SCGE

Il Consorzio statunitense per l’Editing Genomico delle Cellule Somatiche fa il punto su 45 progetti ideati per sviluppare e diffondere materiali e metodi innovativi per le applicazioni terapeutiche della tecnica CRISPR

Si fa presto a dire editing somatico. Le chance che CRISPR possa essere impiegata con successo in tessuti e organi malati per correggere i difetti genetici dipendono da molti fattori. Dal tipo di modifica che è necessario apportare al gene bersaglio, dalla variante di CRISPR usata per farlo, dagli stratagemmi impiegati per portare il sistema dentro alle cellule, dal fatto che queste ultime possano essere prelevate (ex vivo) o debbano essere trattate direttamente dentro al corpo del paziente (in vivo). Lo scopo del Consorzio per l’Editing Genomico delle Cellule Somatiche (SCGE), creato dai National Institutes of Health statunitensi, è migliorare l’efficienza e la sicurezza di tutti questi passaggi e disseminare le procedure migliori.

CRISPR e le tecnologie connesse ambiscono a diventare una scuderia di nanomacchine che possono essere attentamente calibrate per ogni singola sfida. Gli aspetti di cui tenere conto sono molteplici: efficienza, precisione, programmabilità, versatilità nella scelta dei siti di ancoraggio sul DNA, controllo del tempo di azione, capacità di funzionare anche quando la cellula non è in divisione, specificità per le sedi corporee desiderate, capacità di editare non solo il DNA nucleare ma anche quello dei mitocondri, sicurezza sul piano della tossicità e dell’immunogenicità. Con un interessante articolo pubblicato il 7 aprile su Nature, il Consorzio SCGE ha illustrato le sue linee di ricerca, finanziate con un budget di 190 milioni di dollari sull’arco di sei anni e perseguite da 72 “principal investigator” di 38 istituzioni. Ma per capire le sfide che questo progetto intende affrontare può essere utile partire dall’analisi degli studi clinici in corso pubblicata sul sito dell’Innovative Genomics Institute.

GLI STUDI CLINICI CON CRISPR

Le malattie del sangue sono le più facili da affrontare ex vivo, non c’è da stupirsi dunque che la sperimentazione clinica per l’anemia falciforme e la beta-talassemia sia la più avanzata. La prima paziente trattata nel 2019 continua a stare bene e dopo di lei sono state arruolate un’altra dozzina di persone (tra cui un ragazzo italiano) con risultati preliminari incoraggianti. Il fattore limitante in questo approccio è la chemioterapia, che serve a eliminare le vecchie cellule del midollo per fare posto alle nuove. Se si riuscisse a intervenire in vivo, evitando l’ablazione del midollo, il trattamento avrebbe molti meno effetti collaterali e potrebbe essere somministrato a molte più persone.

Il primo studio clinico effettuato in vivo con CRISPR, dentro al corpo del paziente, riguarda una forma di cecità chiamata amaurosi congenita di Leber. Ma l’editing in vivo comporta dei rischi specifici: se va avanti troppo a lungo aumenta la probabilità che il DNA sia reciso in altri punti oltre a quello desiderato, inoltre l’enzima taglia-DNA e i sistemi di delivery usati per portarlo a destinazione potrebbero provocare delle reazioni immunitarie pericolose per il paziente. L’occhio però è un organo privilegiato: essendo piccolo non necessita di dosi abbondanti né ripetute di trattamento, è poco reattivo dal punto di vista immunitario, ed è abbastanza isolato da rendere improbabile che i componenti del sistema CRISPR raggiungano altri tessuti effettuando correzioni indesiderate. Se i risultati dovessero essere positivi si tratterebbe di un grande passo in avanti, anche perché sarebbe la prima volta che un gene difettoso viene corretto anziché essere disattivato come nella sperimentazione per l’anemia falciforme o lasciato intatto e affiancato da una copia funzionante come nella terapia genica classica.

Un altro trattamento in vivo, ma comunque somministrato in una sede corporea localizzata (nella vescica, tramite catetere), è quello per le infezioni croniche del tratto urinario. Questa sperimentazione ha due particolarità. Numero uno: è il primo trattamento a base di CRISPR pensato per un’infezione anziché per una malattia genetica (usa dei virus per attaccare i batteri Escherichia coli). Numero due: al posto del classico enzima Cas9 che opera tagli mirati, impiega la Cas3 per fare letteralmente a brandelli il DNA del batterio patogeno.

L’unico trattamento somministrato finora per via sistemica in vivo, con iniezione endovena, è quello per una malattia rara fatale chiamata amiloidosi ereditaria da transtiretina. Chi ne soffre presenta una lettera sbagliata nel gene TTR, che causa un ripiegamento patologico della proteina codificata, provocando la formazione di fibrille amiloidi nel sistema nervoso e nel cuore. Lo scopo è inattivare il gene difettoso, con il classico enzima Cas9. Ma la sperimentazione è la prima a usare delle nanoparticelle lipidiche, anziché dei vettori virali, per trasportare il sistema di editing. Il rischio che CRISPR agisca fuori bersaglio è mitigato dalla naturale tendenza delle nanoparticelle lipidiche ad accumularsi nel fegato, che è l’organo dove le proteine patologiche sono prodotte.

CRISPR è già in via di sperimentazione anche in campo oncologico, per lo più per i tumori del sangue, e punta a potenziare le naturali difese immunitarie. Nelle due sperimentazioni eseguite finora ha dimostrato un buon profilo di sicurezza ma la percentuale dei linfociti T editati si è rivelata bassa, probabilmente perché è stata usata una vecchia variante di CRISPR, con efficienza ridotta.

LE SFIDE FUTURE E GLI OBIETTIVI DEL CONSORZIO SCGE

Questa carrellata di situazioni rende bene l’idea degli ostacoli che i ricercatori devono superare per far sì che l’editing diventi una terapia applicabile ad ampio raggio. Innanzitutto occorre portare avanti la ricerca sui metodi di delivery, perché questo al momento è il collo di bottiglia principale per l’editing somatico. Servono più sistemi, capaci di raggiungere tessuti differenti in modo sicuro. È necessario, inoltre, mettere a punto test più sensibili per individuare le modifiche indesiderate nei pressi del sito di taglio prescelto o lontano da esso (on e off target), sviluppare migliori capacità predittive e seguire il destino delle cellule dopo averle editate. Bisogna disporre di protocolli standardizzati per i test su animali piccoli e grandi, ma anche su tessuti e organoidi composti da cellule umane. Ed è opportuno continuare a perfezionare le doti di CRISPR, cercando di arricchire ulteriormente la scuderia con nuovi modelli sviluppati in laboratorio o trovati nei tantissimi microrganismi ancora poco studiati.

Per creare le varianti CRISPR del futuro è possibile procedere provocando mutazioni casuali e selezionandole in round successivi fino a ottenere nuove proprietà utili (metodo dell’evoluzione diretta), oppure progettare a tavolino l’enzima desiderato sulle base delle conoscenze già acquisite (metodo dell’ingegnerizzazione razionale). Oltre alle nucleasi come le proteine della famiglia Cas, vanno esplorate le potenzialità di altri enzimi come le trasposasi. Intanto crescono le aspettative per i modelli costruiti combinando la Cas9 con altri elementi effettori: parliamo del base editing e del prime editing, che correggono le singole basi senza tagliare, ma anche dell’editing epigenetico che interviene sull’espressione dei geni anziché sulla loro sequenza (vale la pena notare che il prime editing è stato sviluppato anche grazie al programma SCGE).

La strada da fare è ancora lunga, ma la buona notizia è che è in corso uno sforzo coordinato per accelerare i progressi. I 45 progetti distinti ma integrati avviati dal Consorzio americano faranno confluire tutti i risultati nello SCGE Toolkit: una cassetta degli attrezzi ma anche un pacchetto di conoscenze da condividere, con metriche e standard comuni per poter confrontare le diverse opzioni, con tanto di enzimi per l’editing evoluti e accessoriati, reagenti, sistemi di delivery, protocolli, test, modelli animali e sistemi biologici umani a disposizione dell’intera comunità scientifica.

Con il contributo incondizionato di

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