Una lettura avvincente nella quale confluiscono le storie degli scienziati che hanno contribuito a fare dell’immunologia uno dei settori di ricerca più difficili e, al contempo, affascinanti
Osservando gli scaffali delle librerie alla ricerca di qualcosa di interessante da leggere, l’ultimo libro di Daniel M. Davis non spicca sugli altri: una copertina scura su cui si diffonde una nuvola di strani petali rosa e blu e un titolo - “Una nuova cura” - che sembra far pensare a oscure pratiche miracolose. Magari qualche lettore l’avrà acquistato proprio per approfondire questo genere di argomenti, trovandosi invece di fronte ad una sorpresa: l’emozionante ed avventurosa trattazione della storia dell’immunologia. Un campo di studio finito sulla cresta dell’onda non soltanto per le terapie innovative che ha sfornato, come ad esempio le CAR-T, ma anche per una più mesta attualità in cui la diffusione del virus SARS-CoV-2 sembra aver sdoganato concetti nebulosi del sistema immunitario, in primis quello degli anticorpi.
L’immagine sulla copertina di “Una nuova cura - La rivoluzione dell’immunologia e il futuro della nostra salute” (Codice Edizioni, 2020) rappresenta proprio una nuvola di anticorpi, divenuti il simbolo di un ramo della medicina che, oggi più che mai, nonostante le tante conquiste scientifiche ottenute presenta ancora molti interrogativi. La reazione del nostro organismo alle ferite o alle infezioni è il meccanismo da sempre più studiato in medicina ed è anche quello che meglio rappresenta la nostra complessità interiore. Daniel M. Davis, professore di immunologia e direttore del Manchester Collaborative Centre for Inflammation Research, lo sa bene e lo spiega in parole semplici in questo suo nuovo libro che segue “Il gene della compatibilità - Come il nostro corpo combatte le malattie, attira gli altri e definisce se stesso” (Bollati Boringhieri, 2015).
Non era facile impegnarsi in una missione del genere e per essere certo di poter trasmettere adeguatamente il messaggio Davis comincia dalla storia - a molti sconosciuta - dei pionieri di questo settore. Uomini e donne che hanno saputo cogliere segnali infinitesimali, assecondandoli e cercando di indagarne la natura con scientificità e metodo. “Il genio è colui che riesce a pensare diversamente, al di là delle competenze e delle esperienze accumulate”. Questo scrive Davis riferendosi a Charles Janeway, immunologo che, alla fine degli anni Ottanta, approfondì il funzionamento dei vaccini, gettando una prima luce sul ruolo e sul funzionamento dei coadiuvanti - fra cui l’idrossido di alluminio - presenti in molti vaccini del tempo.
Oggi, infatti, le correnti di pensiero contrarie alle vaccinazioni tendono a storpiare questo concetto ma leggendo l’attenta (e documentata) ricostruzione che Davis fa della storia di Janeway si capisce come lo scienziato statunitense si fosse chiesto prima di tutto che cosa inneschi una reazione immunitaria, arrivando a spiegare la sua ipotesi secondo cui il sistema immunitario deve riconoscere la potenziale minaccia prima di avviare una reazione contro di essa. Janeway fu il primo a guardare più a fondo a come il sistema immunitario individua le sostanze ad esso estranee e le classifica come patogene, chiarendo il ruolo dei recettori presenti sulla superficie delle cellule e comprendendo come fosse necessario toccarne la giusta sequenza per esercitare un’azione sul sistema immunitario nel suo complesso. Ciò accadeva solamente all’inizio degli anni Novanta. Per decenni le componenti del sistema immunitario sono rimaste un mistero ma leggendo le avventurose - è il caso di dirlo - pagine di Davis si arriva anche a realizzare che un vaccino è uno strumento di prevenzione tanto importante quanto difficile da produrre proprio per l’intrinseca complessità e pluralità del nostro sistema immunitario.
Janeway ha “avviato un’autentica rivoluzione scientifica” di cui poi sono stati protagonisti personaggi del calibro di Ralph Steinman, scopritore delle cellule dendritiche. Sempre secondo Davis, Steinman fu l’unico a “vedere ciò che tutti avevano visto, ma a pensare ciò che nessuno aveva mai pensato”, aggiungendo così un altro importante tassello alla costruzione della mappa del sistema immunitario. Ci sono poi le straordinarie storie di Marc Feldmann e Ján Vilček, collegate alla scoperta dell’anticorpo anti-TNF, divenuto il farmaco d’elezione contro l’artrite reumatoide. O quelle di Jena Lindemann e Alick Isaacs, che studiando i virus hanno scoperto l’interferone, una molecola della famiglia delle citochine che ha ormai un ruolo fondamentale nella terapia di alcune malattie.
Il libro procede tratteggiando le figure di Steven Rosenberg, del Premio Nobel James Allison e di Carl June, pionieri dell’immunoterapia e di studi che hanno condotto allo sviluppo delle terapie a base di cellule CAR-T, collocate da Davis nel capitolo finale del libro. Non sarebbe stato possibile arrivare a queste terapie senza l’opera di tutti coloro che hanno speso ore nella comprensione del sistema immunitario. Un lavoro che non può essere ridotto alla mera dicotomia “antigene-anticorpo” e che non si esaurisce nella distinzione tra immunità innata ed acquisita, ma che è fatto di nottate estenuanti sui microscopi e sui banchi di laboratorio alla ricerca di quelle incongruenze che nessuno ha mai considerato e che hanno spalancato le porte di un universo interiore ramificato e molto più difficile da decifrare di quanto si immaginasse.
Il messaggio finale del volume di Davis - che le riviste Times e New Scientist hanno definito il miglior libro dell’anno - è l’importanza di coltivare le nuove idee quando si fa scienza. La scoperta dei checkpoint immunitari e la nascita dell’immunoterapia lo confermano e testimoniano che quelle che oggi chiamiamo terapie avanzate sono in realtà il punto di partenza per nuove scoperte. Perché la scienza non ha mai punti di arrivo.