Flora Peyvandi, terapia genica, emofilia A

Il Policlinico di Milano è stato designato come centro hub per la prescrizione e la somministrazione della prima terapia avanzata per il trattamento dell'emofilia di tipo A grave in pazienti adulti 

L’introduzione sul mercato italiano di una nuova terapia genica, come quella appena approvata per il trattamento dell’emofilia A, è un successo per pazienti, medici e ricercatori e anche per il Servizio Sanitario che in tal modo conferma l’elevata qualità delle cure rivolte ai cittadini. Ma la sola approvazione non basta: occorre che nella pratica clinica di tutti i giorni la terapia possa esser somministrata ai pazienti in maniera sicura e controllata, così da massimizzarne l’efficacia in un contesto di estrema sicurezza. Ciò si realizza solo all’interno di centri clinici di riferimento, come quello per l’emofilia e la trombosi “Angelo Bianchi Bonomi” presso il Policlinico di Milano, dove lavora la prof.ssa Flora Peyvandi, direttore dell’Unità Operativa di Medicina Interna Emostasi e Trombosi.

Alla Regione Lombardia va il nostro ringraziamento per la celerità con cui sono stati recepiti i contenuti della delibera dell’Agenzia Italiana per il Farmaco (AIFA) che ha concesso l’autorizzazione al commercio di valoctocogene roxaparvovec (nome commerciale Roctavian) per il trattamento di pazienti affetti da emofilia A grave”, afferma Flora Peyvandi, professore ordinario di Medicina Interna all’Università degli Studi di Milano. “Un brevissimo lasso di tempo è trascorso dall’ufficializzazione della decisione di AIFA al recepimento del via libera all’utilizzo di valoctocogene roxaparvovec da parte della nostra Regione che ha identificato i centri sul territorio, confermando l’adozione di un modello Hub & Spoke”.

Nel secondo volume del progetto CTOS dedicato alle problematiche di accesso alle terapie avanzate, era stato il dott. Riccardo Saccardi, direttore dell’unità di Terapie Cellulari e Medicina Trasfusionale dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze - da poco venuto a mancare in seguito a lunga malattia - ad illustrare con precisione in cosa consista questo modello, indispensabile per garantire accessi equi alle terapie avanzate: “il sistema Hub & Spoke prevede una solida collaborazione tra il centro Spoke che invia il paziente e il centro Hub che eroga la terapia a quel paziente e rappresenta una robusta ossatura per favorire il rapido accesso dei pazienti alle CAR-T”. Sebbene nel caso specifico il dott. Saccardi si riferisse alle CAR-T, l’utilità di tale modello è estesa a tutti i trattamenti avanzati, compresa quindi la terapia genica per l’emofilia A. “Un farmaco avanzato e complesso come valoctocogene roxaparvovec deve necessariamente esser erogato in un polo clinico di comprovata esperienza”, prosegue Peyvandi. “Il Centro Angelo Bianchi Bonomi del Policlinico di Milano ha maturato un’esperienza di oltre settant’anni nella gestione dei pazienti con emofilia ed è dotato di un team multidisciplinare composto da ematologi, medici internisti, epatologi, psicologi, ortopedici e reumatologi che insieme valutano l’adeguatezza della terapia e, nel tempo seguente l’infusione, monitorano il paziente con massimo scrupolo”.

Dopo la Germania il nostro Paese è stato il primo in Europa a mettere in commercio valoctocogene roxaparvovec per l’emofilia A“ Questa patologia della coagulazione del sangue è dovuta alla mancanza del fattore VIII (FVIII), una proteina essenziale per l’avvio della cascata coagulatoria”, precisa Peyvandi. “Dagli anni Settanta, gli individui, con mutazioni geniche tali da risultare in una carenza di FVIII, sono trattati con terapia sostitutiva mediante l’infusione del fattore mancante, sia con prodotti plasma derivati che ricombinanti”. In una persona sana il livello di attività del FVIII raggiunge l’80-130% ma in un emofilico grave questo valore è inferiore all’1%, compromettendo il processo emostatico e aumentando la probabilità che si verifichino sanguinamenti spo ntanei che, qualora riguardino sistemi organi o apparati vitali - come il sistema nervoso centrale - possono mettere a serio rischio la sopravvivenza dei malati. “Infondendo il fattore di coagulazione mancante fino a 2-3 volte la settimana siamo riusciti a mantenere livelli plasmatici di attività residua del FVIII intorno al 1-2%, prevenendo così le emorragie potenzialmente più gravi”, prosegue Peyvandi. “Tuttavia, la protezione non era ottimale e, inoltre, i pazienti dovevano sottoporsi a ripetute infusioni ogni 2-3 giorni, con un impatto non trascurabile sulla qualità di vita”. Nel corso degli anni le modalità di somministrazione dei prodotti sono migliorate, passando dalle iniezioni endovenose a quelle sottocutanee. Inoltre, grazie all’arrivo di farmaci di ultima concezione, anche gli intervalli tra un’infusione e l’altra sono aumentati. Tuttavia, l’attuale protocollo terapeutico per l’emofilia A prevede la somministrazione dei farmaci in regime di profilassi per l’ottenimento di una protezione stabile e continuativa, e questo limita in maniera notevole l’attività sociale dei pazienti. In modo particolare dei più giovani. La terapia genica ha permesso di compiere un enorme balzo avanti, superando anche questo problema. 

“Valoctocogene roxaparvovec è la prima terapia genica a sfruttare un vettore virale adeno-associato di tipo 5 (AAV5) per portare una copia sana del gene che codifica per il FVIII all’interno delle cellule epatiche dove, dopo alcune settimane, prende avvio la sintesi del FVIII mancante”, precisa la professoressa. “Grazie a questo sistema i pazienti conservano livelli di attività di FVIII sufficienti per un adeguato processo coagulativo per periodi di tempo molto prolungati [secondo gli ultimi dati disponibili l’efficacia è mantenuta fino a 6 anni dalla somministrazione, N.d.R.]. A prescindere dalla validità della terapia genica, i pazienti necessitano di una valutazione multidisciplinare che comprenda anche il parere di un epatologo a cui spetta il compito di valutare la salute del fegato e decidere se sia o meno necessario aggiungere un trattamento immunosoppressivo nel caso di aumento degli enzimi epatici e anche nella selezione iniziale del paziente”.  

Attualmente, il centro per l’emofilia e la trombosi “Angelo Bianchi Bonomi” del Policlinico segue circa 400 pazienti affetti da emofilia grave o moderata, ed è una realtà di riferimento in tutta Europa per questa patologia. Tra i primi, nel 2019, a somministrare valoctocogene roxaparvovec nel corso delle fasi di sperimentazione clinica della nuova terapia, il centro milanese ha contribuito in pochi anni a portare questa terapia genica alla sua approvazione ed è dotato di tutte le figure professionali necessarie a monitorare nel corso del tempo i pazienti, non solo sotto l’aspetto dell’efficacia del trattamento ma soprattutto della sicurezza del paziente. “Siamo il centro Hub di riferimento per altri 7 centri Spoke in Lombardia”, conclude Peyvandi. “Tali centri hanno la responsabilità di individuare i pazienti interessati alla terapia genica ed entrare in contatto con loro discutendo di tale terapia e dandone tutti i dettagli, ma la conferma dell’idoneità [i pazienti che possono ricevere valoctocogene roxaparvovec devono essere adulti affetti da emofilia A in forma grave, senza una storia clinica di inibitori contro il FVIII e anticorpi contro il virus AAV5, N.d.R.] può giungere solo dal centro Hub che continuerà poi a seguirli in un contesto multidisciplinare e in modo sinergico e costruttivo con i centri Spoke, mettendo al primo posto il benessere del paziente”.

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