in vena o nel fluido cerebrospinale.
Non solo SLA
Secondo Martin Marsala, docente del Dipartimento di anestesiologia presso la UC San Diego School of Medicine, si tratta “dell’approccio terapeutico che offre la terapia più potente mai dimostrata in un modello murino di SLA legata a mutazione del gene SOD1”. Inoltre, come riferisce ancora Marsala, “i dati positivi sulla distribuzione del vettore AAV9 nel midollo spinale negli animali adulti, suggeriscono che questo nuovo metodo di somministrazione potrebbe essere efficace anche per il trattamento di altre patologie che utilizzano vettori virali per trasportare geni terapeutici o molecole di silenziamento genico oltre il parenchima spinale. Come differenti forme ereditarie di SLA (per esempio quella legata alla mutazione del gene C9ORF72) o alcune forme di malattia da accumulo lisosomiale”.
Altri modelli animali
L’approccio di silenziamento genico somministrato per via subpiale è stato testato anche in suini adulti, le cui dimensioni del midollo spinale sono simili agli umani, per verificarne sicurezza ed efficacia. I ricercatori in questo caso hanno utilizzato un dispositivo di iniezione sviluppato per l'uso nell'uomo e hanno dimostrato che la procedura poteva essere eseguita in modo affidabile e senza complicazioni chirurgiche. In definitiva gli autori del lavoro hanno concluso che “una singola iniezione subpiale di AAV9 in suini adulti o primati non umani, con un dispositivo di nuova concezione, produce un rilascio omogeneo attraverso la materia bianca e grigia del midollo spinale cervicale e i centri motori cerebrali. Pertanto l’approccio è altamente efficace per la terapia genica mediata da vettori adeno-associati che hanno come target il midollo spinale e i centri motori sovraspinali”.
Prossimi passi
Nei progetti futuri di Marsala sono in programma ulteriori studi sulla sicurezza su un modello animale di grandi dimensioni, per determinare il dosaggio ottimale e sicuro del vettore di trattamento. “Sebbene dopo più di un anno dal trattamento non siano stati osservati nei topi effetti collaterali rilevabili e correlati al trattamento”, spiega Marsala. “È fondamentale verificare la sicurezza di questo approccio terapeutico anche in grandi specie animali, più simili agli esseri umani, per poter procedere con gli studi clinici”.