RNA

Un gruppo di ricerca francese ha ideato un approccio terapeutico basato sull’uso dell'RNA interference per bloccare la produzione anomala della proteina PMP22

Il terzo principio della dinamica insegna che quando un oggetto esercita una forza su un altro oggetto, quest’ultimo risponde al primo con una uguale ma contraria: perciò si dice che due forze uguali ma opposte si annullano. Tale pilastro della fisica diventa un utile punto di partenza per comprendere come funzionino le terapie su RNA che rappresentano ormai farmaci validati e approvati per diverse gravi patologie, tra cui l’atrofia muscolare spinale (SMA) e l’amiloidosi o un fronte di ricerca essenziale, come nel caso dell’Huntington. Ora anche la malattia di Charcot-Marie-Tooth (CMT), una neuropatia ereditaria, è entrata nel bersaglio delle terapie su RNA. Ne ha discusso il dott. Davide Pareyson, della Fondazione IRCCS Istituto Neurologico “Carlo Besta” di Milano, durante un webinar promosso dall’associazione ACMT-Rete.

Nel corso dell’evento, che si è tenuto lo scorso giugno, il dott. Pareyson ha descritto la malattia di Charcot-Marie-Tooth come la più frequente neuropatia di tipo ereditario, specificando come molto spesso riguardi i nervi motori (Neuropatia Motoria Ereditaria Distale, dHMN) e, solo più raramente, quelli sensitivi (Neuropatia Ereditaria Sensoriale, HSN). Inoltre, considerando nello specifico la struttura dei nervi, è possibile riconoscere varie forme di CMT: la cosiddetta demielinizzante (CMT1), che insorge a danno del rivestimento mielinico del nervo ed è contraddistinta da una riduzione della velocità di conduzione delle fibre nervose, e una forma assonale (CMT2). Entrambe sono forme progressive che portano alla perdita degli assoni e sfociano nell’atrofia dei muscoli, nella debolezza e nella perdita di sensibilità di cui sono vittime i pazienti. Purtroppo, al momento non esiste una terapia specifica per questa malattia ma un gruppo di ricerca francese ha messo a punto una strategia basata sulla possibilità di degradare l’RNA che codifica per la proteina mutata, responsabile della malattia. Lo studio è stato recentemente pubblicato sulla rivista Communications Biology.

La CMT1 è provocata da una duplicazione a livello del cromosoma 17p (11.1p12) che conduce a una sovraproduzione anomala di PMP22, conosciuta come la “proteina 22 della membrana periferica”, la quale viene prodotta dalle cellule di Schwann e rappresenta una frazione compresa tra 2 e 5% di tutte le proteine che compongono la guaina mielinica che circonda gli assoni. Nella cellula, l’RNA messaggero costituisce lo “stampo” per la sintesi delle proteine che svolgono diverse funzioni all’interno dell’organismo, anche per le proteine “anomale”. Da qui l’idea di interferire direttamente sull’RNA per bloccare la produzione di eventuali proteine nocive. I ricercatori francesi hanno, quindi,  ideato piccole molecole di RNA (in particolare siRNA, small interference RNA) in grado di appaiarsi in maniera specifica con la sequenza di RNA messaggero che contiene la mutazione. Il risultato è che l’espressione di PMP22 viene bloccata. La diminuzione dei livelli della proteina mutata nella guaina mielinica degli assoni migliora l’attività elettrofisiologica dei nervi motori e sensitivi con un ripristino delle funzioni motorie e della forza muscolare. Inoltre, i ricercatori hanno osservato un aumento dell’espressione di alcuni marcatori specificamente associati ai neuroni e alle cellule della glia, a testimonianza che la strategia adottata aiuta anche il processo di rigenerazione della mielina intorno agli assoni.

Questi interessanti dati sono stati ottenuti su modelli murini ma confermano la validità di un approccio alla cui valutazione finale va aggiunto un elemento per nulla trascurabile: quello relativo alle molecole che i ricercatori francesi hanno usato per “stabilizzare” i piccoli RNA. Come molti di noi hanno imparato, approfondendo il tema dei vaccini ad RNA contro il COVID-19, la molecola dell’RNA è piuttosto instabile e si degrada facilmente per cui era necessario trovare il modo di stabilizzare i siRNA per consentire loro di svolgere la funzione per la quale sono stati programmati. Gli scienziati lo hanno fatto usando una molecola nota come squalene, che deve il suo nome al fatto che si estrae anche dal fegato degli squali. Lo squalene è idrofobico e, in ragione della sua biocompatibilità e biodegradabilità, si è rivelato un candidato perfetto per proteggere i siRNA dalla degradazione, permettendo di modulare le dimensioni e la quantità delle particelle da iniettare.

Il ricorso a terapie su RNA offre una promettente strategia per inibire selettivamente l’espressione di geni dannosi, intervenendo a livello dell’RNA - e non del DNA - in maniera altamente specifica (e reversibile) sfruttando l’accoppiamento complementare tra le basi degli acidi nucleici. Ecco così spiegato in che modo - in biologia così come in fisica - due forze uguali ma opposte si annullino. I siRNA raggiungono la guaina mielinica che circonda i nervi e con il loro effetto “inibitore” contribuiscono a rafforzarla, ripristinando la velocità di conduzione del segnale nervoso; tale effetto dura fino a tre settimane nelle forme più gravi della malattia e oltre dieci in quelle più lievi. La ricerca è solo alle battute iniziali, ora servono maggiori approfondimenti, sia in pre-clinica che in clinica, ma l’entusiasmo è tanto e le promesse finali, se mantenute durante il percorso di sviluppo clinico, potrebbero fare la differenza per molte persone.

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