L’organoide prodotto ha le stesse proprietà immunologiche, cellulari, biochimiche e anatomiche del paziente da cui è stato eseguito il prelievo

La stampa 3D per qualcuno è divenuta oltre che un simpatico passatempo anche un’opportunità di lavoro – artigiani ed orafi ne fanno uso corrente – e le sue applicazioni in campo medico sono sempre più interessanti. Una combinazione di sofisticati software per la scansione e l’elaborazione grafica, stampanti e materiali di ultima generazione ha portato a protesi più leggere, resistenti e ben tollerate dai pazienti. Ma un cuore stampato in 3D è tutt’altro paio di maniche. Innanzitutto si tratta di un organo con un funzionamento involontario dal significato cruciale, e poi solleva il problema della compatibilità immuno-istochimica con il soggetto ricevente.

Cionondimeno, i ricercatori dell’Università di Tel Aviv non si scoraggiati e, primi al mondo, hanno stampato un cuore in 3D interamente e finemente vascolarizzato: sono stati in grado di mettere a punto un protocollo di produzione di un mini-cuore usando materiale biologico direttamente prelevato da un paziente e hanno pubblicato i risultati di questa eccezionale ricerca sulla rivista Advanced Science. La domanda che ci si potrebbe porre è “perché produrre un mini-cuore”? I progressi della trapiantistica hanno reso sempre più sicura ed efficace questa procedura salvavita, minimizzando anche i fenomeni di rigetto. Dunque, che senso ha questa ricerca?

In primo luogo le malattie cardiovascolari costituiscono uno dei più importanti problemi di salute pubblica e, secondo i dati del Ministero della Salute, hanno indici di prevalenza che crescono con l’età della popolazione. Inoltre, i tassi di mortalità di malattie ischemiche del cuore come infarto acuto del miocardio, sindrome coronarica acuta ed angina pectoris o di altre malattie cerebrovascolari, quali ictus ischemico ed emorragico, risultano purtroppo molto alti. Egualmente, i tassi di ospedalizzazione collegati a queste patologie sono elevati e contribuiscono a farne un problema di sanità pubblico tra i più gravi. Come se ciò non fosse sufficiente, la grave carenza di donatori riduce notevolmente la disponibilità di organi per i trapianti fornendo un deciso impulso alla ricerca di nuove opzioni per rigenerare i cuori malati. O per generarne di nuovi.

“Questa è la prima volta al mondo che qualcuno ha progettato e stampato con successo un intero cuore costituito da cellule, vasi sanguigni, ventricoli e camere” – afferma con orgoglio il prof. Tal Dvir del Sagol Center for Regenerative Biotechnology dell’Università di Tel Aviv, che ha guidato la ricerca – “Questo cuore è costituito da cellule umane e materiali biologici ricavati dal paziente e, all’interno del nostro processo di produzione, questi materiali hanno funto da bioinchiostro, cioè da sostanze composte da zuccheri e proteine ​​utilizzabili per la stampa 3D di modelli di tessuti complessi.” 

Questo punto non è trascurabile se solo si considera che l’industria farmaceutica produce migliaia di prodotti contenenti sostanze chimiche il cui impatto tossicologico deve essere costantemente monitorato dagli enti regolatori nel corso degli studi clinici autorizzativi. L’affermarsi di protocolli di studio in vivo sta rendendo sempre più necessari e stringenti i controlli sulle nuove sostanze chimiche usate, con particolare riferimento alla loro tossicocinetica. Tutto ciò ha contribuito a sottolineare l’utilità degli organoidi e dei più nuovi approcci organ-on-chips, che costituiscono il perfetto connubio tra biologia e ingegneria biomedica e rappresentano dei sistemi integrati, costituiti da minuscole celle nelle quali avviene la coltivazione delle cellule collegate fra loro da microcanali grazie a cui esse vengono irrorate dal terreno di coltura. Gli organ-on-chips sono sistemi miniaturizzati che permettono di ricreare, grazie ad un sapiente uso di cellule staminali, modelli di studio precisi nei quali i mini-organi sono messi in comunicazione tra loro, proprio come avviene all’interno di un organismo. Il tutto alle dimensioni di una chiavetta USB, così da studiare nel dettaglio l’impatto delle nuove formulazioni farmaceutuiche che possano prevedere un – anche minimo – rischio tossicologico.

Ma facciamo un piccolo passo indietro: gli organoidi come il cuore prodotto dai ricercatori israeliani sono la rappresentazione più efficace della necessità di superare le modalità di coltivazione delle cellule su piastra, allo scopo di recuperare la tridimensionalità che è anche la prima caratteristica di ogni organo. In questo caso i ricercatori sono riusciti ad ottenere un modello tridimensionale sfruttando l’aiuto di uno scaffold, cioè di una struttura biodegradabile intorno a cui costruire l’organo. Altri vi erano riusciti prima ma oggi, nei laboratori di Tel Aviv questa fase è stata ulteriormente perfezionata, ottenendo addirittura un organo vascolarizzato a partire da materiali biologici interamente ricavati dal paziente. Infatti, il materiale dello scaffold dovrebbe quanto più possibile possedere le proprietà biochimiche e meccaniche del tessuto che va a replicare. Per tale ragione sarebbe molto utile poter realizzare gli scaffold usando materiale autologo, prodotto dal paziente stesso di cui si vorrebbe produrre l’organo.

La procedura, spiegata nello studio israeliano, ha previsto l’esecuzione di una biopsia di tessuto omentale (un tessuto addominale su cui si accumula lo strato di grasso) dai pazienti. Una parte di questo tessuto è stata usata per ottenere le cellule che sono state riprogrammate in cellule staminali pluripotenti e poi differenziate in cellule endoteliali e cardiomiociti. Un’altra parte è stata decellularizzata e usata per produrre l’hydrogel, una matrice cellulare composta da nanofibre di collagene che è stata usata come bioinchiostro. Infatti, le cellule sono state mescolate con l’hydrogel così da poter creare due diversi tipi di bioinchiostro con cui letteralmente “stampare” delle patch cardiache dotate di una precisa e capillare rete di  vasi sanguigni e fornite delle stesse proprietà immunologiche, cellulari, biochimiche e anatomo-patologiche del donatore. Non solo, i ricercatori isrealiani sono riusciti anche a ricostruire un modello tridimensionale di cuore, ben vascolarizzato. Un traguardo quest’ultimo che nessuno aveva mai tagliato prima. Il ricorso a software di analisi ad alta precisione si è rivelato essenziale per la buona ricostruzione dei vasi al fine di assicurare una corretta e uniforme ossigenazione di tutte le parti del cuore durante la sua coltivazione. I test di funzionalità hanno dato esito positivo e le patch trapiantate in modelli murini hanno mostrato un ottimo grado di adattamento, ad indicare che si può e si deve proseguire su questa strada. Produrre un organo importante come il cuore usando solo materiale provenienti dal paziente è rivoluzionario ma far in modo che possa assumere il comportamento di un cuore potrebbe cambiare la storia dei trapianti.

“In questa fase, il nostro cuore 3D è piccolo, delle dimensioni del cuore di un coniglio” – prosegue Dvir – “Ma i cuori umani più grandi richiedono la stessa tecnologia. La biocompatibilità dei materiali ingegnerizzati è fondamentale per eliminare il rischio di rigetto dell’impianto, che mette a repentaglio il successo di tali trattamenti”. Il cuore così creato è dotato della struttura anatomica, della stabilità meccanica e della robustezza di un organo originale e gli scienziati stanno lavorando perché le cellule – che conservano le loro proprietà fisiologiche – imparino anche a comportarsi come quelle di un vero cuore. Altri studi sono necessari, il cammino è solo all’inizio ma quando un giorno ciò sarà possibile, avremo a disposizione organi efficienti per cui il rischio di rigetto in sede di trapianto sarà azzerato e la necessità di procedure di immunosoppressione svanirà. A questo punto il futuro dei trapianti sarà tutto da riscrivere. O meglio, da stampare.

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