malattia di Parkinson

Lo studio clinico di Fase I ha dimostrato la sicurezza, tollerabilità e un iniziale miglioramento dei sintomi in 12 pazienti. È ora in corso la pianificazione dello studio di Fase II

Negli ultimi decenni lo standard di cura per i malati di Parkinson è migliorato solo marginalmente. Per questo motivo, sebbene si tratti di un piccolo trial condotto su appena 12 persone, i primi risultati ottenuti con bemdaneprocel - la terapia cellulare sviluppata da BlueRock Therapeutics, filiale statunitense di Bayer - rappresentano un enorme passo avanti e un probabile punto di svolta. Bemdaneprocel è stata testata in uno studio clinico di fase I, condotto in aperto, i cui risultati sono stati presentati al Congresso internazionale sulla malattia di Parkinson e sui disturbi del movimento che si è tenuto a Copenaghen a fine agosto.

LA PATOLOGIA

La malattia di Parkinson è un disturbo neurodegenerativo progressivo causato dalla morte dei neuroni dopaminergici con conseguente riduzione dei livelli di dopamina. Al momento della diagnosi, si stima che i pazienti abbiano già perso il 50-80% di queste cellule nervose. I sintomi più evidenti sono legati al progressivo deterioramento della funzione motoria e includono: tremori a riposo, rigidità muscolare, lentezza nei movimenti (bradicinesia) e instabilità nell'equilibrio. Secondo l’Osservatorio Nazionale Parkinson, oggi si contano circa 230.000 malati solo in Italia e dieci milioni in tutto il mondo.

Nonostante questi numeri siano in costante crescita attualmente non esiste una cura risolutiva e l’efficacia dei trattamenti tende a diminuire nel tempo. Questo rende quanto mai necessaria la ricerca e la sperimentazione di nuove terapie.

LA TERAPIA CELLULARE

La terapia bemdaneprocel (BRT-DA01) ha come obiettivo quello di ripopolare il cervello dei pazienti con neuroni sani, derivati da cellule staminali pluripotenti, ripristinando la funzione motoria e alleviando i sintomi. Per farlo prevede il trapianto chirurgico - all’interno del putamen (una delle aree cerebrali più colpite dal Parkinson) - di precursori dei neuroni dopaminergici, derivati appunto dalle staminali, in grado di attecchire e produrre nuova dopamina.

LO STUDIO CLINICO

Il trial di Fase I, che ha coinvolto tre centri clinici tra Stati Uniti e Canada, è stato condotto in aperto su 12 pazienti di età compresa tra i 50 e i 78 anni. Secondo quanto riportato dall’azienda in un comunicato stampa, bemdaneprocel è stato ben tollerato da tutti i partecipanti allo studio e non sono stati segnalati effetti avversi gravi correlati al trattamento (SAE – serious adverse event).

L'obiettivo primario della sperimentazione era quello di valutare la sicurezza e la tollerabilità del trapianto di cellule DA01 a un anno di distanza, ed è stato pienamente raggiunto. Non solo: gli endpoint clinici esplorativi hanno misurato un complessivo miglioramento dei sintomi in tutti i pazienti, direttamente proporzionale al dosaggio ricevuto. I pazienti appartenenti al gruppo a cui è stata somministrata una quantità maggiore di bemdaneprocel (2,7 milioni di cellule) hanno, quindi, riscontrato benefici più significativi rispetto ai pazienti appartenenti alla coorte a dosaggio minore (0,9 milioni di cellule).

Il miglioramento della funzione motoria è stato misurato utilizzando la scala MDS-Unified Parkinson’s Disease Rating Scale Part III (MDS-UPDRS Part III) e il Diario Hauser: strumento di valutazione, a uso del paziente, utile alla quantificazione del tempo trascorso in stato ‘on’ (quando i sintomi sono ben controllati) o in stato ‘off’ (quando si avverte un peggioramento delle manifestazioni cliniche con aumento delle discinesie). A un anno dal trapianto, i partecipanti del gruppo ad alto dosaggio hanno mostrato un incremento di 2,16 ore del tempo trascorso nello stato ‘on’ e una corrispondente diminuzione di 1,91 ore nello stato ‘off’.  Anche i partecipanti a cui è stata somministrata una dose minore di bemdaneprocel hanno riscontrato dei benefici, seppur di minore entità: un aumento di 0,72 ore nello stato ‘on’ e una riduzione di 0,75 ore nello stato ‘off’. 

Questi risultati, sebbene estremamente incoraggianti, vanno considerati tenendo conto dell’effetto placebo, fattore particolarmente insidioso per gli studi sulla malattia di Parkinson. Sentirsi eccitati e pieni di speranza (come nel caso dei partecipanti a un trial clinico di questo tipo), infatti, potrebbe innescare nei pazienti un naturale rilascio di dopamina, con conseguente apparente miglioramento generale delle condizioni, anche in assenza di un effettivo ripopolamento cellulare. Tuttavia, le scansioni PET con 18F-DOPA – tecnica di neuroimaging utilizzata per valutare l’attività dopaminergica residua – hanno quasi completamente scongiurato il rischio di bias-placebo, evidenziando la presenza di un significativo attecchimento cellulare in entrambi i gruppi, ad alto e basso dosaggio. 

UN PRIMO PASSO AVANTI

I risultati di questo studio in aperto di Fase I sono estremamente incoraggianti”, ha affermato Claire Henchcliffe, presidente del Dipartimento di Neurologia della Scuola di Medicina dell'UCI presso l'Università della California - Irvine e principal investigator del trial. “Sebbene si tratti di un piccolo studio, rappresenta comunque un grande passo avanti. La speranza ora è che le ricerche in questo settore continuino e che si traducano in benefici significativi per le persone che convivono con la malattia di Parkinson e con altri disturbi del movimento”.

Sulla base di questi risultati, è ora in corso la pianificazione dello studio di Fase II che dovrebbe iniziare ad arruolare pazienti nel primo semestre del 2024. Nel corso di questa nuova sperimentazione, con gli studi in doppio cieco, sarà possibile confermare l’efficacia del trattamento ed eliminare completamente il rischio di errore dovuto all’effetto placebo.

Con il contributo incondizionato di

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