Mitocondrio

Una recente ricerca dell’Università di Cambridge mostra come sia possibile ‘correggere’ in vivo gli errori del DNA mitocondriale grazie ad un sistema di base editing 

Nonostante il DNA mitocondriale (mtDNA) costituisca solo lo 0,1% del genoma umano complessivo, le patologia causate da mutazioni in queste sequenze sono tra le malattie ereditarie più comuni e sono spesso associati a disabilità grave e rischi per la vita. Fino a pochi anni fa, malgrado i passi da gigante resi possibili dal sistema di editing genomico CRISPR, la manipolazione del mtDNA rimaneva ancora un miraggio. Un recente studio dell’Università di Cambridge, pubblicato su Nature Communications, dimostra che oggi non solo è possibile modificare con successo il DNA mitocondriale difettoso, ma che questa tecnica - denominata DddA-derived cytosine base editor (DdCBE) - è utilizzabile in vivo. La ricerca preclinica, condotta su modelli animali murini, fornisce informazioni cruciali sulle potenziale di questa strategia terapeutica. 

LE MALATTIE MITOCONDRIALI

Ognuna delle nostre cellule contiene in media da 500 a 2000 piccole ‘fabbriche di energia’: sono i mitocondri, organelli responsabili di soddisfare il fabbisogno energetico del nostro organismo. Queste ‘batterie’, che alimentano le nostre cellule, sono preziose quanto delicate: svolgono un ruolo centrale nella fornitura di energia alla cellula (sotto forma di ATP) e in diversi percorsi metabolici chiave, come la termogenesi, la manipolazione del calcio, la biogenesi del cluster ferro-zolfo e l'apoptosi. I disturbi mitocondriali, chiamati anche errori congeniti del metabolismo o malattie metaboliche, sono causati da mutazioni del mtDNA e portano a una compromissione della produzione di energia mitocondriale e a perturbazioni in altri aspetti dell'omeostasi cellulare. Queste patologie, la cui incidenza è di circa 23 casi ogni 100.000 persone, sono estremamente eterogenee, complesse, gravi e dall’esito infausto. Attualmente non esistono terapie efficaci per questi disturbi e la gestione clinica si concentra sulla limitazione dei danni e sul trattamento delle complicanze. 

Data la funzione dei mitocondri, la malattia si manifesta principalmente in quei distretti dell’organismo in cui è richiesta una più alta produzione di energia, come il sistema nervoso, i muscoli, gli occhi o il fegato. Esempi di malattie mitocondriali sono la neuropatia ottica ereditaria di Leber (LHON), la sindrome di Leigh, la sindrome di Pearson, l’atrofia ottica dominante (DOA-ADOA) e i disturbi da deficit di coenzima Q10

Ciascuna delle nostre cellule contiene circa mille copie di DNA mitocondriale ed è la percentuale di quelle danneggiate o mutate a determinare se soffriremo o meno di una malattia mitocondriale. Le varianti patogene del mtDNA, quasi sempre ereditate dalla madre, possono essere presenti in tutte le copie (omoplasmia) o solo in una porzione di esse (eteroplasmia), con un carico mutante variabile tra cellule, tessuti e organi. Nelle cellule eteroplasmatiche, il carico mutante richiesto per l'espressione clinica della patologia deve superare una soglia critica, che dipende dal contesto genetico e ambientale, ed è collocabile intorno al 60%. Detto in altri termini: più del 60% dei mitocondri di una cellula dev’essere difettoso affinché la malattia emerga e tale percentuale è direttamente proporzionale alla gravità della patologia.

DDDA-DERIVED CYTOSINE BASE EDITOR (DdCBE)

Già nel 2018 il team di ricercatori dell’unità di biologia mitocondriale dell’Università di Cambridge (Regno Unito) aveva messo a punto una tecnica di editing genetico in grado di raggiungere ed eliminare con successo il DNA mitocondriale danneggiato nelle cellule eteroplasmatiche, consentendo ai mitocondri con DNA sano di prendere il loro posto. Si tratta dell’editor di basi di citosina (DdCBE). Questa tecnica, derivata dalla deaminasi del DNA a doppio filamento (DddA), può funzionare solo nelle cellule eteroplasmatiche con abbastanza DNA mitocondriale sano da permettere la sostituzione di quello danneggiato. 

Il meccanismo si basa sulla reazione di deaminazione, avviata della tossina DddA prodotta dal batterio B. cenocepacia, che permette la rimozione di un gruppo amminico dalla molecola citosina con conseguente formazione di uracile. L’uracile non è presente nel DNA, ma si comporta come un’altra base presente nel DNA: la T (timidina). Quando il DNA viene replicato, cioè “fotocopiato”, si produce una versione modificata della sequenza, con la C convertita in una T. Se fatto nel posto giusto, questa modifica può correggere un difetto genetico.  

Nello studio, i ricercatori hanno utilizzato questo strumento biologico per modificare il DNA mitocondriale in modelli murini. Il trattamento è stato effettuato in vivo, ovvero veicolando il sistema di editing mediante un vettore virale direttamente nel flusso sanguigno dei topi, ed è in grado di catalizzare le conversioni da C:G a T:A nel mtDNA, con una buona specificità del bersaglio. Al momento non esistono ancora modelli murini di malattie mitocondriali, quindi, il DcCBE è stato testato su topi sani. Tuttavia, i risultati sono promettenti e mostrano ottime potenzialità di efficacia e di sicurezza della tecnica di base editing in vivo

La strada da percorrere, prima che DdCBE possa entrare in fase clinica per il trattamento di malattie mitocondriali, è ancora lunga. Questo, però, è un primo passo nella direzione giusta.

Con il contributo incondizionato di

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