È frutto di una ricerca coordinata da Luigi Naldini, direttore dell’Istituto Telethon San Raffaele per la Terapia Genica (SR-Tiget), e da Nadia Coltella, ricercatrice dell’SR-Tiget
Usando una frase cara all’editoria cartacea si potrebbe dire che sono ancora “freschi di inchiostro” i risultati che dimostrano l’efficacia di una piattaforma di terapia genica che permette di veicolare in maniera mirata, selettiva e regolabile il rilascio di molecole immunostimolanti nel glioblastoma multiforme (GBM), il tumore cerebrale più comune e aggressivo negli adulti. Pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica Science Translational Medicine da un gruppo di ricercatori dell’Istituto San Raffaele-Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) di Milano - grazie al sostegno di Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro - i dati sollevano un grande interesse aprendo a future prospettive terapeutiche.
I ricercatori sono riusciti a prevenire la tossicità sistemica e a modulare il microambiente tumorale da immunosoppressivo ad attivante, ottenendo così un’inibizione della crescita neoplastica. “Da parecchi anni lavoriamo allo sviluppo di una strategia di immunoterapia genica mirata ai tumori”, spiega il prof. Luigi Naldini, anche parte del Comitato Scientifico di Osservatorio Terapie Avanzate. “Ingegnerizziamo in laboratorio con vettori lentivirali le cellule staminali emopoietiche, che danno origine a tutte le cellule del sangue, tra cui i monociti, che si distribuiscono nei tessuti diventando macrofagi e contribuendo al ricambio di queste cellule e alla risposta immunitaria. I vettori sono progettati in modo da esprimere le citochine terapeutiche esclusivamente nei monociti derivati dalle staminali ingegnerizzate che raggiungono il sito tumorale”.
In fase di crescita il tumore richiama, infatti, spontaneamente i monociti e i macrofagi, che in questo caso vengono utilizzati come una sorta di “cavallo di Troia”, rilasciando in loco molecole immunostimolanti, fra cui l’interferone-alfa e l’interleuchina-12 (IL-12), che i ricercatori del San Raffaele hanno deciso di sfruttare per la loro capacità di agire a diversi livelli contemporaneamente. L’interferone alfa, per esempio, può inibire la crescita dei vasi sanguigni tumorali oltre che attivare e ripristinare la funzionalità del sistema immunitario. “Per impedire l’insorgenza di effetti tossici nei tessuti sani resta però fondamentale che queste molecole, appartenenti alla famiglia delle citochine, siano rilasciate in maniera selettiva e mirata a livello del tumore, e che allo stesso modo avvenga l’esposizione a esse”, specifica Nadia Coltella.
Pertanto, oltre alla specificità spaziale per il tumore assicurata dal disegno del vettore, i risultati di questo nuovo studio hanno aggiunto alla piattaforma di terapia genica la possibilità di regolare temporalmente il rilascio delle citochine. Ciò è stato ottenuto modificando la citochina e rendendola instabile e inefficace finché non viene somministrato un farmaco che la stabilizza e la rende funzionante. Il rilascio delle citochine terapeutiche da parte dei macrofagi tumorali avviene, quindi, solo dopo la somministrazione del farmaco. “Questo ci consente di aggiungere un ulteriore livello di controllo per attivare o inattivare il rilascio delle citochine a seconda delle esigenze terapeutiche e della crescita del glioblastoma, rendendo quindi la piattaforma inducibile e regolabile nel tempo” aggiunge Naldini.
Dopo aver riprodotto in laboratorio una forma di glioblastoma molto aggressiva e simile alla malattia umana, i ricercatori milanesi hanno dimostrato che la terapia genica con interferone-alfa, sia nella versione originale sia in quella inducibile, è in grado di riprogrammare le cellule immunitarie che infiltrano il glioblastoma in senso pro-infiammatorio e anti-tumorale. Inoltre, è stata osservata la scomparsa di una popolazione di macrofagi pro-tumorali, solitamente associati a una prognosi peggiore nei pazienti affetti da glioblastoma multiforme.
“La riduzione della massa tumorale e l’aumento della sopravvivenza a lungo termine nei modelli sperimentali della malattia sono significativi”, aggiunge Filippo Birocchi, primo autore dell’articolo. “In alcuni casi abbiamo potuto osservare la scomparsa totale del GBM e lo sviluppo di una memoria immunitaria anti-tumorale”. I ricercatori del SR-Tiget stanno proseguendo lo sviluppo della piattaforma e stanno indagando come potenziarne ulteriormente l’efficacia attraverso la combinazione con altre strategie di immunoterapia per il glioblastoma, come le cellule CAR-T dirette contro specifici antigeni bersaglio espressi dalle cellule tumorali.