Xenotrapianti

Le potenzialità degli xenotrapianti appaiono chiare, ma il passaggio alla pratica clinica è lontano e sono molti gli interrogativi a cui scienziati e bioeticisti dovranno rispondere

In Italia i pazienti in attesa di trapianto sono 8.861 (Fonte: Dati Sistema Informativo Trapianti, al 31/12/2018 - tratto dal sito della A.I.D.O.) e nel 2018 sono stati fatti 3.725 trapianti di organi, effettuati da donatori deceduti o viventi (Fonte: Centro Nazionale Trapianti). In USA sono 113.346 persone in attesa di un trapianto e 33.177 i trapianti effettuati nel 2019 (Dati aggiornati al 1/12/2019 – Fonte: UNOS). Stando a questi numeri, il fabbisogno di organi nel mondo è drammaticamente alto, dato che il trapianto è una soluzione per molteplici patologie ma non ci sono organi a sufficienza.

Proprio per questo motivo si stanno studiando gli xenotrapianti, ovvero il trapianto di organi e cellule da una specie diversa dall’uomo.

La storia dei trapianti d’organo è recente e supera di poco il secolo: solo nel 1902, infatti, un chirurgo francese mise a punto una tecnica per congiungere due vasi sanguigni (anastomosi). Le ricerche di Alexis Carrel - Premio Nobel per la Medicina nel 1912 - riguardarono proprio la chirurgia sperimentale e il trapianto di tessuti e organi, e contribuirono a mettere le basi per la medicina trapiantistica. L’innovazione in medicina ha poi permesso lo sviluppo di nuove tecniche, che hanno portato al primo trapianto di rene nel 1954 negli USA, di fegato nel 1963 sempre negli Stati Uniti e poi di cuore nel dicembre del 1967 in Sudafrica. I risultati però erano insoddisfacenti e pochissimi pazienti sopravvivevano per più di pochi giorni, massimo per qualche mese (e non sempre in condizioni ottimali). La svolta in termini di sopravvivenza post trapianto avvenne con la scoperta della ciclosporina, farmaco immunosoppressore scoperto negli anni ’70, in grado di bloccare la risposta dei linfociti T del sistema immunitario del ricevente e, con essi, il rigetto. Ad oggi, resta un intervento molto complesso e con possibili gravi conseguenze, anche se nei Paesi Occidentali si sono raggiunti livelli di eccellenza in questo campo. A poco più di 100 anni di distanza da quel Nobel, le tecniche in medicina hanno fatto passi da gigante e la sopravvivenza post trapianto è notevolmente aumentata, ma i numeri non tornano e forse l’unica speranza di risolvere il problema risiede proprio negli xenotrapianti.

È davvero possibile mettere un cuore di maiale in un essere umano? La risposta è affermativa e l’ultimo caso risale agli anni ‘90 in India, con conseguenze tristemente prevedibili per la paziente e una condanna per omicidio per i medici coinvolti. Gli xenotrapianti hanno fatto parte della storia della medicina e della ricerca nell’ambito dei trapianti e, probabilmente, non ne sono mai usciti del tutto. Già nei secoli scorsi, prima della scoperta dei gruppi sanguigni da parte di Karl Landsteiner (Premio Nobel per la medicina nel 1930), gli animali venivano usati per le trasfusioni ai feriti di guerra. Le terribili conseguenze hanno fatto sì che alcuni Paesi vietassero questa pratica, ma medici e ricercatori non si fermarono qui. Nel XIX secolo si cercò di trapiantare sull’uomo la pelle di altri animali per “curare” le ferite; nel 1838 si trapiantò la cornea di maiale; negli anni ’20 in Francia un medico russo trapiantò fettine di testicolo di babbuini in pazienti di una certa età per provare ad avere effetti simili al viagra; negli anni ’60, 13 persone hanno ricevuto reni di scimpanzè e una donna è sopravvissuta per 9 mesi. Il primo trapianto di cuore risale al 1964 e coinvolse il cuore di uno scimpanzè e un signore americano in coma. James Hardy, uno dei più famosi chirurghi del tempo e autore del primo trapianto di polmoni e del primo (xeno)trapianto di cuore, riuscì a far battere quel cuore per circa un’ora e poi il paziente morì. Un caso molto noto alla stampa è quello di Baby Fae, neonata per cui era stato autorizzato il trapianto di un cuore di babbuino per provare a darle una speranza, essendo nata prematura e con una grave malformazione cardiaca che le avrebbe permesso di vivere solo pochi giorni. La bimba sopravvisse per ben 21 giorni dopo l’operazione, il periodo più lungo per uno xenotrapianto, ma a livello etico si scatenarono diverse polemiche (vedi l’articolo “Baby Fae: A beastly business.” pubblicato sul Journal of medical ethics, pubblicato nel 1985). Questo venne consentito perché la situazione era disperata e per la mancanza di organi trapiantabili a misura di infante.

Negli ultimi anni si è di nuovo sentito parlare della possibilità di utilizzare gli xenotrapianti come soluzione alla mancanza di organi umani. Perché questo ritorno? Innanzitutto, le tecnologie a disposizione sono cambiate e si sono evolute: CRISPR, ad esempio, potrebbe aiutare i ricercatori a modificare il genoma dell’animale in modo da facilitare il processo di integrazione dell’organo e ridurre eventuali rischi. Anche i farmaci di nuova generazione, tra cui quelli immunosoppressivi, potrebbero essere d’aiuto in questo senso. Negli anni di ricerche sul tema, si è giunti alla conclusione che l’animale che potrebbe rispondere meglio alle necessità umane è il maiale. Questo per tre motivi principali: sono facili da allevare e si riproducono facilmente, in pochi mesi sono individui adulti e hanno gli organi di dimensioni simili a quelli umani. I maiali possono essere allevati in ambienti sterili e controllati per evitare la contaminazione di agenti infettivi e, in linea teorica, potremmo avere una riserva illimitata di organi pronti per il trapianto. Questo ridurrebbe i decessi di persone che aspettano invano il loro organo e migliorerebbe le condizioni di salute dei pazienti, dato che potrebbero essere trapiantati appena si presenta la necessità, senza aspettare a lungo il proprio turno nella lista trapianti e riducendo gli effetti sull’organismo.

Il discorso sugli xenotrapianti non prevede solo ‘pro’, ma ci sono anche ‘contro’. Il primo riguarda la risposta immunitaria: un organo appartenente ad un’altra specie viene riconosciuto come estraneo e attaccato dal nostro sistema di difesa, causando una risposta massiva e il rigetto acuto. Se ci pensiamo, è già difficile gestire il rigetto nei trapianti da uomo a uomo, figuriamoci facendo anche un salto di specie. Un altro problema è la presenza di retrovirus silenti, ospitati nel genoma dei maiali, che potrebbero teoricamente fare il salto di specie e scatenare infezioni nell’uomo. Ultimo, ma non meno importante, è la maggior presenza dei movimenti animalisti, molto più attivi ora rispetto al passato, che potrebbero opporsi e limitare l’applicabilità di questa pratica, considerata deprecabile in quanto prevede l’uccisione di altri animali (rispetto al solo scopo alimentare) e la creazione di organismi transgenici, che potrebbero avere problemi di salute a causa delle modificazioni inserite dall’uomo. Inoltre, dal punto di vista economico e regolatorio si devono fare le dovute considerazioni: far crescere gli animali in ambienti protetti e che rispettano tutte le norme igienico-sanitarie, modificarli geneticamente, controllarli e nutrirli con mangimi adatti è costoso e gli enti regolatori fanno ancora fatica a seguire la situazione. Lo stesso vale per le considerazioni bioetiche e legali sui rischi associati a una nuova tecnica medica. Prima nel 2008 e poi nel 2011, gli xenotrapianti sono stati argomento d’interesse anche per la World Health Organization – discussi durante il First e il Second WHO Global Consultation on Regulatory Requirements for Xenotransplantation Clinical Trials - che punta alla collaborazione e al coordinamento a livello internazionale per la prevenzione e la sorveglianza dei rischi associati ai trapianti di organo interspecie.

Prima di fare sperimentazioni sull’uomo, il processo di ricerca scientifica prevede di provare la tecnica su primati non umani. Sono già stati fatti studi di questo tipo e i risultati sembrerebbero promettenti, ma alcune problematiche restano. La terapia immunosoppressiva ha sicuramente aiutato a portare avanti queste ricerche e l’utilizzo delle nuove tecniche di editing genomico faciliterà il processo grazie al quale l’organismo umano accetterà l’organo di maiale. Saranno organi di maiale ‘umanizzati’ e una possibilità è che, inizialmente, gli xenotrapianti vengano utilizzati come ‘ponte’ per tenere il paziente in vita in attesa di un organo umano compatibile. La domanda che resta è: quante modificazioni genetiche saranno necessarie per superare la barriera da una specie all’altra? Una struttura in Germania, la MWM biomodels, ha iniziato ad allevare maiali modificati geneticamente con 4 mutazioni che renderebbero i loro organi più accettabili dall’organismo umano. Nel 2018, 14 cuori di maiale sono stati trapiantati in altrettanti babbuini e due degli esemplari sono sopravvissuti per 6 mesi. Lo studio è stato pubblicato su Nature a dicembre dello stesso anno e, recentemente, MIT Technology Review ha raccontato approfonditamente la storia di questa ricerca.

Anche uno dei ‘papà di CRISPR’, George Church, è interessato agli xenotrapianti. La startup eGenesis, nata nel 2015 e gestita assieme alla socia Luhan Yang, ha come obiettivo quello di “creare un mondo in cui non ci sia mancanza di organi trapiantabili”. A differenza dei ricercatori tedeschi, che sostengono la teoria secondo la quale con meno modifiche a livello del genoma sia più controllabile l’effetto finale, in questo caso le mutazioni ipotizzate sono in numero maggiore. È dello scorso novembre la notizia di un finanziamento di 100 milioni di dollari dalla Fresenius Medical Care Ventures (FMCV), con la partecipazione di altri investitori (vedi il comunicato stampa).
Queste due realtà non sono le uniche a fare ricerca sugli xenotrapianti, anche se i centri dedicati non sono molti, e gli investimenti nel settore sottolineano l’interesse globale a proseguire gli studi in questo ambito. È un campo rivoluzionario, che ha trovato un possibile spiraglio di applicabilità grazie all’introduzione di nuovi strumenti di ricerca, tra cui CRISPR. Le potenzialità sono evidenti, ma ad oggi ci sono ancora più dubbi che certezze.

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