Occhio

Una ricerca del National Eye Institute (Stati Uniti) ha permesso l’avvio di un trial clinico per valutare una terapia a base di cellule staminali autologhe. Pochi mesi fa è stato trattato il primo paziente

Un luogo comune della vecchiaia è legato alla perdita della vista ma se è vero che l’acuità visiva, come pure la capacità uditiva, diminuiscono in maniera fisiologica con l’età, bisogna riconoscere che esistono condizioni in cui ciò accade per cause patologiche. È il caso della degenerazione maculare senile (AMD), una delle più comuni malattie della vista, che diventa molto comune specialmente a partire dai sessantacinque anni. Ad oggi non esiste un trattamento specifico per questa malattia ma una ricerca svolta presso i laboratori del National Institutes of Health statunitense (di cui Osservatorio Terapie Avanzate si era occupato tre anni fa) ha messo a punto una terapia cellulare che è ora in valutazione all’interno di uno studio clinico di Fase I/II. Il primo paziente è stato trattato pochi mesi fa.

È della fine di quest’estate la notizia che è stato trattato il primo paziente arruolato nello studio clinico di Fase I/IIa volto a valutare la sicurezza di una terapia cellulare sperimentale per la degenerazione maculare senile. Nello specifico, il paziente è affetto da degenerazione maculare avanzata “secca” correlata all’età (nota anche come atrofia geografica), una patologia che rientra nel gruppo delle atrofie e si distingue in due forme: una denominata “umida”, contraddistinta dalla presenza di emorragie ed essudati e da un improvviso calo dell’acuità visiva, e una “secca” a lenta evoluzione. Il trial clinico avviato negli Stati Uniti, presso il National Institutes of Health (NIH) Clinical Center di Bethesda (Maryland), è rivolto a persone dai 55 anni in su affetti dalla seconda forma di malattia.

Le fondamenta di questa innovazione terapeutica erano state gettate con la pubblicazione nel 2019 sulla rivista Science Translational Medicine di un articolo nel quale è descritta la preparazione di una sorta di “cerotto” formato da uno strato di cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC) da applicare sulla retina malata. Esse possono differenziarsi in cellule dell’epitelio pigmentato retinico e alimentare così i fotorecettori che vengono distrutti nella AMD avviando il deterioramento dell’area centrale (quella della macula) deputata alla visione. I ricercatori guidati da Kapil Bharti, del National Eye Institute (NEI) - centro di riferimento dei NIH per le patologie oculari - hanno testato l’approccio in modelli di ratto e maiale osservando poi come le cellule impiantate siano state in grado di attecchire e integrarsi nella retina degli animali.

La maculopatia senile, in particolare modo la forma “secca” la cui incidenza è di molto superiore alla variante “umida”, rappresenta un importante impatto sociale. Specialmente per una popolazione, come quella italiana, in cui l’età media è sempre più elevata. Sono, infatti, sempre più innovative le soluzioni terapeutiche alle quali i ricercatori stanno puntando. Ad esempio, all’inizio del 2022 è stata diffusa la notizia di un intervento di successo - condotto dal prof. Stanislao Rizzo, direttore della U.O.C. di Oculistica dell’IRCCS Policlinico Universitario Agostino Gemelli di Roma – in cui è stato impiantato un dispositivo protesico visivo avanzato, noto come SING IMT™ (Smaller-Incision New-Generation Implantable Miniature Telescope), in tre pazienti con AMD. Negli Stati Uniti è in corso uno studio clinico che ha l’obiettivo di valutare la sicurezza e l’efficacia di tale innovazione in 125 pazienti dai 65 anni in su.

Tornando alla ricerca del prof. Bharti, questa presenta alcuni aspetti molto interessanti, il primo dei quali è legato alla possibilità di coltivare su una speciale microstruttura biodegradabile le cellule dell’epitelio pigmentato retinico. Infatti, se lasciate in sospensione le cellule non sono in grado di organizzarsi in uno strato e non possono svolgere la loro funzione. Pertanto, i ricercatori hanno elaborato un protocollo che si basa sul prelievo delle cellule staminali dal paziente stesso, così si riducono i rischi di rigetto. Le staminali vengono quindi convertite in iPSC e coltivate su una speciale struttura per farle differenziare in cellule dell’epitelio pigmentato retinico che poi i ricercatori applicheranno nei pressi della lesione provocata dalla malattia. L’obiettivo è di agire sui fotorecettori della zona di transizione, dove le cellule dell’epitelio pigmentato retinico sono già andate incontro al processo atrofico tipico della malattia ma i fotorecettori ancora no. Grazie a un intervento chirurgico di precisione è stato quindi possibile impiantare le cellule e, dopo alcune settimane di osservazione, il monostrato di cellule dell’epitelio pigmentato retinico era già in grado di svolgere la sua funzione.

È su queste basi che la ricerca è andata avanti con la progettazione di uno studio clinico che ha visto, recentemente, l’arruolamento e la somministrazione della terapia nel primo paziente. Come si può leggere dal sito dell’NIH il prof. Amir H. Kashani, del Johns Hopkins-Wilmer Eye Institute di Baltimora, con l’assistenza del dott. Shilpa Kodati, del NEI, ha eseguito il delicato intervento di apposizione del monostrato su un paziente affetto da degenerazione maculare legata all’età. È stato il primo passo nella fase della sperimentazione clinica, passo importante che è il frutto di un percorso decennale di ricerca su una malattia il cui impatto sulla popolazione mondiale si fa sempre più sentire.

Dimostrare la sicurezza di questa terapia cellulare sperimentale è il primo obiettivo, infatti una delle preoccupazioni dei ricercatori è il potenziale oncogenico delle cellule che, nelle condizioni sbagliate, potrebbero andare incontro a una moltiplicazione fuori controllo, portando alla genesi di tumori. Negli studi preclinici le cellule sono state accuratamente controllate senza riscontro di mutazioni potenzialmente legate a crescita tumorale. Di certo, lo standard qualitativo del processo di produzione è stato importante ma questo aspetto continuerà ad essere controllato nel corso di questo e dei futuri studi clinici.

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