In Cina è stata sperimentata una nuova tecnica di ricostruzione del padiglione auricolare su bambini affetti da microtia
L’incrocio tra un’esigenza clinica ancora insoddisfatta come quella espressa dalla microtia, un settore della ricerca dalle potenzialità esplosive come quello delle cellule staminali e l’avanguardia di una tecnologia, che nel giro di pochi anni è uscita dai laboratori di ricerca e sta già trovando collocazione sugli scaffali dei negozi, come la stampa 3D non può sfornare nulla di meno di qualcosa di rivoluzionario. A dimostrarlo è un articolo apparso sulla rivista EbioMedicine, e pubblicato da un gruppo di ricercatori guidato da Guangdong Zhou dell’Università di Shanghai che ha trattato cinque piccoli pazienti affetti da microtia.
Con il termine “microtia” ci si riferisce a una malformazione congenita della struttura esterna dell’orecchio che colpisce preferenzialmente individui di etnia asiatica o ispanica. Il padiglione auricolare dei bambini con microtia si presenta ridotto o addirittura assente (in questo casi si parla di anotia) e, oltre a problematiche di tipo uditivo (se interessa entrambi gli orecchi esiste il concreto rischio di sordità) questa malformazione ha un impatto psicologico non trascurabile, dal momento che l’orecchio contribuisce in maniera sostanziale alla normale percezione della propria faccia e, per traslato, alla costruzione dell’identità. Negli anni sono state sviluppate alcune tecniche chirurgiche per risolvere il problema: esiste la possibilità di ricorrere alla cartilagine costale per ricostruire la struttura del padiglione oppure si possono utilizzare protesi in Medpor, che hanno un elevato livello di somiglianza con l’orecchio sano ma mancano completamente di attività biologica e non sono esenti dal rischio di infezioni. D’altro canto, il prelievo di cartilagine costale è un intervento invasivo e la successiva ricostruzione dell’orecchio è affidata alle capacità artigianali del chirurgo. Tuttavia, i recenti progressi nella tecnologia dei materiali stanno permettendo di affrontare questa deformazione fisica da una prospettiva nuova e avvincente che mescola biologia e bioingegneria.
La tecnica descritta dai ricercatori di Shangai non è nuova: da anni si lavora sui modelli murini per portare l’ingegneria tissutale a livelli di precisione ed efficacia che consentano il balzo di categoria sull’uomo. Tuttavia, l’applicazione in clinica di queste tecnologie rimane ostica e questo sostanzialmente a causa di problematiche tecniche come la ricerca della corretta fonte cellulare, la difficoltà di generare una cartilagine che abbia la forma di un orecchio partendo da una struttura tridimensionale già progettata, le scarse proprietà meccaniche che ne rendono complicata la manutenzione senza dimenticare la risposta dell’ospite al trapianto. Si tratta di ostacoli non di poco conto ma che, finalmente, è stato possibile superare grazie all’ottimizzazione dei protocolli di coltivazione delle cellule e all’iperbolico sviluppo delle stampanti 3D che già in medicina e ortodonzia si sono rivelate straordinariamente utili nella produzione di protesi perfette. Nei pazienti dello studio, infatti, il ricorso alla tomografia assiale computerizzata (TAC) ha permesso di scansionare e riprodurre in maniera fedele e accurata la struttura dell’orecchio sano, sulla base della quale la stampa in 3D ha consentito di realizzare una sorta di impalcatura biodegradabile specularmente simmetrica e dotata di buone proprietà meccaniche sulla quale, a suo volta, sono stati applicati i condrociti (le cellule del tessuto cartilagineo) prelevati dalla cartilagine della microtia del paziente. Le cellule sono state coltivate in laboratorio per tre mesi fino ad ottenere una struttura a forma di orecchio che è stata impiantata per favorire la ricostruzione del padiglione auricolare nei pazienti, successivamente monitorati per un periodo di circa due anni e mezzo.
Per questo studio sono stati arruolati cinque bambini, maschi e femmine di età compresa tra i 6 e i 10 anni, e sono stati utilizzate tre diverse procedure chirurgiche per l’impianto della cartilagine, a seconda delle condizioni del singolo paziente. I risultati del trial sono stati notevoli: in quattro casi, la formazione della cartilagine è proseguita per sei mesi dall’impianto. In tre pazienti su cinque, forma e angolazione del nuovo orecchio si sono rivelate comparabili con quelle del padiglione auricolare sano. Si tratta di un traguardo indiscutibilmente importante, giunto grazie ad un solido grado di integrazione tra diverse strategie, dalla coltivazione delle cellule all’utilizzo di sofisticati software di ricostruzione tridimensionale e delle stampanti 3D di ultima generazione che hanno permesso di realizzare fisicamente l’impalcatura dell’orecchio da trapiantare. Infine, l’uso di resine e materiali innovativi, come il policaprolattone, ha permesso un buon adattamento della nuova struttura, con la formazione di cartilagine e la considerevole riduzione del rischio di rigetto. Infine, un fattore centrale per la buona riuscita del trial si è rivelato essere la scelta di una procedura chirurgica ottimale, adatta al paziente e tale da permettere la manipolazione e l’impianto dell’innesto auricolare che risulta comunque più delicato e fragile rispetto a quello ricavato dalla cartilagine costale.
Come sperato, l’esito di questa pionieristica sperimentazione è stato accolto con profondo interesse dai ricercatori di tutto il mondo e dai chirurghi che da anni operano nel campo della microtia perché, per la prima volta, si è fatto ricorso ad una tecnica di questo tipo su un numero così alto di pazienti. Tuttavia, sarà necessario proseguire gli studi in questa direzione e approfondire adeguatamente i risultati ottenuti perché questo ingegnoso sistema prevede l’utilizzo di materiali di origine esogena che, pur se moderni ed iper-innovativi, potrebbero comportare conseguenze a lungo termine impreviste. L’aumento dei tempi di follow-up è quindi il primo passaggio per capire gli effetti sulla salute dei pazienti sia delle sostanze usate per favorire la crescita cellulare che di quelle usate per costruire la struttura biodegradabile su cui applicare le nuove cellule e che, secondo i ricercatori cinesi, è destinata a sciogliersi nell’arco di circa quattro anni. Anche la scelta di prelevare le cellule da usare come ‘inchiostro biologico’ dall’orecchio malato anziché da quello sano sarà oggetto di analisi ma, nel frattempo, la nuova proposta di trattamento piace e altri centri di ricerca si stanno muovendo per sviluppare i propri protocolli, come gli scienziati dell’Ospedale Royal Prince Alfred di Sydney che stanno impiegando una biostampante in 3D per il trattamento di piccoli pazienti affetti da anomalie del padiglione auricolare.
Se è vero il detto “chi ha orecchie per intendere, intenda” grazie alla sinergia tra biotecnologia e ingegneria, presto la microtia potrebbe essere un problema di cui non si sentirà più parlare.