CRISPR e infezioni

Rivoluzionaria nell’ambito dell’editing genomico, ma non solo: CRISPR va incontro all’epidemiologia e identifica gli acidi nucleici di virus e batteri patogeni

La tecnica di “taglia e cuci” del DNA è diventata famosa per la possibilità di correggere mutazioni responsabili di alcune patologie e per gli studi sulla creazione di “super” organismi, come ad esempio polli immuni all’influenza aviaria o nuove varietà di pomodori con alcune caratteristiche migliorate. Ma le sue capacità non si limitano a questo. CRISPR, infatti, permetterebbe di diagnosticare infezioni in modo più semplice, rapido ed economico rispetto agli altri metodi diagnostici e i ricercatori vorrebbero migliorare la tecnica in modo da renderla più veloce nell’identificare agenti patogeni, specialmente durante le epidemie.

La diagnosi di malattie infettive richiede personale specializzato, attrezzature sofisticate e strutture all’avanguardia: cose di cui non si ha sempre disponibilità nei Paesi in cui è più facile che ci sia un’epidemia. Basti pensare ai test per il virus dell’Ebola: ne sono stati sviluppati una dozzina, ma solo un paio sono stati utilizzati in Congo, per lo più a causa di motivi economici.

Risale a maggio 2016 la pubblicazione, sulla prestigiosa rivista scientifica Cell, del primo lavoro sulle capacità diagnostiche di CRISPR, firmato dai ricercatori del MIT e dell’Harvard University. In seguito all’epidemia del virus Zika in Sud America, è stata sottolineata la necessità di trovare un metodo in grado di identificare velocemente e con costi ridotti il materiale genetico virale. La soluzione è stata trovata coniugando il sistema CRISPR/Cas9 a dei “sensori” che, quando vengono esposti all’RNA del virus Zika, portano a una variazione di colore nel test. Risultati positivi sono stati ottenuti dagli studi sui macachi.

Ma perché cercare un metodo diagnostico in una tecnica di editing genetico?

I metodi tradizionali per l’identificazione di un virus sono relativamente costosi, richiedono strutture e tecnologie non sempre disponibili, necessitano di personale formato per la gestione e l’interpretazione dei dati e sono quindi poco adatti alle regioni in via di sviluppo. Sono necessari metodi che possono facilmente rilevare gli acidi nucleici e segnalare la presenza dell’agente patogeno bersaglio. Proprio con questo obiettivo è stata sviluppata SHERLOCK (Specific High Sensitivity Enzymatic Reporter UnLOCKing), una piattaforma basata sulla tecnologia CRISPR e capace di identificare virus e batteri patogeni. A differenza dell’enzima classico Cas9, che taglia il DNA, i ricercatori del Broad Institute a Cambridge hanno usato l’enzima Cas13, che ha come bersaglio l’RNA.

Uno dei difetti di Cas13 è che, una volta tagliata la sequenza bersaglio, inizia a fare a pezzetti l’RNA. Questo è un grosso problema quando si parla di editing, ma utilissimo per vedere meglio la reazione quando si tratta di diagnostica. L’RNA è stato coniugato a molecole fluorescenti che diventano rilevabili in seguito al taglio effettuato dall’enzima. I vantaggi di questa metodologia sono molteplici: i costi sono più bassi, le tempistiche ridotte, adattabile a diversi target, maggiore sensibilità e specificità, utilizzabile anche in strutture poco attrezzate e da personale non specializzato. Nel 2018 il Broad Institute ha migliorato ulteriormente il test SHERLOCK: sono state aggiunte molecole di RNA che fanno da segnale e che, quando avviene il taglio, formano una banda scura che assomiglia a un test di gravidanza, ma in grado di indicare la presenza di qualsiasi sequenza genetica obiettivo di CRISPR.

Un team di ricercatori in Nigeria sta testando l’accuratezza di SHERLOCK nel caso della febbre di Lassa, essendo stata la causa di ben 69 vittime nell’ultimo anno nel Paese. La febbre di Lassa è una malattia emorragica acuta diffusa in Africa Occidentale a decorso clinico variabile, ma che in 1 caso su 5 causa forme gravi. Uno dei problemi legati a questa infezione sta nel fatto che non è facile distinguerla dal virus Ebola, anch’essa febbre emorragica virale, o da altre patologie come la febbre gialla o la febbre tifoide. Di solito vengono fatti i test classici, come la PCR, il test ELISA, il test dell’antigene, ma questi richiedono tempo, soldi, strutture e personale specializzato. Per ridurre il numero dei decessi, un test diagnostico rapido e semplice sarebbe la soluzione ideale ed è proprio per questo che si sta studiando l’applicazione di CRISPR alla diagnostica. SHERLOCK costa circa la metà rispetto alla PCR, richiede metà del tempo e non necessita di particolari attenzioni per lo stoccaggio e l’utilizzo.

Altri test basati su CRISPR sono stati studiati e sviluppati nei laboratori a Berkley da Jennifer Doudna, biochimica americana co-inventrice di CRISPR, utilizzando altri enzimi e prendendo di mira altri bersagli. Un esempio è il test dell’HPV che usa Cas12a e che permette di distinguere due varianti di HPV. CRISPR potrebbe essere una soluzione utile per facilitare la diagnosi di malattie infettive, specialmente nei Paesi in via di sviluppo, ma solo se le battaglie legali legati alla proprietà intellettuale e all’utilizzo delle licenze su CRISPR lo permetteranno.

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